sabato 31 dicembre 2011



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L'appello di questo blog contro i tagli all'editoria è online su "Liberazione"

Lo riportiamo in questo link, per conoscenza dei lettori e per chi volesse ancora firmarlo.



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venerdì 30 dicembre 2011

La libertà di stampa è un bene comune, salviamola!

La libertà di stampa in Italia è sotto attacco. Lo è stata per due decenni con i governi di Berlusconi, lo è anche oggi che quell’era sembra finita. L'ultimo rapporto di Freedom House cataloga l’Italia come "parzialmente libera" in quanto a libertà di stampa, 75esimi insieme alla Namibia su 196 Paesi presi in considerazione. L'anno scorso eravamo 72esimi.

La libertà di informazione è un bene comune, indispensabile per la difesa della nostra democrazia. E libertà d’informazione vuol dire possibilità di ascoltare più voci, non solo quelle di chi ha il capitale per pubblicare un giornale. Un argomento che non sembra interessare il nuovo governo. L’ennesima finanziaria di quest’anno riorganizza, di fatto cancellando, il fondo per l’editoria. Una sentenza di morte per la maggior parte dei giornali italiani che, anche in virtù di una situazione di monopolio nella raccolta pubblicitaria, non possono sopravvivere senza il contributo pubblico. La libertà di informazione è affidata in toto al mercato, un mercato oligopolistico dominato dai grandi gruppi.

Questi tagli hanno già prodotto una prima vittima, Liberazione, che dal primo Gennaio sospenderà le pubblicazioni. Non bisogna essere comunisti per difendere il diritto ad esistere di Liberazione. Ogni buon liberale dovrebbe far suo il motto di Voltaire: “non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinchè tu possa esprimerle.”

La crisi economica viene usata come grimaldello per scassinare la democrazia. Il 2011 era iniziato con il ricatto di Marchionne, lavoro in cambio di diritti. Ora Monti taglia la libertà di informazione in nome dei conti pubblici. In fondo, parafrasando Tremonti, si potrebbe dire che la libertà non si mangia. Niente di più sbagliato. Meno libertà significa più povertà. Per questo diciamo no ai tagli al fondo per l’editoria.
Non si taglia la libertà di stampa, non si mercifica la democrazia.

P.S.: Abbiamo posto come esempio "Liberazione" perché è stato il primo quotidiano ad annunciare la chiusura, il prossimo 31 dicembre, esplicitamente a causa dei tagli all'editoria previsti dal precedente governo e confermati da quello attuale. Non dimentichiamo tuttavia che sono ben un centinaio le testate destinate quasi sicuramente a non sopravvivere all'attuazione di questi tagli; a grosso rischio anche altri quotidiani storici, non solo vicini al sentire di sinistra come "Il Manifesto" o "L'Unità", ma anche "Il Secolo d'Italia" o "La Padania", solo per citare i più noti.
E' proprio la pluralità di pensiero a diventare particolarmente scomoda quando la democrazia fa acqua.

Per firmare questo appello potete scrivere a resistenza.internazionale@gmail.com oppure lasciare la vostra firma nei commenti, che poi verrà aggiunta alla lista.


Nicola Melloni, Londra
Monica Bedana, Salamanca
Simone Giovetti, Parigi
Genny Carraro, Dublino
Silvia Lanconelli, Bologna
Enrico Bricarello, Torino
Serena Maini, Bologna
Pietro Roversi, Oxford
Simone Rossi, Londra
Manuel Antorán, Saragozza
Felipe Cordobés, Siviglia
Lorenza Raminella, Rovigo
Nicoletta Occelli, Sanremo
Francesca Congiu, Londra
Graziella Sanvitale, Venezia
Silvia Fabbri, Londra
Riccardo Zanaroli, Bologna
Andrea Brunelli, Barcellona
Margherita Melloni, Buenos Aires
Francesco Maiani, Milano
Stefano Mersi, Ginevra
Arianna Morelli, Bologna
Giorgia Battistello, Londra
Katy Paillet, Aosta
Remy Machet, Aosta
Gianluca Gualducci, Bologna
Stefano Valle, Trento
Alessandro Volpi, Madrid
Eleonora Lapi, Londra
Eleonora Brunello, Padova
Elettra Fiocchi, Padova
Irene Zampieron, Ginevra
Claudia Marfella, Milano
Gigliola Sulis, Leeds
Giandomenico Iannetti, Londra
Mauro Pirini, Bologna
Stefano Veneroso, Bologna
Francesca Uras, Bruxelles
Emanuela Patti, Londra
Davide Casale, Bologna
Laura Andrazi, Bologna
Roberto Fenu, Haywards Heath, GB
Filippo Fanò Illic, Barcelona
Max Saltarini, Udine
Gaetano Ciaravella, Seoul, Corea del Sud
Salvatore Vinci
Maurizio Bighignoli, Verona
Rita Lo Vecchio, Spresiano, (TV)
Marco Maggiori, Padova
Orlando Vincenzo, Curno
GianCarlo Poddine, Savona
Angela Marchesi, Voghera
Alda Gazzola
Francesca Fondi, Firenze
Valentina Malaguti,Bologna
Mario Guerriero, Avellino
Mauro Pirini, Bologna
Marco Donà, Marghera (Ve)
Maria (che ha firmato senza cognome)
Nadia Moro, Spresiano, (TV)
Alan Fedato, Milano
Robertino Barbieri, Asciano Pisano (Pi)
Luciano Zenarolla
Ornella Bosco













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Eurocentrismo delle lacrime
Di Nicola Melloni

I giornali occidentali e tra questi in prima fila quelli italiani hanno dato l’ennesima prova di qualunquismo
in occasione della morte di Kim Jong Il, il dittatore Nord coreano. Della Corea del Nord si sa poco, ma non
così poco da giustificare la crassa ignoranza dei nostri media – ignoranza che spesso viene usata come
giustificazione per fare propaganda da bassa macelleria.

Bruce Cummings, uno dei massimi esperti viventi di Corea, aveva già criticato veementemente sulla London
Review of Books di qualche tempo fa (http://www.lrb.co.uk/v27/n24/bruce-cumings/we-look-at-it-and-
see-ourselves) il pressapochismo e la mancanza di analisi serie sul regime di Pyongyang. La situazione non
sembra esser cambiata negli ultimi anni.

Quasi tutte le testate giornalistiche hanno usato la morte di Kim per farsi beffe di un paese intero e del suo
popolo. I pianti isterici dei nordocoreani son stati invariabilmente descritti attraverso due parallele linee
esplicative:

-Il regime costringe la popolazione a manifestazioni pubbliche di contrizione e lutto;
e/o il regime ha creato una cappa culturale insostenibile ed i cittadini son talmente instupiditi da
piangere un dittatore.

- Il sottinteso è che scene di questo genere, nei paesi occidentali, non succedono. I giornalisti ridono beffardi
delle lacrime della gente per quello che viene definito “l’imperatore rosso” (copyright la Repubblica, 29-12-
2011). Ci sarebbe molto da dire sulla reale ideologia nord-coreana, ma Cummings lo fa già brillantemente
nel suo pezzo. Né ho intenzione di difendere o giustificare un regime dittatoriale e che ha clamorosamente
fallito portando una nazione moderatamente sviluppata – fino a 40 anni fa più ricca della Corea del Sud –
nella miseria nera.

Quel che qui importa è la supponenza di certa stampa. Nulla si sa della cultura confuciana e delle tradizioni
dell’Asia, ma le lacrime bastano per dare giudizi impietosi sul sottosviluppo culturale e sull’atmosfera da
grande fratello (orwelliano!!!) che si respira a Pyongyang.

Peccato che le stesse considerazioni si possano tranquillamente estendere ad altri esempi che poco hanno
a che fare con la dittatura comunista. Ai funerali di Giovanni Paolo II hanno partecipato decine di migliaia
di persone e centinaia di migliaia hanno pregato in tutto il mondo per la sua anima. Si dirà, normale per un
leader spirituale – anche se naturalmente nel confucianesimo la differenza tra leader politici e spirituali è
assai sottile.

Nel 2003 diecimila persone hanno partecipato ai funerali di Giovanni Agnelli, ed altre svariate migliaia sono
sfilate nella camera ardente, ed un numero simile ha reso omaggio a Mike Buongiorno. Pure peggio andò
con la morte di Lady Diana, che scatenò una isteria di massa durata per giorni e giorni nel Regno Unito. Sia
chiaro, non c’è nessuna intenzione di mettere sullo stesso piano il papa polacco, Agnelli e Kim Jong Il. Ma
vale la pena di capire come mai, agli occhi di certa stampa, esistono lutti di serie A e di serie B. E soprattutto
di capire perché decine di migliaia di persone si sentano coinvolte in un fatto estremamente privato – ed è
sicuramente più privata la morte di un industriale in pensione che non di un presidente in carica!

Nel caso coreano si dà per scontato il lavaggio del cervello. Siamo sicuri che non sia lo stesso anche dalle
nostre parti?

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giovedì 29 dicembre 2011

(Quasi) un anno di blog

Massí, maddai che in fondo piace un po' a tutti arrivare alla fine dell'anno e ricordare questo e quello dei mesi passati, sfighe comprese, almeno per esorcizzarle.

Oltre 20.000 visite dopo, di sicuro nessuno più ricorda che un freddo giovedí di gennaio questo blog prese il via con un lungo dialogo tra Maurizio Landini e Luciano Gallino; il lavoro, la Fiom, la Fiat erano i punti di riferimento quando eravamo quasi solo un'interessante ma un po' asettica rassegna stampa. 
L'effervescenza si riversava all'epoca nell'appassionato dibattito interno sulla stesura del nostro manifesto fondativo (nientepopodimenoché) nel quale magari oggi stentiamo un po' a riconoscerci. Forse, per il mese prossimo, per un altro giovedí di gennaio, sarebbe opportuno riscoprirci e riscriverci, chissà.

A marzo si accesero i motori (rigorosamente Fiat?) e ingranammo la marcia con uno speciale per l'8 marzo o cosiddetta festa delle donne, seguito dai pensieri sulla Costituzione, che fu un bel lavoretto, diciamocelo. Il mese si concluse con un poderoso dossier sui tagli in Inghilterra (galeotto fu il progetto Merlin e chi lo scrisse, almeno per me).

Ad aprile arrivò, grazie all'anima rock sempre geniale di Simone Giovetti, il post che ci ha bollati per sempre nelle chiavi di ricerca : quel "Video e canzoni per continuare a resistere" che da quel momento ci associa intimamente a "Miguel Bosè da giovane" (come se da vecchio fosse da buttar via, 'sto uomo...).
Ed iniziarono anche le prime collaborazioni, la generosità di Carla, sempre accattivante nella sua semplicità ed il primo di una lunga serie di ottimi editoriali di Nicola da "Liberazione", i quali ora pare dovremo incorniciare come pezzo da museo grazie ai tagli all'editoria. Il mese si chiuse alla grande il 25 aprile, non solo per un certo compleanno ma soprattutto per il bel post sul significato della Resistenza per noi, oggi . Altri tempi. Nei post apparivano perfino dei commenti. Spontanei, lo giuro.

Maggio, momento un po' di crisi. In più d'uno s'è chiesto allora se questo blog valesse la pena. Chi ha creduto di sí ha risposto semplicemente continuando a scrivere, nel modo più efficace, come Simone Rossi .

In giugno, l'emozione collettiva per l'esito dei referendum dopo quella per la meteorica primavera italiana di un mese prima, raccontata da Nicola  Irene. Con grandi tormenti per le sorti del voto italiano all'estero. O forse non proprio grandi. Forse solo di Giovetti e miei, a dir la verità.

Luglio e agosto, i mesi più ricchi di articoli, a dispetto delle vacanze. Abbiamo difeso (o no) la Val di Susa, mentre Carla e Simone Rossi han ricordato la loro Genova 2001. E abbiamo attirato le mosche e poi abbiamo provato a schiacciarle; ed il blog ha iniziato a volare.

In settembre, visto che avevamo quasi niente da fare, abbiamo deciso di aumentare la famiglia ed abbiamo messo al mondo le tre rubriche, senza peccato concepite. Dopo un fatto del genere chi ha più il coraggio di chiedere l'ICI al Vaticano. E ci siamo pure rifatti il look, rossobianco, col logotipo tutto nostro (made in Giovetti, bello come il suo debutto da blogger con lo speciale sul riconoscimento della Palestina all'Onu).

Ad ottobre l'appuntamento era per il 15 con gli indignados di tutto il mondo; noi c'eravamo, ci siamo e ci saremo. Cosí come abbiamo continuato a protestare per tutto novembre contro il furto quotidiano di democrazia a cui siamo esposti ovunque.

Dicembre chiude l'anno come l'avevamo iniziato, con uno sguardo amareggiato sulla fabbrica e sul mondo del lavoro attraverso gli occhi di Giovanni Barozzino.

Un'armonica polifonia di voci, massí, maddai, tiriamocela un po' che (quasi) un anno di blog senza (troppi) spargimenti di sangue è un bel traguardo. Fuori dal coro, che novità, Melloni Bedana, per un anno in disaccordo su tutto eccetto che sulla pappa col pomodoro e la libertà di stampa come bene comune da salvare. Praticamente un trionfo.

Buon 2012 a tutti.

Monica

Grazie a chi per un anno ha scritto, inviato links, contribuito con suggerimenti e molte molte altre cose più preziose. In ordine sparso:
Carla, Francesca, Simone R., Irene, Simone G, Nicola, Gaetano, Alessandro, Genny, Veronica.
Ma grazie anche a tutti coloro che, silenziosi ma costanti, ci leggono da un anno e sappiamo che sono lí.



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martedì 27 dicembre 2011

Le banche, il credito e la via per uscire dalla crisi
Di Nicola Melloni

Da "Liberazione"

Mercoledì scorso, sotto la minaccia di una recessione che è ormai realtà in Italia e che, grazie anche al patto fiscale voluto dalla Germania, rischia di travolgere tutta l’Europa, la Bce è intervenuta con una immissione di liquidità sul mercato pari a 500 miliardi. Nelle intenzioni di Draghi questa mossa dovrebbe sbloccare il credit crunch, riattivare il credito alle imprese e consentire una maggiore esposizione sul mercato dei titoli pubblici. Immerse di liquidità le banche potranno finalmente fare da volano alla ripresa economica e stabilizzare le economie in crisi.

Purtroppo, queste misure sono insufficienti e partono da una visione distorta del sistema economico. La via scelta per rilanciare l’economia sembra ingegnata soprattutto per favorire la ripresa del settore finanziario che potrà accedere ad una vastissima quantità di risorse ad un prezzo irrisorio. Per capirci, le banche potranno prendere a prestito denaro liquido pagando l’1% di interesse e reinvestirlo in attività senza rischio come i Bund tedeschi, guadagnando il 3-4% senza fare nulla. Ma puntare tutto sull’intermediazione finanziaria rischia di essere controproducente.

Nelle intenzioni della Bce, una parte di questi 500 miliardi dovrebbero essere infatti usati per acquistare titoli di stato, così da rallentare la corsa dello spread, pur mancando la garanzia che le banche comprino bond dei paesi più in difficoltà, come Spagna ed Italia. Soprattutto, rimane inspiegabile perché per sostenere i titoli pubblici si debba passare attraverso il sistema bancario privato, quando la Bce potrebbe intervenire direttamente con la creazione di Eurobond. Ma questa possibilità è esclusa, con la solita scusa che gli Stati devono attuare comportamenti virtuosi per finanziarsi direttamente sul mercato. D’altronde, l’architettura istituzionale europea si basa principalmente sull’indipendenza della Bce, precetto di fede più importante della risoluzione della crisi stessa. Basti pensare alla reazione durissima della Ue contro l’Ungheria che vuole mettere la propria Banca Centrale sotto il controllo del governo. Mentre sulle misure razziste e liberticide del governo di Budapest, le critiche europee sono state assai più contenute, chiarendo una volta di più quali sono le priorità di Bruxells e Francoforte.

Inoltre, nonostante si riconosca che la recessione sia legata alla crisi dell’industria, la UE vieta gli aiuti diretti alle imprese, e dunque nuovamente si passa attraverso il settore finanziario per dare liquidità, senza nessuna garanzia di successo. Il mercato non può essere drogato dall’aiuto diretto dello stato. Ma questo non vale per le banche che possono usufruire di prestiti a tassi agevolati e vengono protette da garanzie pubbliche. Se si intervenisse con aiuti diretti alle imprese, queste si potrebbero finanziare al tasso offerto dalla Bce alle banche, l’1%. Invece, le banche rimetteranno il denaro in circolazione a tassi 4-5 volte superiori sfruttando una rendita di posizione per rimpinguare i propri forzieri a danno dell’industria.

Più in generale, la Bce continua ad usare palliativi, seppur necessari, senza intervenire sui problemi di struttura. L’immissione di liquidità può aiutare a superare un problema provvisorio di fiducia, ma non può essere la soluzione della crisi che ci attanaglia da ormai quattro anni. Sul fronte delle banche, invece di continuare ad inondarle di denaro e protezioni, bisognerebbe mettere mano alla loro struttura istituzionale, che al momento ci costringe a continuare a finanziarle e salvarle, pena il blocco dell’industria ed il fallimento degli Stati.

Sul piano economico, si continua a puntare su soluzioni di puro supply side, riattivare la produzione con il credito bancario, mentre i governi fanno di tutto per deprimere la domanda con tasse e tagli. Il problema è che anche con nuove possibilità di accesso al credito le imprese non avranno interesse ad investire se al contempo non riprende la domanda. Si tratta del la classica critica keynesiana all’incapacità del liberalismo di risolvere le crisi di sovrapproduzione. Se una parte di quei 500 miliardi fossero usati per assumere, aumentare i salari e sostenere il consumo privato, l’industria avrebbe la possibilità di aumentare vendite e profitti, riattivando un ciclo virtuoso di crescita. Purtroppo le soluzione logiche e non ideologiche sembrano non interessare le istituzioni europee.

*******

Questo potrebbe essere l'ultimo editoriale di Nicola per "Liberazione", su cui scrive gratuitamente e che da un anno regala anche a questo blog il suo lavoro. Se "Liberazione" chiude, anche "Resistenza Internazionale" perde in modo diretto qualcosa di importante. Se non hai ancora firmato il nostro appello contro i tagli all'editoria, che condannano a scomparire un centinaio di testate oltre a "Liberazione", sei ancora in tempo per farlo, cliccando QUI.
Monica


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lunedì 26 dicembre 2011

26 dicembre 1943. Ritorno al futuro.

Natale di operai italiani in Germania.
La storia si ripeterà?

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Boxing-day, la festa del consumista
(o del "pollo" di batteria)
Di Simone Rossi

Come italiano cresciuto in Italia il 26 dicembre è sempre stata una festività religiosa, dedicata a Santo
Stefano e commemorata sul calendario come giorno festivo. Nonostante non abbia avuto un’educazione
cattolica, questa giornata ha sempre avuto una forte valenza, come la prosecuzione del Natale; un
momento in cui godermi i doni ricevuti, trascorrere un’altra giornata con i nonni e ricevere le visite di
parenti più o meno lontani. Anche crescendo, il 26 dicembre ha continuato ad essere un giorno speciale,
una parte di quel lungo periodo festivo compreso tra il Natale e l’Epifania.

Fino a che non sono giunto nel Regno Unito, paese di cultura anglosassone e storicamente a maggioranza
anglicana. Qui il 26 dicembre è ugualmente festivo, un bank holiday come comunemente sono chiamate
le festività, ma va sotto il nome di Boxing Day. Nome curioso, sulla cui etimologia non sono riuscito a far
chiarezza, sebbene la versione più accreditata sembra sia quella che rimanda alla tradizione di raccogliere
donazioni per i poveri nel giorno successivo al Natale. Oltre al nome cambia la modalità con cui si festeggia
questo giorno: se in Italia la maggior parte delle persone non lavora e trascorre il tempo con parenti o
amici, mangiando a volontà e conversando, nel Regno Unito cominciano i saldi della stagione invernale.
Ecco quindi che le strade delle città, le famose high street, si affollano di acquirenti o potenziali tali alla
ricerca dell’occasione, nella ripresa di quella corsa all’acquisto che solo il Natale ha interrotto. Per un
giorno.

Anche nelle festività e nel modo in cui si celebrano possiamo individuare i tratti di una cultura; a dispetto di
altri giorni festivi che non sono contraddistinti da alcuna denominazione (ad esempio Festa dei Lavoratori,
Festa del tal santo, Festa dell’Indipendenza…), dopo Natale viene Boxing Day ma della sua origine e della
tradizione ad esso collegato rimane poco o nulla. Per tutti e tutte, tolto chi si è impiegato nel commercio, è
semplicemente un giorno di riposo dal lavoro in cui lanciarsi all’acquisto, abbagliati dalle decine di cartelloni
che lanciano sconti a due cifre, al limite della donazione. Si tratta di un approccio alla vita in cui il tempo
libero trasforma il lavoratore in consumatore, le uniche due dimensioni accettabili per la società di inizio
secolo, che teme la libertà di pensiero e di associazione delle persone e tenta di sterilizzare ogni forma di
potenziale dissenso.

Un approccio simile mi è capitato di riscontrarlo anche nel Terzo Settore. Un paio di anni fa, ad esempio,
l’ente nazionale che promuove e coordina l’attività delle associazioni senza scopo di lucro lanciò una
campagna per invitare i giovani a dedicarsi al volontariato, sottolineando come esso fosse un possibile
metodo per acquisire esperienza e partire con una marcia in più nella ricerca di un primo impiego. In tempi
più recenti mi sono avvicinato al banchetto di un’organizzazione di quartiere che promuove iniziative
sociali e di riqualificazione urbana, sentendomi rispondere che al momento non avevano risorse per nuove
assunzioni; altre associazioni, invece, propongono di raccogliere fondi per strada o di servire nei loro negozi
di beni di seconda mano, diffusi capillarmente sul territorio. Il fatto che una persona possa avere delle
competenze da metter loro a disposizione non pare rientri nelle considerazioni di queste organizzazioni,
che basano le proprie attività prevalentemente sul personale salariato e sono alla perenne ricerca di fondi.

Questo modello economico e sociale è indicato come un modello da molti liberali e liberisti italiani,
specialmente quelli che a Sinistra sentono di dover espiare una qualche colpa ancestrale, che bollano i
fautori di modelli alternativi come anti-moderni, passatisti, retrò. Ebbene, lasciatemi esser retrò, a godermi
il mio tempo libero rafforzando i legami con il mio tessuto sociale, a staccare per ventiquattro ore da un
sistema che mi vorrebbe conforme ad una massa che è perché compra, a prescindere da quale contributo
dia al miglioramento della vita del prossimo.


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giovedì 22 dicembre 2011

La Spagna sfoggia nuovo Governo. Tecnico.
Di Monica Bedana

In Spagna si è insediato ieri il nuovo governo tecnico uscito dalle urne, composto da uomini e donne (poche) in lista d'attesa per il potere da otto anni, come lo è stato l'attuale presidente del consiglio, Mariano Rajoy.

Una vice-presidente tutta da scoprire dal punto di vista politico (Soraya Sáenz de Santamaría), un ministro dell'economia apertissimamente liberale, con un passato da Lehman Brothers e in forte odore di conflitto di interessi (Luis de Guindos, uomo di Rodrigo Rato, ex presidente del FMI. Consigliere delle potenti imprese Endesa e Logista, del gruppo editoriale de "El Mundo" e della banca Mare Nostrum. Un profilo che promette grosse emozioni).
Per il resto troppi volti da tempo noti, molto zampino di fedelissimi di Aznar, molti entusiasti delle privatizzazioni, molti professionisti di come far salire alle stelle il debito pubblico (ne è un esempio il sindaco di Madrid, Alberto Ruíz Gallardón, ora ministro di Giustizia). Poche differenze insomma, sulla carta, rispetto al governo Monti imposto da un colpo di mano di Napolitano con la complicità del nucleo duro dell'Europa e l'incalzare dei mercati. 

Dalla Moncloa, un programma di governo finora solo vagamente accennato, sconosciuto ai cittadini ma di cui Angela Merkel deve conoscere da tempo ogni dettaglio, giacché è stata la prima ad incitare Rajoy a compiere quanto prima il suo prodigioso disegno di futuro. Sarà interessante vedere in che modo coloro che furono i paladini della bolla immobiliare sapranno rilanciare l'economia, cancellare la disoccupazione, riordinare il sistema bancario e, soprattutto, riuscirci mantenendo intatto lo stato sociale. Il pareggio del bilancio inserito nella Costituzione questi signori lo votarono con entusiasmo la scorsa estate, quando stavano all'opposizione; ora tocca assumersene la responsabilità.

Ricordati di firmare il nostro appello contro i tagli ai fondi per l'editoria. La libertà di stampa è un bene comune, salviamola!


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lunedì 19 dicembre 2011

I costi della democrazia e la crisi che paghiamo

Qualche mese fa Repubblica lanciava la sua campagna contro la legge bavaglio che rischiava di mettere a rischio la libertà di stampa. Oggi, in una situazione ben peggiore, il silenzio assordante dei principali mezzi di informazione è la più lampante sirena d’allarme dei rischi che corre la democrazia in Italia ai tempi della crisi.


Di cosa parlo? Già, potrebbero essere in molti a chiederselo. Con la nuova legge finanziaria, insieme alle pensioni decurtate ed all’ICI sulla prima casa anche dei meno abbienti, c’è un passaggio che rischia di avere conseguenze disastrose. Il fondo per l’editoria viene, di fatto, cancellato. Costringendo diverse testate, tra cui Liberazione, Il Manifesto e l’Unità – ma anche il Secolo d’Italia – alla chiusura.
Naturalmente potremmo pensare che di fronte ai sacrifici imposti a tutti gli italiani sia normale che lo Stato non sprechi soldi per finanziare i giornali. Anzi, c’è chi, come Beppe Grillo, che si batte da anni per togliere i contributi pubblici. Ma è una scelta miope, dirò di più, anti-democratica. 
La democrazia ha dei costi che lo Stato si deve assumere. Tra questi costi ci sono il finanziamento dei partiti e dei giornali – come per altro avviene praticamente ovunque in Europa. I populisti vogliono abolire entrambi ma non bisogna confondere i privilegi con le necessità. Una politica senza contributo pubblico ai partiti rischia inevitabilmente di trasformarsi in uno stato oligarchico in cui i partiti sono finanziati dai privati, cioè dai ricchi che hanno più possibilità di rappresentare i loro interessi – come succede negli Stati Uniti. 
Idem, quasi peggio, per i giornali. La stampa libera è una componente fondamentale di un regime democrtico sano. Il fondo per l’editoria permette pluralità di informazione, anche le voci di minoranza, anche le voci senza capitale possono essere ascoltate. A maggior ragione in Italia, dove la concentrazione della raccolta pubblicitaria priva i giornali di partito di indispensabili risorse. Senza fondo rimarranno (quasi) solo i giornali dei padroni (dei giornali), cioè sempre degli oligarchi. In un momento di crisi, di governi che tagliano, di risveglio dei movimenti, c’è bisogno più che mai di voci dissenzienti, che raccontino altre prospettive, altre realtà.
Uno dei più grandi politologi viventi, Robert Dahl, ci ha spiegato che la democrazia non è solo un fatto di procedure. L’informazione e l’effettiva eguaglanza dei voti sono indispensabili per evitare che ci siano cittadini più uguali degli altri, per permettere che gli elettori siano adeguatamente informati. Per questo ci siamo battuti in tanti contro Berlusconi. Salvo poi dimenticarselo quando l’attacco alla libertà d’informazione e alla democrazia viene dal governo Monti.   




Nicola Melloni




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venerdì 16 dicembre 2011

Frankie Hi-nrg rivisited













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mercoledì 14 dicembre 2011

Il ritorno del razzismo




C’eravamo ormai abituati e non ce ne eravamo neppure accorti. Il razzismo instituzionalizzato era diventato un fatto normale, le sceneggiate di Borghezio, gli insulti di Bossi. E le camice brune che sfilano, manco fosse un grottesco carnevale. Presenti al congresso quasi esoterico di Scilipoti, uno che difficilmente avrebbe passato il test dell’ariano perfetto, ed anche da italiano fà fatica. E Storace, fiero fascista, da sempre corteggiato da Berlusconi. Ed infine lo sdoganamento in TV: Buttafuoco che declama i suoi editoriali sulla 7, manco fosse D’Annunzio, facendosi riprendere nientemeno che dalla sede di Casa Pound, uno dei covi del fascismo del Terzo Millennio. Il tutto sotto lo sguardo pacioso e compiaciuto di Luca Telese.
Insomma, la banalizzazione del male, e certo Buttafuoco in TV non insulta nessuno se non la lingua italiana, e Borghezio è lontano anni luce dall’imbracciare una tanica di benzina o una pistola. Ma un danno lo hanno fatto, ci hanno fatto dimenticare che il razzismo non è un fenomeno di “colore”, il razzismo è bestialità e violenza. E mentre noi ce ne dimenticavamo, covava silenzioso nella pancia del paese, salvo poi eruttare con violenza.
Nel weekend, a Torino, abbiamo avuto un progrom contro gli zingari, perchè si sa, “io non sono razzista, ma di sti zingari non se ne può più”. Nessuno ricorda, conveniente dimenticanza, che l’Olocausto non c’è stato solo contro gli Ebrei, ma pure contro i Rom. Ma è roba di tanto tempo fa, e poi, avevano violentanto una ragazzina illibata, figuriamoci. Ah, no, l’unica violenza subita dalla ragazzina era quella psicologica che subiva dai famigliari, italianissimi e cattolicissimi, chè nel 2011 il sesso pre-matrimoniale è ancora la porta per l’inferno. Ma tant’è, se anche non sono stati gli zingari, è comunque sempre colpa loro. E via a bruciare le case misere in cui vivono.
E poi i neri. Che sono qui a rubarci il lavoro, per di più sono mussulmani e uccidono la nostra storia e la nostra cultura. Peccato che di solito chi fà di sti discorsi di storia e cultura abbia sentito parlare piuttosto raramente – spesso si esprime in dialetto al contrario dei tanti immigrati che parlano in italiano e non ha mai imparato che l’Italia è il prodotto più singolare di un melting pot culturale sviluppatosi per secoli. E certo, ora che i senegalesi a Firenze sono stati assassinati come cani, tutti prendono le distanze, è il gesto isolato di un matto. No, un momento. C’è anche chi applaude. Ed alla manifestazione di protesta e sdegno, pochi “italiani bianchi”, e serrande abbassate per paura di disordini.
Sarebbe forse il caso di non dimenticare che il nazismo divenne fenomeno di massa in pochi anni di crisi economica e che in Francia il fascismo lepenista è nato e cresciuto nella cintura industriale abbandonata che era una volta il bastione della sinistra. Non possiamo accettare che fascismo e razzismo ci entrino in casa, travestiti da intellettuali d’area o da politici folkloristici e poi sorprenderci che questo seme marcio cominci a dilagare dove trova terreno di coltura più facile, tra ignoranti e disperati con la paura del diverso. Dobbiamo fermarli prima.

Nicola Melloni


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lunedì 12 dicembre 2011

Intervista a Giovanni Barozzino, l'operaio che non vuole cedere a Marchionne
Di Monica Bedana


La storia di Giovanni (e di Marco e di Antonio) è la storia di come nell'Italia del XXI secolo si possa essere licenziati per il solo fatto di aver esercitato un diritto garantito dalla Costituzione, il diritto allo sciopero. Ma è anche la storia di come dalla rottura di ogni regola da parte della fabbrica possano scaturire la solidarietà e la riscossa sociale.
Questo blog nacque dalla necessità di esprimere quella stessa solidarietà all'unico sindacato che ancora si oppone con valore all'annullamento della pace sociale nel nostro Paese, la Fiom.
Ripercorrere con Giovanni Barozzino - “semplice operaio” che con l'aiuto di Fiom ha sfidato l'onnipotenza di Fiat- la sua vicenda lavorativa e giudiziaria è purtroppo paradigmatico di quale potrebbe essere il futuro di tutto il mondo del lavoro se viene slegato da ogni protezione istituzionale. Ma questo percorso significa anche e soprattutto far conoscere una storia umana straordinaria.

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Il “caso Melfi”

In luglio del 2010 Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, operai dello stabilimento Fiat (Sata) di Melfi vengono sospesi e poi licenziati con l'accusa di aver sabotato l'attività lavorativa dei compagni durante uno sciopero.
Iscritto alla Fiom dal 1997, Giovanni ha svolto il ruolo di Rsu di fabbrica fin dal 2001; nelle elezioni di giugno del 2010 è stato il primo eletto dello stabilimento. Un mese dopo il licenziamento, in seguito al ricorso dei tre operai sostenuti da Fiom, il giudice del lavoro obbliga Fiat a reintegrarli e accusa l'azienda di comportamento antisindacale: un sentenza storica che però non garantisce ai tre la ripresa dell'attività lavorativa.
Fiat ricorre il provvedimento di reintegro e nel frattempo, in attesa della discussione del ricorso, impedisce loro di accedere alla catena di montaggio; in pratica li paga per non farli lavorare. In qualità di rappresentanti sindacali, l'azienda li autorizza a svolgere solo tali attività, relegandoli in una stanzetta, lontano dai lavoratori, costringendoli ad una messinscena grottesca dell'esercizio dei diritti sindacali che suscita la commozione dei loro compagni, di buona parte dell'opinione pubblica e perfino la “calorosa vicinanza” del Capo dello Stato.
Tutto ciò non è sufficiente ad evitare che un anno dopo il verdetto sul ricorso di Fiat ribalti la situazione a favore della fabbrica ed i tre vengano di nuovo licenziati, con una sentenza carica di polemiche sia per le motivazioni che adduce sia per le prove ammesse e non ammesse in giudizio.

In settembre del 2010 Giovanni, Antonio e Marco iniziano a girare le fabbriche Fiat per parlare di diritti ai compagni; vanno “in marcia per il lavoro, in marcia per la dignità” ed il viaggio si conclude a Roma, sotto il Ministero di Giustizia, per chiedere che la loro sentenza venisse rispettata dalla Fiat, che la giustizia fosse uguale per tutti. La loro storia è raccontata nel documentario  "107 secondi".

In luglio di quest'anno è uscito il libro di Giovanni, “Ci volevano con la terza media”, presso Editori Internazionali Riuniti (www.editoririuniti.net), con l'introduzione di Maurizio Landini e la prefazione di Gabriele Polo. Le sue pagine racchiudono la verità di chi ha lavorato alla Fiat per oltre 15 anni, raccontandola con buonsenso, generosità ed ironia.

Giovanni (a destra), con Marco e Antonio nei giorni della protesta
Immagine dalla web "L'isola dei cassintegrati"
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Il mio lungo dialogo scritto con Giovanni Barozzino inizia l'estate scorsa, proprio quando l'articolo 8 della manovra di agosto varata dal Governo Berlusconi spalanca le porte ai licenziamenti facili e sferra un attacco frontale all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. In quei giorni venivano liquidate la libertà e l'autonomia del sindacato insieme al Contratto Nazionale di Lavoro. Gli chiesi come si sentisse in quei momenti, sia come sindacalista che per la sua situazione lavorativa di operaio licenziato da pochi giorni da Fiat.
Tre mesi dopo siamo alle prese con i tagli della manovra Monti, che ancora una volta colpiscono duramente solo lavoro e pensioni. Mi è d'obbligo ricordare in primo luogo le sue parole di allora, soprattutto oggi, con lo sciopero generale dei metalmeccanici in atto.

Come mi sento? Umiliato, derubato, offeso, come uomo e come cittadino. Alcuni mesi fa in un dibattito politico un cittadino mi disse che Marchionne e Berlusconi sono praticamente la stessa cosa, infatti tutti e due vogliono cancellare le leggi, uno attraverso la Costituzione, l'altro attraverso lo Statuto dei Lavoratori. Devo dire che non solo sono perfettamente d'accordo ma aggiungo addirittura che chi pensa che questi siano dei politici si sbaglia di grosso secondo me; io penso che questi ormai non sono altro che dei portaborse dei poteri forti che attraverso l'aiuto di gran parte dei giornali e tv pensano di far passare queste nefandezze per riformismo e progresso. Difficile, nonostante le leggi che erano in vigore (vedi articolo 18 o Statuto dei Lavoratori) difendersi dalla prepotenza di chi ha un potere immenso, a volte sembra di sbattere contro un muro di gomma per quanto è grande il loro potere mediatico e economico. Nel momento in cui passeranno queste “riforme” la tragedia paradossalmente sarà per quello che non sarà scritto nei contratti: chi oserà dire che non è d'accordo?
Ho sentito tanta gente dire che questa crisi devastante sia molto simile a quella del 1929. Io non ero ancora nato ma ho letto tanto e attentamente di quella crisi e purtroppo ho notato tante analogie con questa. Anche allora, come adesso, i poteri forti hanno deciso di non ascoltare il popolo e quindi non rispettare la democrazia e la dignità. Queste scelte, se non erro, hanno partorito il nazifascismo in Europa e, di conseguenza, portato alla guerra. Morale della favola (si fa per dire) la storia ha insegnato a tutti noi che togliere la democrazia e, di conseguenza, i diritti e la dignità, non ha mai portato a niente di buono. A ognuno di noi non spetta che riflettere attentamente.

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Lo sciopero che causerà il licenziamento di Barozzino, Lamorte e Pignatelli avviene la notte tra il 6 ed il 7 luglio 2010. Le radici di questo sciopero affondano però nel profondo malessere creatosi in fabbrica fin dall'anno precedente, quando la Sata di Melfi decise di rompere il contratto nazionale e di sottoscriverne uno separato, approvato solo da alcune firme sindacali. E' l'ormai noto “modello Marchionne”, lo stesso applicato a Pomigliano e Mirafiori, che mira a fomentare lo scontro diretto tra sigle sindacali per sbriciolarle. E' soprattutto il modello dell'imposizione scellerata della scelta tra posto di lavoro e diritti, scelta che il lavoratore si trova ad affrontare completamente solo, privato della tutela di una rappresentanza sindacale da lui votata. Questa, a sua volta svuotata di ogni potere di negoziato dall'annullamento del contratto nazionale, non può che farsi corporativa e cedere ad ogni ricatto; non c'è margine per la trattativa se la minaccia costante è che la fabbrica chiuda i battenti.

Il primo effetto dell'applicazione del nuovo contratto alla Sata di Melfi fu l'eliminazione dell'integrativo aziendale pagato annualmente agli operai in base alla produzione effettuata. La progressività dell'integrativo era già stata congelata fino al 2012 con un accordo di tutte le sigle sindacali ma Fiat non ritenne tale misura sufficiente e decise di cancellare tutto il premio.
Il secondo effetto del contratto separato fu l'applicazione della cassa integrazione a quasi 2000 persone; al tempo stesso l'azienda decise un aumento della produttività di circa il 13%.
E' in queste condizioni lavorative che in fabbrica matura l'idea dello sciopero, che Fiom avrebbe voluto fosse generale ma che non viene condiviso nelle modalità da tutte le sigle sindacali.

Giovanni, un intero capitolo del tuo libro è dedicato al racconto della fatidica notte tra il 6 ed il 7 luglio 2010. Cassa integrazione e, al contempo, aumento della produttività in fabbrica del 12%-13%. Sembrerebbe un controsenso, invece è un detonatore dello sciopero che darà il via a quella caccia alle streghe che vi porterà tutti e tre al rogo. Uno sciopero limitato ad una piccola area del montaggio -mentre per Fiom sarebbe stato necessario che tutto lo stabilimento scioperasse- e con la defezione di alcune sigle sindacali. Dal tuo racconto sembra che tutto, quella notte, sia stato orchestrato in maniera impeccabile per sfociare in una punizione esemplare. Gli operai rappresentati da Fiom stanno pagando con una vera persecuzione premeditata la solitaria opposizione del sindacato agli accordi di Pomigliano?

Non puoi immaginare quante volte ho pensato a quella notte e ci penso ancora, tanto da farmi venire una malattia. Posso assicurare che quella notte non è successo nulla di quello che la Fiat ha voluto far credere. Le loro tesi sono state smontate totalmente dal primo giudice e, paradossalmente, in parte anche dal secondo giudice (*). Oggi infatti non siamo più sabotatori ma siamo comunque licenziati (la sentenza dice che non c’è stata "nessuna premeditata intenzionale volontà di sabotaggio", n.d.r.). Io tutte le mie perplessità o le “cose” strane di quella notte le ho riportate nel mio libro chiaramente. Forse chi dovrebbe aggiungere qualcosa sono quei sindacalisti della FIM, UILM, FISMIC, UGL che la notte dello sciopero hanno firmato un documento dove oltre a certificare il rispetto delle regole dello sciopero condannava il preposto della Fiat per atteggiamenti provocatori. Queste persone poi davanti al giudice si sono rimangiate ogni parola e hanno dichiarato di aver firmato “perché non stavano bene quella notte e quindi non capivano quello che firmavano” oppure che l'avevano firmato “per prassi”, una frase molto cara a Fiat. In realtà le registrazioni fatte a loro insaputa agli stessi delegati firmatari del documento dimostrano che quella notte era tutto organizzato. Provocatoriamente mi viene da chiedermi se queste “prassi” o questi “sentirsi poco bene” potrebbero permettere a qualsiasi cittadino italiano di ritirare una firma davanti alla legge.
Hai descritto le motivazioni dello sciopero. Penso che se la politica fosse stata “attenta”, per la Fiat sarebbe difficile dare spiegazioni credibili al Paese delle azioni che compie. Come si può giustificare infatti che da un lato metti in CIGO tantissimi lavoratori (pagati dai cittadini!) dall'altro aumenti la produzione...l'unica cosa che posso aggiungere in merito, sarcasticamente, è che questa forse è una nuova forma di incentivo...incentivo umano...tanto gli umani costano poco con la globalizzazione, meno degli incentivi per la rottamazione delle vecchie auto.
(*) QUI alcuni passaggi essenziali delle motivazioni depositate dal giudice del lavoro di Melfi, Amerigo Palma, che ha accolto il ricorso della Fiat sul reintegro dei tre operai

“Quella notte non è successo nulla di quello che la Fiat ha voluto far credere”.
In effetti i tabulati telefonici e numerose testimonianze dimostrano e certificano che all'ora in cui ti si accusa di sabotare la produzione non eri nemmeno ai carrelli. Prove che non sono state prese in considerazione dal giudice che ha accolto il ricorso di Fiat e che vi ha licenziati definitivamente. Cosí come non ha tenuto in considerazione due registrazioni da te effettuate in cui alcuni tuoi colleghi sindacalisti, appartenenti a sigle vicine a Fiat, parlano apertamente della volontà dell'azienda di fare “pulizia etnica” nei riguardi di Fiom e sostengono che un funzionario aziendale avrebbe incassato una specie di taglia di 5000 euro per il vostro licenziamento. Quaranta giorni prima di essere licenziato hai addirittura ricevuto un sms in cui ti si diceva di “stare attento”. Raccontaci come si sono svolti i fatti quella notte, ché ci servirà a capire il clima ed i toni in cui si svolgono le relazioni in fabbrica.


Il cellulare di Giovanni, con il messaggio che contiene il consiglio di "stare attento" 

QUI l'audio in cui un delegato sindacale di Uilm parla della pulizia etnica necessaria in fabbrica.
QUI invece l'audio che allude al compenso di 5000 euro pagato ad un dirigente per i licenziamenti dei tre di Melfi

In un sms del 26 maggio 2010, quindi ben prima del mio licenziamento, di fatto venivo avvisato di stare attento al signor ... perchè “è pericoloso” e di non rimanere mai da solo. Il ''signor''........è il preposto che di fatto ci ha licenziato ed è anche quello a cui alludi, quello che nella registrazione secondo il delegato Uilm avrebbe ricevuto i 5000 euro per il nostro licenziamento.
A mandarmi questo sms è stata la moglie di un altro dirigente Fiat -e già questa non mi sembra una cosa normale-. Questa signora, moglie di un altro dirigente Fiat, 40 giorni prima sapeva forse già cosa doveva succedere quella notte? Che strana coincidenza?!
In realtà prima di questi fatti lei era una mia amica, nonchè compagna di sindacato (lei lavorava in un'altra fabbrica, quindi non in Fiat ); dico “era”, perchè nel momento in cui abbiamo reso pubblico l'sms mi ha tolto il saluto.
Lei non solo mi aveva mandato l'sms, ma addirittura mi aveva telefonato per “avvisarmi'' di stare molto ma molto attento. Se si pensa che suo marito occupa lo stesso ruolo di chi mi ha licenziato, non credo che ci voglia molto a capire da chi l'ha saputo, cosa sarebbe successo.

Io voglio sempre precisare una cosa: la contestazione fattami dalla Fiat recita, fra le tante bugie che dalle 2.20 fino alle 2.30 precise quella notte, io insieme agli altri due eravamo davanti ai carrelli; poi alle 2.30 esatte ci siamo spostati. In realtà io arrivo li fra le 2.27...2.28 - fatto più che dimostrato dai tabulati e dalle tante testimonianze (“Alle due, ventiquattro minuti e diciassette secondi”, come precisa Antonio nel suo libro, riceve una telefonata sul cellulare da Antonio Lamorte, che lo prega di rientrare in fabbrica, luogo da cui si era momentaneamente allontanato, n.d.r.). Se lo sciopero finisce alle 2.30 (lo scrive Fiat, non io) io parlo con questo ''signore '' che, appena arrivo mi contesta e poi mi licenzia, per non più di 2 min, a carrelli fermi. Il primo giudice aveva domandato al solito ''signore'' se era sicuro degli orari della contestazione, lui ha risposto di sí.

A questo punto mi chiedo se dalle 2.20 alle 2.30 questo “signore” ha parlato con il mio fantasma. E, in questo caso, non sarebbe falsa testimonianza? Tengo inoltre a precisare fortemente che io arrivo in quel luogo perchè i preposti aziendali erano li! E intervengo solo per difendere Marco Pignatelli, solo per chiedere per cortesia al preposto in questione di abbassare i toni perché stava aggredendo a parole Pignatelli. Non sapevo nemmeno di cosa stessero discutendo...la reazione istantanea di questo signore è stata: “Allora sei contestato anche tu!” Posso assicurare, - ma lo testimoniano più di 40 lavoratori e, paradossalmente, anche tutta la Rsu, firmando il documento- che il preposto gridava cosi tanto e ripeteva, portandosi la mano all'orecchio: “Forse non ti è chiaro, sei contestato”, tanto che mi è venuto spontaneo dirgli: “Ma che, ti si è incagliato il disco?”. Penso che chiunque avrebbe risposto cosi, come minimo! Io invito tutti i lettori a cercare di capire come si fa a parlare con uno che ti grida addosso senza motivo e ti gesticola contro con la mano. Quando gli abbiamo poi chiesto “Dicci tu dove dobbiamo andare!” di nuovo c'è una enorme bugia nella sentenza, perchè quella frase è stata detta nel momento in cui tutti ci siamo spostati. Il capo Ute era arrossito dalla vergogna perchè non riusciva a far ripartire il carrello perchè sempre questo ''signore'' continuava a gridare anche contro il suo sottoposto. Nel frattempo per poco una tradotta, che stava fornendo il materiale sulle linee, nello stesso corridoio, quindi stava funzionanado, non investiva dei lavoratori, allora io ho detto ai lavoratori , a voce alta quella frase, “Dicci tu dove dobbiamo andare” che non ricordo neppure se proprio con quelle esatte parole, ma era semplicemente una frase detta nel momento in cui tutti andavamo via e soprattutto dopo che tutti avevano capito la figuraccia che aveva fatto questo signore, in quanto ormai a tutti era chiaro che i carrelli erano fermi e non certo per colpa nostra. Il senso della frase era “Adesso ci diranno che blocchiamo le tradotte?”. Tanti lavoratori addirittura ridevano nel vedere come questo signore trattava il suo sottoposto e sopratutto per come si erano sgonfiate le loro accuse ridicole.

Raccontare tutto è impossibile, ma a me pare di capire che oggi noi saremmo licenziati per qualcosa di diverso dall'oggetto della contestazione, cioè l'aver sabotato la produzione (la sentenza del giudice Palma dice che “non c’è stata nessuna premeditata intenzionale volontà di sabotaggio” da parte dei tre operai e che il blocco del carrello “potrebbe essere avvenuto verosimilmente per colpa, ossia per contatto inconsapevole di qualcuno, data la concitazione degli eventi”, n.d.r.).
Non è dimostrabile che io abbia dei poteri soprannaturali e quindi non potevo fermare i carrelli con la mente da una distanza di 200 mt, visto che non ero presente sul luogo. Leggendo le testimonianze Fiat per esempio ci si accorge che Marco per alcuni testimoni Fiat è subito presente nella contestazione, per altri invece è venuto dopo ...quindi appare e scompare dalle testimonianze di Fiat . E infine sarebbe addirittura riapparso per difendere me ed Antonio Lamorte. Il primo giudice ha chiesto a Fiat: “Se c'erano tutti i lavoratori nel corridoio, perché la contestazione è stata fatta solo ai delegati Fiom?”. La risposta: “Perché sono i più rappresentativi e conosciuti”. Anche qui due grosse bugie... la prima, io non c'ero, la seconda... Antonio Lamorte era al primo mandato, mentre lí erano presenti delegati di altre organizzazioni al quinto mandato.
Se non vivessimo una tragedia, sembrerebbe di stare su “Scherzi a parte”, infatti ogni capo ha fornito un'orario a piacere. Credo che tutto quanto avvenuto sia stata una azione prettamente politica per alzare la tensione nello stabilimento. Per esempio non si capisce perché hanno scelto proprio Marco e Antonio che erano quelli meno esperti rispetto agli Rsu di altre organizzazione sindacali che erano presenti quella sera ed erano peraltro molto più conosciuti dall’azienda.

Mi colpisce l'assoluta mancanza di rispetto e la presenza in fabbrica di un clima che ci riporta ai tempi della rivoluzione industriale, nei rapporti tra capi e operai.

Io la fabbrica o un luogo di lavoro lo intendo come un luogo di rispetto reciproco e di serenità. Sono convinto che in un ambiente sereno il primo a trarne beneficio sarebbe addirittura il proprietario. Ti assicuro che se tu potessi vedere il mio curriculum lavorativo ti accorgeresti che non sono uno che sputa nel piatto dove mangia e questo solo per dirti che il valore del lavoro io lo conosco, non permetto a nessuno di insegnarmelo, ma ho la pretesa di meritare -come tutti!- un lavoro che mi dia DIGNITA'... è pretendere troppo ? Ti faccio un esempio: in 9 anni ho 5 giorni di malattia fatti per un piccolo intervento...altro che fannullone!
Ma ci rendiamo conto invece di dove ci stanno portando ? I nostri licenziamenti non sono forse un esempio ? Mi trattano da SABOTATORE.... sono uno che in due minuti è colpevole di non aver letto la mente altrui e quindi colpevole per non aver capito che mentre costui gridava come un pazzo contro un lavoratore, in realtà stava attento a non farci travolgere da dei carrelli fermi ! Perdonatemi... ma per i miracoli mi sto attrezzando, mi vien da rispondere! Scusa l'ironia, ma a volte se non faccio cosi, impazzisco.
Infine, Fiat ha presentato come prova una fotografia del luogo nel quale si sarebbero svolti i fatti contestati. Notavo che in quella foto c’era qualcosa che non andava, era un altro corridoio; abbiamo portato le prove che il luogo non era quello.

Tra contraddizioni, prove dubbiose ed improperi, spicca anche l'atteggiamento ipocrita assunto dalle altre sigle sindacali durante la gestazione e svolgimento dello sciopero e di tutte le sue conseguenze.
Un esempio di come, detto con parole di Maurizio Landini, “il sindacato diventa corporativo e perde la sua natura confederale”.

Quella notte i delegati Fim, Uilm, Fismic,Ugl, non solo hanno firmato il documento, dove si condannava il preposto e di conseguenza si certificava che lo sciopero si era svolto nel pieno rispetto delle regole; successivamente hanno voluto consegnare personalmente a Marco il documento, dopo pochissimi minuti, per rassicurarlo. Riporto le testuali parole dette a Marco: “Stai tranquillo, con questo documento che abbiamo scritto vedrai che quel signore la finirà con questi atteggiamenti”. Testimoni di tale episodio anche i lavoratori che non avevano scioperato.
Poi queste sigle sindacali addirittura hanno scioperato contro la nostra sospensione per altri 3 giorni; si sono defilati solamente al quarto giorno e l'hanno anche detto pubblicamente in assemblea davanti ai cancelli. Mentre i lavoratori, avevano deciso per lo sciopero ad oltranza, loro erano d'accordo per 2 ore giornaliere.... cosa è cambiato dopo io proprio non lo so, o anzi forse lo so benissimo! Se si mettessero insieme i pezzi non sarebbe poi cosi difficile capire cosa c’è dietro. L’ho già detto e lo ripeto, il nostro è stato un licenziamento politico. Come ultima cosa vorrei aggiungere che quando dopo le testimonianze dei delegati firmatari del documento si è capito che di fatto si rimangiavano il documento stesso, tanti lavoratori non aderenti allo sciopero, che però avevano assistito alla discussione dove a maggioranza (quindi Fim, Uilm, Fismic, Ugl ) avevano deciso in alternativa allo sciopero il documento, erano pronti a dire al giudice che tale documento era stato voluto dai delegati. Ma per il giudice nemmeno questo ha avuto importanza.

Il documento firmato da tutti i sindacati la notte dello sciopero. “La Rsu rigetta tali atteggiamenti e precisa che tutto si è svolto nel pieno delle regole”, vi si legge

Sciopero, contestazione nei vostri confronti da parte dell'azienda, divieto per voi tre di entrare in fabbrica. Nove giorni dopo vi arriva il licenziamento. La Fiom fa ricorso e per il Giudice del Lavoro Emilio Minio quel provvedimento è “antisindacale, sproporzionato ed illegittimo” e vi rimette in servizio con decreto d'urgenza. Un anno dopo, un altro Giudice, Amerigo Palma, accoglie il ricorso di Fiat e vi licenzia nuovamente. Cos'è cambiato in un anno che abbia permesso il ribaltamento cosí clamoroso della prima sentenza?

Io chiedo solo una cosa, che emerga la verità e quindi la giustizia Noi non cerchiamo il tifo... con tutte le prove che i lettori hanno avuto modo di conoscere finora ci sarebbe da fare arrossire la nazione dei potenti dalla vergogna. Prove che però al giudice Palma non sono bastate. Ma dopo aver preso visione di queste prove, secondo me nessuna persona a cui sta a cuore la verità dovrebbe avere dei dubbi sul significato del nostro licenziamento. Che si tratti di una misura politica credo che soprattutto ne fossero convinti i lavoratori della Fiat di Melfi che immediatamente e liberamente hanno scioperato ininterrottamente per sette giorni. Se si pensa a quanti soldi hanno perso e all'isolamento (voluto dalla fabbrica!) che vive il lavoratore italiano, credo che si possano definire questi... gesti di altri tempi. Mi chiedi cosa è cambiato nell'ultimo anno tanto da ribaltare la sentenza? Io sono un operaio, non posso permettermi di giudicare un giudice, io la legge la devo rispettare, anche se io sono sicurissimo che noi non abbiamo fatto assolutamente nulla e quindi il giudice secondo me ha sbagliato.
Posso dirti però due cose a tale proposito: la prima è che io non mi arrenderò mai a questo sbaglio. La seconda è che se noi oggi siamo siamo licenziati per qualcosa di diverso da quello che ci veniva contestato dalla Fiat un anno fa, questo a me, semplice operaio, non sembra normale, mi sembra una contraddizione.

Allora a questo punto provo ad esporti le mie sensazioni sul ribaltamento della sentenza, dettate dalla lettura delle motivazioni, che anche a me, da “semplice cittadina” -come dici spesso tu-, appaiono a tratti incoerenti. Personalmente ci vedo un Giudice forse troppo giovane per una causa molto emblematica. Ci vedo l'umano timore di rischiare di bruciarsi di fronte allo strapotere di Fiat. Ti sei sempre messo in gioco molto, hai parlato sempre chiaro e quindi a bruciapelo ti chiedo: tu questo giudice, come lo vedi?

Come ti ho detto dal primo momento, sono solo un operaio e cittadino e come tale devo rispettare la legge e quindi la magistratura, ma rispettare non significa che noi rinunceremo a combattere con tutte le nostre forze in tutte le sedi opportune, perchè siamo certissimi di aver subito un'ingiustizia colossale e lo dimostreremo, ne sono sicuro, nonostante lo strapotere economico e mediatico dei potenti. Non so davvero perché il Giudice non abbia accettato le nostre prove, è quello che stiamo cercando di capire. Grazie al cielo la verità è una sola, che a me pare addirittura fin troppo lampante. Ma vado oltre, e dico anche sempre che nessuno ha la verità in tasca e di conseguenza tantomeno io. Se si vuole capire realmente cosa succede nel mondo del lavoro basta fare una semplice e ''banale'' inchiesta... non capisco (o forse capisco troppo!) perchè non si fa, dico... se tutto fila liscio nel mondo del lavoro e quindi nelle fabbriche, non dovrebbero esserne felici tutti a far emergere la verità e a mettere a tacere questi sindacalisti del '900 come me? Allora perchè non lo fanno ? Mi sorge un dubbio: è meglio per chi gestisce ''quasi tutto” far rimanere le condizioni di questo mondo nel silenzio e quindi nell'ignoranza?

A proposito delle “condizioni di questo mondo”, veniamo alle condizioni di salute degli operai. Un mio amico  che lavorò per Fiat a Torino mi ha raccontato che "in fabbrica si sopravvive o con medicinali, o con droghe, o con tiramisù di vario tipo". Dice che per dormire doveva prendere il Tavor. Che per ottenere un lieve miglioramento del “sistema nazista per i turni” bisognava "essere dei loro, dentro il sistema" e "non frequentare cattive compagnie". Questo accadeva alla fine degli anni '70. La Fiom oggi denuncia che oltre la metà dei lavoratori di Melfi ha “ridotte capacità lavorative”, un vero bollettino di guerra. Tu dici che in 9 anni hai fatto solo 5 giorni di malattia. Si strumentalizza la malattia in fabbrica?

Io quando parlo della mia situazione sulla malattia -quindi solo 5 giorni- ti invito a prendere in considerazione prima di tutto che sono stato fortunato. La salute in quegli anni in fabbrica non mi ha abbandonato nonostante anch'io, come tutti gli esseri umani abbia qualche problema di salute. Poi si deve tener presente che io, proprio per il ruolo sindacale che svolgevo, avevo la possibilità di staccare la spina da quei ritmi infernali circa 2 ore al giorno mediamente (nessuno può immaginare l'importanza di questo stacco). Infine aggiungo che per il rispetto che io penso di aver portato ai lavoratori e di conseguenza all'azienda (ho cercato il più possibile di ricambiare questa fortuna) a volte, anche se non proprio fisicamente a posto e proprio perchè di problemi in fabbrica ce ne sono tanti , andavo comunque al lavoro. La passione e l'orgoglio di poter fare (anche) il sindacalista e la fiducia che da sempre i miei compagni di lavoro mi hanno dimostrato ha permesso tale miracolo. Sembrerà strano in questo mondo, ma io mi sentivo veramente onorato dal poter rappresentare i miei compagni di lavoro. Questa precisazione era dovuta, non vorrei si pensasse che chi magari suo malgrado è stato costretto a fare qualche giorno in più di malattia, sia considerato lavativo, sarebbe una bestemmia tale considerazione.

Mi chiedi come si strumentalizza una malattia ? Nella maggior parte dei casi succede che tanti lavoratori RCL (cioè con “ridotte capacità lavorative”) vengono posizionati proprio in postazioni dove accusano problemi nello svolgere quel ciclo di lavoro. Tali spostamenti di mansione, tante volte per giunta non trovano neppure un'apparente giustificazione e nonostante i lavoratori lo facciano presente a tutti e in ogni occasione, consegnando anche certificazioni Asl, nella stragrande maggioranza non ricevono nessuna risposta in merito e continuano a lavorare con dolori, assumendo farmaci, antinfiammatori, etc...
Tante volte ho visto persone in carne e ossa piangere perchè i dolori che accusavano non permettevano loro di lavorare con dignità; tante volte finivano anche in ospedale, ma quando si ritornava nello stabilimento, la tua postazione rimaneva la stessa, anzi , doveva rimanere la stessa.
Ci tengo a ricordare che per tanti capi chi è ''limitato'', cioè RCL, può essere un potenziale lavativo, quindi un potenziale bugiardo, che di conseguenza vuol lavorare meno e che proprio per questo costringe il lavoratore''integro'', senza malanni fisici, a lavorare di più. Si chiama guerra dei poveri, ti lascio immaginare le allusioni che fanno i capi nelle loro Ute, quando devono discriminare e strumentalizzare queste malattie, non ti dico se addirittura qualcuno sta male a ridosso di una festività...li è scontato che voglia fare il ponte.
Alla fine quasi passa l'idea capettiana che stare male in realtà è un'arte dell'operaio per stare a casa in malattia e quindi non lavorare . E' allucinante.

Sul non riuscire a dormire.... si, ti assicuro che tantissimi lavoratori e soprattutto lavoratrici hanno il problema che non riescono a prendere sonno e per farlo assumono dei farmaci. Per me fortunatamente non è cosí ma temo che il tuo amico abbia ragione perchè un altro compagno ha seguito un convegno sul tema droga e alcol e conferma quanto dice il tuo amico.

Dalla malattia alla produttività; vi potrebbe essere relazione.
“Fabbrica Italia” secondo Marchionne doveva essere “il più straordinario piano industriale che il Paese abbia mai avuto”; doveva servire a superare la crisi e a riorganizzare la produzione per aumentarla. Il progetto è rimasto una vuota dichiarazione di intenzioni.
Perché, secondo te, la produttività della fabbrica italiana è cosí bassa? Sei al corrente, come sindacalista, di quali sono le strategie di Fiat sul mercato globale? Il sindacato interviene in qualche modo in questo ambito?

Anche sulla produttività non si dice -volutamente- la verità. Infatti a Melfi per esempio la produttività è simile, se non addirittura superiore a quella degli stabilimenti polacchi e brasiliani (75 vetture pro càpite). Ma sembra quasi che tale notizia debba rimanere nascosta, non vogliono che i cittadini debbano saperlo e non penso di dovere spiegare io il perchè. Il problema è semmai che non ci sono modelli nuovi. A Melfi per esempio, per non parlare di altri stabilimenti Italiani, si produce praticamente la stessa vettura da 7 anni! La strategia Fiat ? Io penso che solo chi ha deciso di far finta di non capire... appunto fa finta di non capire, perchè anche i bambini capiscono che la Fiat vuole andarsene dall'Italia. Infatti solo ad Obama è stato presentato da parte di Fiat un piano industriale (vedi auto elettrica) e l'azienda l'ha fatto solamente perchè il presidente lo ha preteso, visto i finanziamenti che ha dato. E' incredibile pensare che negli Stati Uniti produrrano auto a zero emissioni e nuovi modelli, invece noi in Italia dovremo produrre suv! Dovremo cioè produrre auto che negli Stati Uniti non vogliono più e sopratutto auto inquinanti con costi e consumi allucinanti e non più sostenibili, aggravati ancora di più da questa crisi ! Ma sono io che non capisco nulla ? Oppure qualcuno mente, sapendo di mentire?

Come può intervenire il sindacato in questo? Secondo me si può competere in due modi, o sulla ricerca e innovazione, (come hanno fatto tantissime case anche molto vicino a noi) oppure sulla manodopera, ma su questo terreno (anche se dico una cosa banale ) nel mondo ci sarà sempre qualcun'altro disperato disposto a lavorare per molto meno e nonostante a qualcuno possa sembrare più facile, se si sceglie questa strada è una strada perdente. E non lo dico io, ma i risultati di quelle fabbriche che hanno investito nella ricerca, infatti mentre loro chiedono straordinario a loro dipendenti, la FIAT chiede la cassa integrazione per i suoi.
Se non sbaglio, fino a poco tempo fa in tanti anche tra gli alti dirigenti Fiat, pensavano che bisognasse investire nella ricerca, anche perchè loro dicevano che il costo del lavoro incideva solo del 6-7%, quindi non in modo eccessivo. Cosa sia cambiato ora è sotto gli occhi di chiunque ha voglia di vedere.

A questo punto è d'obbligo dare uno sguardo alla politica, che finora non abbiamo tirato in ballo apertamente ma che sappiamo dovrebbe avere un ruolo fondamentale nella concezione di un piano industriale che finalmente riporti il Paese alla crescita. Come si giudica in fabbrica la situazione politica? Il Pd, diviso sulla questione Fiat, ha però sostanzialmente appoggiato Marchionne (l'hanno fatto Chiamparino, Fassino, Veltroni; in maniera piu' pacata e distaccata Bersani. L'unica voce fuori dal coro, il responsabile di Economia e Lavoro del Pd, Stefano Fassina); la sinistra si e' schierata con la Fiom ma non esiste al momento una copertura parlamentare e nemmeno in generale politica del mondo del lavoro.
Che la sinistra sia cosí divisa significa che il lavoro ne pagherà sempre lo scotto?Potrebbe iniziare a diventare forte la necessita' di un partito del lavoro, per "proteggerlo"? Se sí, dovrebbe il sindacato ed in particolare la Fiom giocare questa partita? Perché Fiom ha, innegabilmente, un programma molto “politico”, sensibile per esempio alla questione femminile nel mondo, al razzismo, alla guerra, alla globalizzazione...tutto ciò va ben oltre i puri accordi sindacali. Eppure Fiom esita a prestare la sua immagine, il suo carisma, la sua forza ad un progetto piu' ampio. E persone come te potrebbero dare molto anche a un progetto politico.

Come vive la fabbrica la situazione politica ? Tantissimi sono convinti che questo governo ha esaurito il niente che aveva da dare (Giovanni si riferisce al Governo Berlusconi, ancora in carica quando affrontammo questo argomento, n.d.r.). Mi spiego meglio: all'inizio, purtroppo per noi, riuscivano con tutto il potere mediatico in loro possesso a far credere anche ad alcuni lavoratori che queste riforme erano necessarie per il bene di tutti, soprattutto di chi lavora; ma oggi, questa assenza di una vera politica industriale i lavoratori la vivono drammaticamente e da anni sulla propria pelle, con riduzione consistente di salario dovuta alla cig sempre in aumento, da riduzioni di personale e dai continui peggioramenti delle condizioni di lavoro e non solo. Ci sono dei lavoratori e purtroppo delle lavoratrici che mi raccontano delle storie allucinanti, storie brutte che riportano alla mente cose di 70 anni fa e io girando per l'Italia mi accorgo sempre di più che ormai siamo un paese povero e non solo economicamente.

Mi chiedi di un PD diviso e che addirittura massimi esponenti dello stesso si siano schierati con Marchionne? Qui per me è fin troppo facile risponderti, anche se te lo dico sul serio, purtroppo lo faccio a malincuore, perchè nonostante io non sia del PD penso che se avessimo avuto una opposizione forte, decisa, adesso non ci troveremmo nel baratro in cui siamo e questa debolezza dell'opposizione non è un bene per il mondo del lavoro. La maggior parte dei lavoratori attenti condannano proprio questo, infatti dicono che sulle questioni importanti non vedono una grande differenza fra PD e PDL, anzi aggiungono che se cade questo governo, il PD sicuramente non cancellerà le '''riforme''' fatte dal PDL, proprio perche non sono mai chiari netti sulle vicende che toccano il popolo. Come vuoi che un lavoratore si fidi di Fassino, Chiamparino et company, se questi non riescono a dire nemmeno che sono... contro Marchionne ! Sarebbe troppo per loro, visto che sono amici, ma almeno potrebbero sforzarsi di dire che sono contro, o magari semplicemente non favorevoli a chi non rispetta le leggi e la Costituzione Italiana e la tanto decantata DEMOCRAZIA, visto che permettono al padrone – sí, al Padrone! Con la maiuscola!- che nelle fabbriche possa succedere di tutto, che possa addirittura succedere di non poter nemmeno votare da chi farsi rappresentare. Io lo considero allucinante e considero i politici come questi sicuramente non di sinistra. Come me ti assicuro la pensano in tantissimi e questo comunque non è un bene, essendo il PD il maggior partito di ''opposizione''.
Voglio solo ricordare che la Fiom ha detto che non firma ciò che va contro i diritti dei lavoratori previsti dalle leggi e dalla Costituzione, ma sul resto era pronta a discutere, a me non sembra da estremisti dire questo, semmai il contrario.

La vera sinistra -purtroppo non parlamentare- è con la Fiom, ma anche loro secondo me devono dare ancora di più e sopratutto non commettere mai più gli sbagli che ancora e soprattutto oggi noi paghiamo. Chi dice di voler rappresentare il mondo del lavoro, deve essere consapevole di assumersi una enorme responsabilità, a volte rinunciando anche a pezzi della propria vita, come ci rinuncia chi vota la sinistra vera. Noi operai che votiamo quella sinistra sappiamo già che qualsiasi privilegio ci sarà tolto, anzi, subiremo anche tante piccole e grandi angherie (io, ma tanti altri siamo degli esempi) e quindi vorremmo rispetto da parte della politica di sinistra, pretendiamo che mettano il massimo impegno per battersi per quello che devono rappresentare.
Questa crisi secondo me ha dato alla sinistra un'altra enorme occasione; devono fare tesoro degli sbagli passati, stando nei territori, davanti le fabbriche, ascoltando la base, decidendo con la base e per la base.

Non so se serve un partito dei lavoratori, magari sí, basta che ciò non provochi un'altra scissione e quindi un altro piccolo partito ininfluente, che questo proprio non ci serve. Io penso che a noi servano veri compagni, o solamente veri politici, che sul serio vogliano rappresentare il mondo del lavoro; io non pretendo come diceva
Sabattini che chi ci deve rappresentare ci ami (sarebbe troppo bello!) mi accontento che ci rispettino.

La Fiom deve continuare ad essere un sindacato, secondo me, perchè è l'unica àncora di salvezza dentro le fabbriche. Ciò non toglie che debba dire la sua con forza sui temi importanti di cui parlavi e collaborare sempre di più con i giovani, la scuola, i movimenti, i partiti politici etc. Un giorno tutti queste persone saranno lavoratori! Se vedi me in politica, qui mi metti un po' in imbarazzo...pero voglio risponderti cosí: persone come me ce ne sono tante, anzi anche meglio, perchè più preparate in quanto hanno anche studiato. Penso che siano i partiti di sinistra ad avere bisogno di persone cosi, ma per far sí che questo possa succedere devono finire gli egoismi; un vero progetto politico di sinistra deve essere il più semplice possibile, comprensibile, deve avere un linguaggio chiaro e comune, come lo sono tutti coloro che la vita la vivono quotidianamente, drammaticamente e realmente. Ecco, queste oneste persone possono dare tanto alla politica.

La politica senz'altro avrebbe potuto fare molto per evitare che la situazione del mondo del lavoro, con la sua vertiginosa perdita di diritti, sfociasse anche in una rottura sindacale in fabbrica. Come hanno vissuto i lavoratori questa rottura? Esistono margini per ricucirla?

I lavoratori vivono la rottura sindacale in modo traumatico, cioè sulla loro pelle, perchè è chiaro a tutti, e a noi per primi, che questa rottura non è un bene per tutto il mondo del lavoro; ma mi permetto anche di ricordare che chi ha deciso di cancellare il contratto nazionale di lavoro,votato da tutti i metalmeccanici tramite referendum nazionale, per sostituirlo con 'altro' e senza nessun voto, non è stata la Fiom. Chi permette al padrone di fatto che si possa cancellare il sindacato più grande in Italia, perchè non d'accordo con loro, che non può certo definirsi “democratico”... La colpa è sempre degli altri...ma dico...è normale che un cittadino, un lavoratore non possa votare da chi farsi rappresentare? A me hanno insegnato che la democrazia è una cosa semplice ma tremendamente seria e ognuno di noi deve metterci l'anima per difenderla. Democrazia è difendere soprattutto chi la pensa in modo diverso, democrazia è poter difendere chi è più debole, democrazia è dare voce a chi non ne ha, democrazia è libertà... Ma penso che queste cose le abbiano già dette persone molto ma molto più autorevoli di me! Aggiungo anche che sono certo che gran parte dei lavoratori stanno con le idee della Fiom, anche e nonostante la crisi, che di certo non aiuta ma da' coraggio. E queste persone sarebbero disposte ancora di più a lottare contro queste ''riforme'' se non fossero lasciate sole a lottare.

Se c'è margine di ricucitura ? Per quanto mi riguarda mi auguro di sí, perchè sarebbe un bene per la democrazia e quindi per i lavoratori, ma questa è una domanda che bisogna rivolgere agli altri e se guardo a quello che stanno facendo, penso proprio che a non volerlo siano loro purtroppo, gli altri. Quando i sindacati non trovano un accordo si va a referendum; ma un referendum vero, non sotto ricatto. E, soprattutto, devono votare tutti i lavoratori, non poche migliaia sotto il solito ricatto e permettere che queste poche migliaia decidano per quasi 2 milioni di operai. Perchè non lo fanno? Di fatto nel lavoro è passato il “super porcellum''.
Questa rottura sindacale l'hanno voluta disperatamente i padroni e il motivo per quanto mi riguarda è molto più semplice di quanto si voglia far credere: c'è un sindacato che ha accettato di essere corporativo e un'altro che invece vuole mantenere la sua autonomia e indipendenza. Faccio un esempio: quelli corporativi dicono che la rappresentanza deve essere decisa da altri, quindi delegata da dirigenti - che i lavoratori manco conoscono- ; io invece penso e ne sono certo che la rappresentanza deve essere una volontà esplicita e senza nessun compromesso per il lavoratore e cittadino. Solo cosi, anche la democrazia e quindi la libertà di ognuno viene rispettata veramente e seriamente.
Questo governo tecnico, siamo sicuri che sia tecnico? Io per mia abitudine non giudico mai prima di vedere, anche se devo dire che ascoltando i primi movimenti che si apprestano a fare non credo che andrà incontro alle esigenze dei cittadini bisognosi. Ma voglio attendere un'altro poco prima di giudicare. Una cosa però mi sento di poterla già dire da subito: i parlamentari e senatori che di volta in volta dovranno dare la fiducia a questo governo, saranno gli stessi che hanno hanno creduto che Ruby fosse realmente la nipote di Mubarak e votarono allora la fiducia?

Temo di sí, che siano gli stessi. Ma accada quel che accada, cercheremo di non perdere mai l'ironia, no? E visto che con la nipote di Mubarak tocchiamo le relazioni internazionali ti chiedo, per concludere questo dialogo, un pensiero su noi italiani all'estero. Tu hai fatto l'esperienza di emigrare, sei stato in fabbrica in Canada costretto dalle precarie condizioni economiche provocate dal terremoto in Irpinia, ma sei tornato. In parecchi nel nostro gruppo stiamo all'estero da molto e col tempo e le circostanze dell'economia globale attuale si affievoliscono per noi le possibilità concrete di tornare...

Penso che se un Paese importante come il nostro,  ''costringe'' i suoi cittadini a lasciare la propria terra, i propri cari, i suoi ricordi più belli, di fatto la colpa è di una classe politica che ha fallito. Lo dico perchè una cosa è lasciare il proprio paese per scelta, un'altra cosa lo è per necessità. Quando lo lasci per necessità, come è succeso a me, ti assicuro che è come se si spezzasse qualcosa dentro. Io quasi non mi rassegnavo a dover rinunciare alle mie piccole ma bellissime cose; a volte mi mancava  perfino il respirare la mia aria e i suoi profumi. Perchè dico questo? Perchè sono sicuro che investire nelle nostre università e quindi nei nostri cervelli - la Storia lo dimostra, siamo un popolo davvero straordinario- creerebbe tanti, ma tanti posti di lavoro. Forse non risolverebbe tutto, ma sono più che convinto che aiuterebbe veramente tanto a non far lasciare il nostro Paese a chi non vuole.
Penso che chi è costretto  lasciare il proprio paese e come se subisse una violenza.
L'unico messaggio che mi sento di dare è questo: chi ha voglia di ritornare nel suo paese non deve mai rassegnarsi all'ipocrisia di una falsa politica,anzi, deve mettere in campo tutte le sue forze per combattere e ricordarsi sempre -e lo dico senza retorica- che noi siamo veramente un bel popolo, anche se ultimamente fanno di tutto per metterci nelle condizioni di dover dimenticare di esserlo. Lottiamo tutti insieme contro chi permette che lasciare il proprio paese diventi un'obbligo quando dovrebbe invece essere una scelta propria e senza condizionamenti di altro genere.
Un saluto sincero a tutti i gli italiani all'estero.

Grazie, Giovanni.
Finito di scrivere tra la Basilicata e la Vecchia Castiglia il 4 dicembre 2011


(E un grazie speciale a Nicola Melloni, per l'Amicizia, le liti ed ogni condivisione; e poi a Zavorka, Simone Giovetti e Alessandro Volpi per essermi stati vicini. Ognuno nel suo specialissimo modo.)

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