sabato 17 marzo 2012

La crisi non è finita


di Nicola Melloni
da: http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1475

Gli ultimi mesi hanno visto un generale miglioramento di alcune situazioni critiche dell’economia europea. Lo spread tra titoli tedeschi e quelli italiani è spagnoli è fortemente calato mentre la Grecia ha infine raggiunto l’accordo con i suoi creditori.
Questi eventi positivi hanno creato un clima di ottimismo che non pare però giustificato. Né le misure adottate finora sono sufficienti a rimettere in sesto la malandata economia europea. I casi italiano e greco sono stati indicati come esempio dell’irresponsabilità fiscale che ha causato la crisi, e di conseguenza la UE ha deciso di darsi nuove regole, come il fiscal compact, che impone per legge un avanzo strutturale dei conti pubblici. Il provvedimento è discutibile sia legislativamente che economicamente, come ampiamente riportato da diversi giornali, ma sembra soprattutto poco utile per capire e risolvere la crisi attuale.
Che la Grecia abbia avuto dei problemi di conti pubblici è fuori dubbio, ma questo non vale per altri paesi colpiti dalla crisi. Il caso spagnolo è emblematico. I conti pubblici di Madrid, prima della crisi, erano pressochè perfetti, tanto che il FMI parlò di surplus strutturale dell’economia spagnola, proprio quello cui mira ora la UE. Ed allora come mai la Spagna si trova ora in così grande difficoltà? In realtà la Spagna, come per altro anche Portogallo ed Irlanda avevano un alto livello di debito privato, sia a livello di famiglie che di imprese, rendendo quelle economie, che sembravano tanto floride, a grande rischio crisi. E come sappiamo, proprio il debito corporate scatenò la crisi in USA e Gran Bretagna, per poi, appunto, raggiungere paesi come Spagna ed Irlanda in cui il settore bancario era il più esposto al contagio internazionale.  

 



Il fiscal compound, dunque, sembra una soluzione solo parziale e non convincente, anche i paesi con i conti pubblici migliori non possono essere immuni al contagio internazionale a meno che anche il debito privato venga messo sotto controllo, cosa di cui non c’è traccia.
Anzi, lo schema proposto dalla UE non potrà che creare problemi. Ai paesi membri viene richiesto un disavanzo di bilancio strutturale non superiore allo 0.5% mentre ad i paesi con debito superiore al 60% del PIL viene imposto una riduzione dell’eccedenza nel giro di vent’anni. Sembra un periodo ragionevole, ma in realtà nel caso italiano questo comporterebbe una riduzione del 3% annuo, possibile solo con una crescita galoppante o con avanzi primari massicci, dagli inevitabili effetti recessivi. Non a caso in Francia il candidato socialista è già pronto a denunciare il trattato. Mentre anche in Spagna il nuovo governo sembra poco intenzionato ad adeguarsi alle decisioni di Bruxells. E dunque per quest’anno viene preannunciata una riduzione del deficit dall’8.5% dello scorso anno al 5.8%, che rimane però assai più alto di quello richiesto dalla UE (il 4.4%).
Certo, lo spread sia in Italia che in Spagna si è abbassato in coincidenza con l’incarico dato a Monti e Rajoy che avevano promesso di rimettere a posto i conti pubblici ed è per questo motivo che si insiste così tanto sulla disciplina fiscale. Ma più che le finanziarie di emergenza hanno potuto i denari della BCE con cui sono stati rimpinguati i forzieri delle banche europee, mettendo parzialmente in sicurezza i bilanci. Mentre l’austerity ha avuto effetti disastrosi sulle economie di Grecia e Portogallo – in quest’ultimo caso l’economia è ri-entrata in recessione mentre la disoccupazione ha raggiunto il 14%.
Nonostante le molte promesse, la UE ed i governi dell’Europa non hanno ancora messo in campo nessuna politica economica in favore della crescita, anzi hanno fatto proprio il contrario, cercando di mettere in sicurezza i conti pubblici con le politiche di austerity che rischiano però di avvitare la spirale recessione-crisi. Nel breve periodo si sono ridotti gli attacchi speculativi che stavano per mettere in ginocchio l’Europa, ma al costo di aumentare le tensioni sociali e, soprattutto, col rischio di ritrovarsi nella stessa situazione tra pochi mesi quando la recessione ridarà fiato al panico finanziario e richiederà nuovi interventi.

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