A Roma ci sono le elezioni per eleggere il sindaco, la posta in gioco è alta e pensare anche solo per un momento che la città torni ad essere governata da Alemanno, il sindaco di parentopoli, delle sceneggiate isteriche, della neve e dei disservizi è pura follia.
In un momento politico normale la logica avrebbe portato a votare allora per Marino, una delle facce migliori del PD, laico, progressista, persona di caratura internazionale. Eppure a Roma non si vota solo Marino. Marino è, appunto, il candidato del PD. Quel PD che è andato al governo con Berlusconi, che si è dimostrato inadatto a governare l'Italia, che non merita la fiducia di chi lo ha votato dopo averla tradita nuovamente. Non si può quindi davvero più parlare di voto utile contro Alemanno, anzi.
Quel PD che dopo aver NON vinto le elezioni ha preteso per 1 mese di governare da solo con un governo di minoranza, che in nome delle larghe intese per le istituzioni ha cercato di fare un inciucio con Berlusconi, che ha bocciato nomi storici della sinistra per cambiare pagina al paese, che alla fine ha ri-eletto Napolitano dopo che metà partito andava ormai per conto suo. E che dopo aver litigato sull'illitigabile, si è stretto a mò di falange macedone quando si è trattato di occupare posti di potere, da dividere ovviamente con Biancofiore, Miccichè, Palma, etc..
Insomma, un partito che non rappresenta una alternativa alla destra. Non lo è ora, che ci governa insieme. Non lo era prima, avendoci governato insieme durante il periodo Monti riuscendo a far passare le riforme più reazionarie, inutili e controproducenti della storia repubblicana. Non lo era neanche in passato quando abbassava le tasse ai ricchi, introduceva la precarietà, si rifiutava di alzare le tasse sulle rendite e si dimenticava convenientemente del conflitto di interessi.
L'unico voto utile è un voto vero per chi è davvero contro la destra, non per chi ci fa accordi, non per chi ci governa insieme, non per chi ne attua le politiche. Il voto utile che vuole il PD è utile solo per stare al potere, non per cambiare l'Italia. Per legittimare una dirigenza, vecchia, vecchissima, e pure nuova, che è disposta anche a fare accordi col diavolo pur di governare - anche se non si sa per far cosa.
Marino è meglio di questo PD, certo. Ma fa parte di questo PD, alleato con Alemanno. Meglio allora votare Sandro Medici, per una vera alternativa. Un voto utile contro la destra, e contro chi ci si allea.
giovedì 9 maggio 2013
Spagna, la dittatura inviolabile
di @MonicaRBedana
Ci sono ferite su cui una certa politica sparge continuamente sale per convenienza. Soprattutto quando la disoccupazione sale, le disuguaglianze si allargano e l'evidenza dell'inutilità e l'inefficacia delle misure adottate per fronteggiare la crisi non si può più occultare.
Se l'opinione pubblica torna per un po' a scannarsi sulle sponde di quelle fosse comuni in cui le vittime del franchismo ancora non trovano pace né giustizia né pietas, distoglie lo sguardo dai sepolti vivi del macello economico.
In Argentina è in corso un processo che in Spagna si attendeva da 37 anni; è sotto accusa per la prima volta nella Storia la dittatura di Franco, per genocidio e/o crimini contro l'umanità. Tre anni di istruttoria, che prometteva di continuare l'impegno che in patria il giudice Baltasar Garzón fu costretto ad abbondonare, vittima anche lui di quella morsa della politica sulla giustizia che in Italia ben conosciamo. Ieri le vittime avrebbero dovuto finalmente prestare dichiarazione al giudice per videoconferenza, dall'ambasciata argentina a Madrid, ma è arrivato lo stop del governo spagnolo: il processo viola un accordo bilaterale di estradizione e assistenza giudiziaria in materia penale. Il comunicato emesso dalla Spagna parla, come è di rito in questi casi, di "malessere" verso il modo di procedere del giudice argentino, che decide di sospendere l'interrogatorio. Per le vittime è ulteriore maltrattamento ed è bufera sul ministro di giustizia spagnolo, del cui suocero si è chiesta l'imputazione nel processo e con lui di una decina di vecchie cariche dello Stato considerate complici dei crimini della dittatura.
Con questa vicenda assistiamo con sbigottimento ad un tipo di emigrazione forzata dolorosa almeno quanto quella patita per la mancanza di lavoro: emigrare per trovare giustizia è l'ultimo tappo che salta nel sistema democratico europeo sotto la spinta delle esclusioni. E sul veto posto dal governo spagnolo aleggia non il fantasma di Franco ma il suo spirito vivo.
Garzón chiese ed ottenne da Kirchner ciò che per un decennio Menem e De la Rúa negarono alla Spagna: l'estradizione dei criminali della dittatura argentina e la riattivazione di quel processo nel loro Paese.
Ora che è il governo spagnolo a dover garantire il corso della giustizia sui crimini della dittatura di casa propria, questa viene blindata una volta di più come se fosse inviolabile, inespugnabile. E il Valle del los Caídos torna tragicamente ad essere il simbolo supremo di quella cinica pacificazione che va di moda invocare: un posto in cui si crede sia giustizia che vittime e carnefici riposino insieme.
Ci sono ferite su cui una certa politica sparge continuamente sale per convenienza. Soprattutto quando la disoccupazione sale, le disuguaglianze si allargano e l'evidenza dell'inutilità e l'inefficacia delle misure adottate per fronteggiare la crisi non si può più occultare.
Se l'opinione pubblica torna per un po' a scannarsi sulle sponde di quelle fosse comuni in cui le vittime del franchismo ancora non trovano pace né giustizia né pietas, distoglie lo sguardo dai sepolti vivi del macello economico.
In Argentina è in corso un processo che in Spagna si attendeva da 37 anni; è sotto accusa per la prima volta nella Storia la dittatura di Franco, per genocidio e/o crimini contro l'umanità. Tre anni di istruttoria, che prometteva di continuare l'impegno che in patria il giudice Baltasar Garzón fu costretto ad abbondonare, vittima anche lui di quella morsa della politica sulla giustizia che in Italia ben conosciamo. Ieri le vittime avrebbero dovuto finalmente prestare dichiarazione al giudice per videoconferenza, dall'ambasciata argentina a Madrid, ma è arrivato lo stop del governo spagnolo: il processo viola un accordo bilaterale di estradizione e assistenza giudiziaria in materia penale. Il comunicato emesso dalla Spagna parla, come è di rito in questi casi, di "malessere" verso il modo di procedere del giudice argentino, che decide di sospendere l'interrogatorio. Per le vittime è ulteriore maltrattamento ed è bufera sul ministro di giustizia spagnolo, del cui suocero si è chiesta l'imputazione nel processo e con lui di una decina di vecchie cariche dello Stato considerate complici dei crimini della dittatura.
Con questa vicenda assistiamo con sbigottimento ad un tipo di emigrazione forzata dolorosa almeno quanto quella patita per la mancanza di lavoro: emigrare per trovare giustizia è l'ultimo tappo che salta nel sistema democratico europeo sotto la spinta delle esclusioni. E sul veto posto dal governo spagnolo aleggia non il fantasma di Franco ma il suo spirito vivo.
Garzón chiese ed ottenne da Kirchner ciò che per un decennio Menem e De la Rúa negarono alla Spagna: l'estradizione dei criminali della dittatura argentina e la riattivazione di quel processo nel loro Paese.
Ora che è il governo spagnolo a dover garantire il corso della giustizia sui crimini della dittatura di casa propria, questa viene blindata una volta di più come se fosse inviolabile, inespugnabile. E il Valle del los Caídos torna tragicamente ad essere il simbolo supremo di quella cinica pacificazione che va di moda invocare: un posto in cui si crede sia giustizia che vittime e carnefici riposino insieme.
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