Vedere oggi Marchionne in Parlamento è stato come vedere, sempre oggi, Berlusconi rinviato a giudizio: una scena già vista.
Di fronte ad un’audience di deputati visibilmente timorosi di non irritare l’incravattato manager, questi ha apparentemente rassicurato gli italiani sulle voci di trasferimento della sede legale FIAT all’estero.
Apparentemente, perché la permanenza di tale sede a Torino, a detta dell’a.d., dipende “dal grado di accesso ai mercati finanziari indispensabile per gestire un business che richiede grandi investimenti e ingenti capitali” e perché “ha poi a che fare con la necessità di un ambito favorevole. Se si realizzeranno le condizioni base per il nostro piano, allora il nostro paese sarà nella condizione di poter mantenere la sede legale” (cit).
Delle due motivazioni, la seconda suona, di nuovo, come un avvertimento in stile mafioso agli operai della FIAT tutta, non solo a quelli legati alla FIOM. Detto in poche parole - confermate da Marchionne - per l’a.d. di FIAT non solo è necessario che la forza lavoro sacrifichi parte in più della sua vita e del suo tempo per un aumento della produttività al quale, forse,
corrisponderà un aumento di salario o un non ben precisato bonus di produzione. E’, in aggiunta, necessario che il patto siglato a botte di maggioranza venga rispettato ed applicato in un “ambiente favorevole”, cioè senza alcun cenno di ribellione dei lavoratori FIAT.
Il gioco di Marchionne in Italia sembra chiaro (anche se non molto alla Commissione Attività Produttive) e frutto della più lungimirante e innovativa politica d’impresa: abbassare il costo del lavoro e aumentare la produttività. Ambedue gli scopi ricadono a discapito dei lavoratori. Inoltre, anche il gioco di Marchionne all’estero sembra chiaro: approfittare, come ha da decenni fatto la FIAT in Italia, della crisi economica per accaparrarsi sussidi statali per il mantenimento (USA) o la creazione di investimenti all’estero (Serbia). Di nuovo, un’altra geniale strategia d’impresa (mai applicata!), che certamente garantirà stabilità e crescita nel lungo periodo!
Così il destino dei lavoratori FIAT è aggrappato ai capricci del mercato globale dell’auto, alla durata dei sussidi di altri stati e alla loro volontà di stare zitti, subire e lavorare. Ne vale la pena? Ci sono mezzi tramite i quali i lavoratori italiani possono agire in questa situazione?
Forse sì, e sono da cercare a livello internazionale, piuttosto che di fronte ai 45 (utili?) deputati della Commissione X della Camera. Ma prima di tutto ciò è necessario avere le idee chiare ed essere uniti sugli scopi da raggiungere. Dato che è proprio l’unità che manca tra la forza lavoro FIAT, le prospettive sono tutt’altro che rosee. Non stupiamoci allora se tra poco tempo all’entrata di Mirafiori ci sarà scritto ‘FAAD’ (Federazione Americana Automobili Detroit).
David, Edinburgo