lunedì 23 aprile 2012

L'indigesta privatizzazione argentina di Repsol YPF
Di Monica Bedana

Legge della realtà:
Per quanto ravvicinate siano due opinioni, la realtà troverà il modo di infilarcisi in mezzo

In mano di Kristina Fernández de Kirchner, un campione di petrolio argentino

In Spagna non ce la passiamo affatto bene da tempo. Non è più il Paese che tutti consideravano molto fico quando venivano a sapere che qui abito, quello in cui tutti volevano trasferirsi per le politiche sociali, l'economia prospera, la movida infinita.
Adesso siamo la cavia del FMI per misurare il successo (?) dell'applicazione delle misure di austerità; siamo il Paese che produce 7 di ogni 10 nuovi disoccupati dell'UE (oltre il 40% la disoccupazione giovanile). Siamo quelli col mercato del lavoro più liberalizzato e, nonostante ciò, con meno sintomi di ripresa della crescita economica; siamo i primi ad aver messo il pareggio di bilancio nella Costituzione, quelli che lottizzano la televisione pubblica di un solo colore blu popolare dopo anni di prodigiosa indipendenza informativa. Tagliamo di netto la sanità e la scuola pubblica, facciamo pagare il ticket ai pensionati, obblighiamo chi non può più pagare il mutuo a mantenerne la responsabilità penale anche quando ha già consegnato alla banca la casa; il nostro re, nel frattempo, va a caccia di elefanti in Botswana. E a proposito del settore bancario, ricapitalizzazione dopo ricapitalizzazione non c'è verso che riattivi l'economia reale mettendo in circolo anche solo una minima parte del denaro che prende ad interessi zero dalla BCE. 

Siamo quelli il cui Governo è uscito dalle urne con maggioranza assoluta e la applica in modo assolutistico nella figura di Rajoy, negando ad opposizione, sindacati e cittadini il confronto da cui dovrebbe uscire ogni democratico consenso. Una contrazione progressiva ed inesorabile di diritti del cittadino in termini di benessere sociale che manda in porto duramente e sistematicamente l'esatto contrario di quanto promesso in una campagna elettorale troppo recente per essere dimenticata. 
Siamo tutto questo; non siamo un buon esempio di esercizio della democrazia ma ci indignamo se ce lo strofina sotto il naso l'Argentina, quella ex-colonia che ha voluto riprendersi l'impresa più rappresentativa ed intrinsecamente legata alla storia del Paese nazionalizzando il 51% delle azioni di Repsol YPF.

Il 77% degli spagnoli non approva questa nazionalizzazione; il 60%  appoggia le misure di ritorsione annunciate da Rajoy nei confronti del Governo Kirchner; se tutta questa gente sapesse che il primo provvedimento preso consiste nel frenare le importazioni dall'Argentina di biodiesel e quindi favorire la produzione nelle centrali spagnole, vedrebbe magari l'espropriazione come un'opportunità per rimettere in piedi un settore che in Spagna è in ginocchio ed ha perso 3000 dei suoi 4000 tecnici. 

In Argentina Repsol è accusata di non aver investito a sufficienza, di non aver messo a disposizione né capitale né tecnologia, di aver provocato un crollo della produzione che ha obbligato a massicce importazioni di idrocarburi dall'estero, assurde in un paese in cui questa materia prima abbonda in tutte le sue forme. I dividendo agli azionisti però non sono mai venuti meno, mantenendosi sempre tra un vergognoso 80%- 120%. Il Governo argentino è stato a lungo compiacente, ma ora è entrato alla Casa Rosada un giovane keynesiano, Axel Kicillof , professore di economia marxista all'università di Buenos Aires, che ha ricordato senza peli sulla lingua al Senato del suo Paese, alla Spagna e all'Europa tutta che loro hanno già vissuto una recessione come la nostra, che hanno sperimentato sulla propria pelle che non è togliendo l'aria ai pensionati che si rivitalizza la domanda interna, la produzione, la crescita. Che in tempo di crisi lo Stato non è il problema ma la soluzione, che è compito dello Stato essere il motore della rinascita economica e per questo non gli si possono togliere risorse vitali come quell'energia che dovrebbe essere pubblica e che paga invece investimenti privati oltre frontiera e dividendo altissimi ad un'oligarchia.
I critici lo chiamano capitalismo di Stato, protezionismo, intervenzionismo governamentale; ora quello Stato, per tutta risposta, deve provare di avere i mezzi e la strategia per attuare una politica energetica che lo sleghi dalla dipendenza esterna e riporti YPF ai tempi in cui fu la prima impresa energetica statale al mondo, quella che ha accompagnato il Paese per quasi metà della sua Storia.

La nazionalizzazione avviene in un momento cruciale per l'economia politica argentina (alle prese anche con un'inflazione mai dichiarata che supera il 25%) e quella energetica mondiale (prezzi altissimi per l'energia) ed è pregna di una forte dose di sentimento nazionale che va di pari passo con la rivendicazione delle isole Malvine. Il quadro generale che si prospetta, se ben gestito, potrebbe segnare una svolta ed un esempio per mezzo mondo di come potrebbe ancora esserci spazio per un'economia politica che non avvilisce lo Stato, i suoi cittadini e, di conseguenza, la democrazia. Sperando che in questo caso il capitalismo di Stato non nasconda un capitalismo di amici del Governo.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

La crisi morde la Francia e la destra sale
Di Nicola Melloni

L'avevamo detto in questi mesi, non è una crisi solo economica. Quello che stiamo attraversando è un cambiamento di paradigma che coinvolge tutti gli aspetti del vivere sociale, a cominciare dunque dalla nostra democrazia.
In Francia la crisi non ha ancora avuto un suo aspetto virulento paragonabile ai tagli greci o alla disoccupazione spagnola. Eppure il Fronte Nazionale sfiora il 20%. Una Francia profonda che cerca risposte nell'identità nazionale, nel razzismo, nel rifiuto degli immigrati e dei diversi, nel rifiuto dell'Europa di Bruxells. Una risposta classica alle crisi sociali. Anche la Sinistra che rifiuta questo modello di sviluppo e questa economia cresce ed ottiene un ottimo risultato con Melanchon, ma non nascondiamoci dietro un dito: i vincitori sono quelli della destra xenofoba, che hanno scavato, pazienti, per anni, per lustri, ormai per decenni in quelle che erano una volta le roccaforti dell'operaismo e della militanza a sinistra. 
Questi rapporti di forza, questi tragitti politici di lungo raggio non si possono invertire nel corso di una campagna elettorale, per quanto brillante. Bisogna ritornare nelle "officine, dentro terra, pei campi, al mar" alla ricerca di quella "plebe sempre all'oper china, senza ideale in cui sperar", abbandonata dalla democrazia dalle banche e, per troppo tempo, dalla sinistra che era corsa dietro il mito del mercato.
Ora bisogna ripartire, ripartire dall'ottimo risultato della Gauche francese e della Izquierda spagnola, ripartire da una sinistra europea perchè siamo tutti sulla stessa barca scossa dai venti procellosi della crisi. E solo una barca solida, in cui tutti remano nella stessa direzione e non legati alla differenze nazionali, può portare l'Europa democratica fuori dal gorgo. Prima che sia troppo tardi.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete