Di Monica Bedana
Lo scorso 15 marzo è stato approvato in Senato il decreto legge che regolerà in quote la presenza femminile nei Consigli di Amministrazione delle società quotate in Borsa, di quelle controllate dalle Amministrazioni dello Stato e nei loro rispettivi collegi sindacali. Si tratta di una norma transitoria, valida per tre mandati dei suddetti Consigli di Amministrazione, che sarà introdotta poco a poco, con l'intento di raggiungere nel 2018 quel 30% di donne “in posti di rilievo”. L'Unione Europea preme da tempo per raggiungere l'uguaglianza tra i sessi in ogni campo e se ciò non avviene nel modo spontaneo che sarebbe logico auspicare, allora scatta l'imposizione. E cosí anche l'Italia, dopo varie tribolazioni per condurre in porto l'iter del decreto legge (tribolazioni sfociate in successivi emendamenti, che la dicono lunga sull'entusiamo generale e la coesione con cui si è arrivati all'approvazione del Senato), segue la scia di quei Paesi mirabili come Svezia e Finlandia, in cui più del 25% dei consiglieri d'amministrazione di aziende pubbliche sono donne.
Dovrei essere contenta e non lo sono affatto. Non lo sono perché mi chiedo cos'è successo (o cosa NON E' successo) dal 1957 ad ora, quando l'uguaglianza tra uomini e donne era già , in teoria, uno dei principî fondatori dell'Europa che stava nascendo, del trattato di Roma. E mi chiedo anche dove finisce quel 60% di donne con titolo universitario che vivono (e lavorano, ma non sempre) nell'Unione Europea. Molte in azienda ci entrano, ma solo un 12% fa carriera ed arriva ad occupare posti di responsabilità, perché la discriminazione avviene molto molto prima, è intimamente connessa al nostro tessuto sociale e per quanto la situazione si sia evoluta siamo ancora lontanissimi dall'uguaglianza di base. Solo quando le donne non porteranno più esclusivamente sulle loro spalle il peso dell'organizzazione della famiglia, dei figli, degli anziani e quando la maternità non sarà più vista in azienda come una palla al piede, allora noi donne avremo davvero pari opportunità nell'acceso al mondo del lavoro in generale, non solo alle sue sfere più alte.
La parola d'ordine dovrebbe essere “conciliazione” tra vita familiare e lavorativa e strumenti, misure educative, provvedimenti istituzionali, strutture per attuarla e renderla finalmente realtà, ma anche cambio radicale nell'educazione, nella cultura. L'imperativo delle quote rosa mi crea franco imbarazzo come donna; se ho la stessa (o migliore) preparazione e talento di un uomo, ho diritto ad essere scelta per merito e non imposta per quota. Non a caso i Paesi in cui l'incorporazione della donna in posti di direzione avviene oggi in modo naturale e raggiunge o supera la percentuale di quasi parità, sono quelli del nord Europa in cui si applicano con serietà politiche che favoriscono la conciliazione tra lavoro e famiglia. Più a sud invece, in Spagna per esempio, dove io vivo e dove fin dal 2007 la politica di uguaglianza promossa dal Governo ha sollecitato alle aziende la parità dei sessi nei consigli di amministrazione (l'obiettivo è di raggiungerla nel 2015 con la legge per l'effettiva eguaglianza), è passata soltanto dal 3% al 10% negli ultimi sette anni, un miglioramento piccolissimo. Anche in Spagna la donna è schiacciata dal peso delle responsabilità familiari, le stesse che competono all'uomo ma di cui egli non si occupa che in minima parte; ed è lasciata sola a fronteggiarle, con l'aggravante che negli ultimi due anni la crisi economica mondiale ha falciato i posti di lavoro ed i tagli imposti dalla crisi hanno in parte cancellato gli aiuti previsti per favorire l'inserimento femminile nel mondo del lavoro. Noi donne siamo, paradossalmente, il nucleo duro della società e, al tempo stesso, l'anello più debole nella catena dell'uguaglianza sociale.
Nella questione delle "quote rosa", l'Italia ha, a mio avviso, un peculiare problema aggiunto: essendo un Paese fondato su un sistema clientelare, mi chiedo quali donne occuperanno quella percentuale prestabilita di “poltrone” dei Consigli di Amministrazione di società quotate in Borsa: le amiche degli amici? Le Minetti laureate “col massimo dei voti e di madrelingua inglese”? Le olgettine al completo? O mi dovrebbe tranquillizzare il fatto che l'applicazione del decreto legge “andrà monitorata”?
“Non si nasce donna, si diventa”; lo diceva Simone de Beauvoir. E a che prezzo.
Sono d'accordo che il problema va ben oltre le quote rosa, eppero' non mi sento di condannarle totalmente. Non sono la soluzione ma non sono sicuro rappresentino un danno. In fondo anche passare dal 3 al 10% e' cmq un miglioramento (manco poco significativo..il 300% e passa).
RispondiEliminaCerto il problema va piu' in profondita', politiche di welfare pubblico che favoriscano l'integrazione di maternita' e inserimento lavorativo, a partire dalla responsabilizzazione del padre e dall'introduzione del periodo di paternita', la provvisione di asili pubblici, scuole gratuite, doposcuola a disposzione di chi ne ha bisogno, etc. etc...
Nel frattempo pero' qualche palliativo non guasterebbe, le battaglie si fanno anche con mezzi inappropriati a volte, ma se possono aiutare..
E saresti d'accordo sul fatto che applicando per forza quel 30% previsto, nel frattempo venisse discriminato qualche uomo, nonostante il merito? Insisto: l'aiuto che ce lo diano a monte, non a valle.
RispondiEliminaConcordo sul fatto che l'aiuto si debba dare a monte e su due versanti:
RispondiElimina1. la equa distribuzione dei compiti familiari che riducono il peso sulle donne
2. un valutazione del merito indipendemente dal sesso ( questo per me significa parita')
Oggi le forzature ( 30% nei CDA etc etc..) rappresentano la palese dimostrazione che noi uomini ( non tutti) abbiamo considerato e consideriamo la donna la reggente della famiglia e della sua economia. In tal modo ci deresponsabilizziamo e releghiamo le alte potenzialita' della donna ad ambienti differenti.
Vorrei pero fare un po il provocatore; se e' vero che la percentuale di donne nel mondo del lavoro e' bassa e lo e' ancor di piu oggi, in tempi di crisi, e' anche vero che in modo intrinseco diamo alla donna un ruolo importantissimo: la famiglia.
infatti e' li che si formano i giovani e per i quali la madre possiede una parvenza quasi da Madonna.
Riflettendo su cio, forse noi dimostriamo in modo inconsapevole che le donne oltre ad essere meglio degli uomini farebbero meglio il nostro lavoro...e quindi, che senso avrebbe l'uomo?
Ecco perche' oggi stentiamo a riconoscere la validita' della donna.
Poi pero' mi sorgono anche esempi di imbrutimento femminile che, per dimostrare la supremazia femminile, diventano peggio degli uomini.
Come al solito gli eccessi non fanno bene ;-)
G.
Sarei d'accordo che qualche uomo di valore perdesse il posto per far spazio ad una donna di scarso valore? Mi sembra una domanda un poco mal posta, perche' l'idea e' che, rebus sic stantibus, ci sono molti uomini imbelli con un buon posto e molte donne preparate a spasso. Che il meccanismo di selezione della classe dirigente debba essere basato sul merito e' discorso parallelo ma non contrastante con le quota rosa. Si puo', anzi si deve averle, insieme alla meritocrazia. Che poi la cosa debba avvenire a monte, mi pare di averlo detto e di essere quindi d'accordo al 110%. Pero' mettiamola cosi', se cominci ad avere donne in parlamento, donne nei cda, etc,,farai poi piu' attenzione ad un certo tipo di politiche che gli uomini invece ignorino, quindi puoi dare il via ad un circolo virtuoso di eventi. Sempre che naturalmente queste donne portino un contributo sostanzialemente diverso da quello maschile e non siano invce brutte copie dei maschi di potere, tipo thatcher o moratti...
RispondiEliminaNicola,
RispondiEliminano, che a parità di merito sia preferita una donna pur di applicare 'sta benedetta discriminazione "positiva", che è già di per sé un controsenso nel termine "discriminazione".
Sii sincero, è un'utopia che una donna arrivi ai 40-45 anni-che è l'età fulgida di un manager- con la stessa, intensa esperienza. E se ci ha arriva è perché quasi sempre ha rinunciato a tre quarti di vita privata e si è tramutata in Tatcher o Moratti. Come ci si può sentir bene in queste condizioni, donne o uomini che siano?
Gaetano,
parlo per me: io pretendo di continuare a sostenere, catalizzare e far prosperare tutti quei valori tradizionali di cui parli e allo stesso modo pretendo di competere nel campo lavorativo a parità di merito e condizioni con l'uomo e cercare con lui l'armonia dentro e fuori casa, senza scalzarlo da nessun ruolo o farlo sentire inutile.E lí il punto.
lo so che e' li il punto. Accettare che una donna ( molto piu multitasking di noi ) riaeca ad essere competitiva e anche meglio di un uomo.
RispondiEliminaPoi pero per eseprieza ti dico che non possiamo avere tutto e sta a noi trovare un compromesso tra la carriera e la vita che dedichiamo alla famiglia. E cio vale sia per gli uomini che per le donne.
Sono sicuro che non sei una donna imbrutita :).