Su Linkiesta, l’analista finanziario indipendente Andrew Sentance segnala che Fiat avrebbe pesantemente “bucato” il piano industriale 2006-2010 soprattutto a causa dei marchi Alfa e Lancia:
«Alfa e Lancia, semplicemente, non stanno vendendo tante auto quante erano state preventivate e annunciate. Nel piano industriale 2006-2010, era previsto che nel 2010 l’Alfa e la Lancia avrebbero venduto entrambe 300.000 auto l’anno. Se ne stanno invece vendendo circa 100.000, esattamente come quattro anni fa. Anche con la migliore forza lavoro al mondo, non si può pensare di far profitti se viene venduto un terzo delle auto che si era prestabilito di vendere. L’altro grosso buco è la Cina, oggi il più grande mercato automobilistico mondiale. Là dove l’azienda dovrebbe star vendendo ormai 300.000 auto, non è neppure presente»
Nulla di male, s’intende. C’è la crisi e i marchi tedeschi si sono mangiati la Cina: non potete pretendere che per simili dettagli un piano industriale venga attualizzato, cioè riscritto o cestinato.
Secondi i calcoli di Sentance, che ricava il grado di leva operativa di Fiat dal piano industriale 2006-2010, il raggiungimento dei target di vendite per Alfa e Lancia avrebbe determinato un maggiore utile operativo di circa 750 milioni, sufficiente a rendere profittevoli gli impianti italiani, oltre ad eccedere i risparmi di costo derivanti dalla riorganizzazione produttiva che Marchionne sta perseguendo nel nostro paese. La morale dell’analisi di Sentance è presto detta: gli impianti italiani sono così drammaticamente lontani dalla saturazione perché impegnati in modelli che non vendono. Data questa premessa,
«Cambiare le condizioni di lavoro non farà alcuna differenza. Il problema principale non è a livello produttivo, è a livello progettuale, di marketing e delle vendite»
Eppure, a Corso Marconi il compensation committee (la nuova foglia di fico delle maggiori aziende italiane) ha rafforzato i retention bonus. Secondo Sentance, l’esercizio 2009 è stato molto generoso con Marchionne. Lo era stato anche con l’accomandita della famiglia, se non ricordiamo male.
«L’ultima cosa che amareggia in tutto questo parlare di quanto i lavoratori debbano fare sacrifici è che nel 2009 sia stato pagato a Marchionne un premio di 1,3 milioni di euro sonanti e 500.000 azioni, che si sono andati a sommare a uno stipendio che ammonta a 3 milioni di euro. In un anno in cui l’azienda ha perso 800 milioni di euro e ha avuto un margine operativo del 2,1% invece che del 7%, previsto nel piano 2006. Sarò anche all’antica, ma i premi si danno quando si fanno utili e si raggiungono gli obiettivi che ci si è prefissati, specie se si tratta dell’amministratore delegato. Per aggiungere beffa al danno, il piano dei premi in azioni nel 2010 è stato innalzato da 8 milioni a 12 milioni, di cui 4 milioni sono per tenere in azienda il personale chiave fino a che il bilancio aziendale 2011 non sarà approvato, e 2 milioni vanno a Marchionne»
Risultato mancato, bonus assicurato. E’ la nuova regola aurea dei top manager italiani, industriali e (soprattutto) creditizi. Ma di certo la nostra è tutta invidia. Ricordando le parole di Marchionne stesso, intervistato da Ferruccio De Bortoli al Festival dell’Economia di Trento del 2008:
«La mia retribuzione è alta perché è commisurata ai risultati. Se non porto risultati, io guadagno zero. Sono cresciuto nel Nord America dove tutti, per definizione, sono precari. Non ho mai avuto e non credo di avere nemmeno adesso un contratto che mi protegga. Io sono il più precario della Fiat»
Pare quindi che i risultati aziendali oggi in Italia siano come le leggi: si applicano per i nemici e si interpretano per gli amici. Ma questa è una banalità assoluta, come ben sa chi abbia mai lavorato in un’azienda o in una banca italiane.
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