Mercoledì la Repubblica, per la firma di Federico Rampini, ospitava un'intervista a Francis Fukuyama, il guru del liberalismo negli anni '90, colui che già nel 1989, all'indomani della caduta del Muro, profetizzò, con grande sicurezza, la "fine della storia". Il capitalismo liberal-democratico, quello anglosassone ed in particolare americano, avevano vinto. Il socialismo reale era stato sconfitto, l'URSS sarebbe sparita nel giro di due anni e Fukuyama si fece cantore delle magnifiche sorti e progressive del mercato. Certo rimanevano sacche di resistenza - i cinesi, gli arabi - ma erano popoli fuori dalla storia, destinati a soccombere nell'era della globalizzazione a stelle e striscie. La situazione descritta da Fukuyama era abbastanza chiara, almeno ai suoi occhi: tutti i popoli vogliono libertà e prosperità, la democrazia americana è il miglior esempio di libertà, il mercato è l'unico strumento in grado di garantire la prosperità, di conseguenza tutto il mondo avrebbe deciso di intraprendere la strada del progresso, quella che, naturalmente, porta a Washington. D'altronde non era quello che stavano facendo i popoli dell'Europa dell'Est e dell'ex Unione Sovietica?
Ovviamente questi pensieri non sono rimasti confinati nelle pagine speranzose di Fukuyama, ma son diventati la linea guida della politica e dell'economia degli anni '90.
La superiorità del modello istituzionale americano è stata teorizzata dal Fondo Monetario Internazionale che ha cercato di trasformare in tante piccole Californie i paesi dell'Africa e del Sud-Est Asiatico, con risultati drammatici. L'apoteosi si è poi avuta con il concetto, purtroppo ancora di gran moda, che potessimo esportare la democrazia: visto che il nostro modello è migliore degli altri, e non esistono alternative, è giusto e morale "condividerlo" con i popoli del mondo. Anche contro il loro parere.
Nell'ultima decade però le cose per Fukuyama e i suoi adepti non sono andate benissimo. La Russia, il caso scuola che aveva così fortemente influenzato la genesi della fine della storia, non è diventata una liberal-democrazia, ma uno stato autoritario governato da politici corrotti in combutta con oligarchi spietati. L'odio anti-americano ha raggiunto livelli senza precedenti ed i paesi del Golfo sono diventate tante piccole polveriere pronte ad esplodere contro l'Occidente. E soprattutto, a Oriente, è emerso in maniera chiara e definitiva il gigante cinese, che ha ben poco di quei tratti liberal-democratici che Fukuyama immaginava come unico futuro possibile del mondo. Infine, la grande crisi finanziaria del 2007 ha messo in crisi non solo un sistema economico che genera diseguaglianze ma anche quel sistema politico occidentale che su di esso si è rimodellato.
Fukuyama, comunque, non molla la presa, gliene va dato atto. Dopo anni di parziali ritrattazioni e oscuramento mediatico, eccolo che ritorna alla carica, rilanciando a gran voce il suo modello. Con la solita sicurezza tipica del guru millenarista, Fukuyama proclama che aveva ragione lui, la storia è proprio finita nel 1989. Le rivolte arabe di questi ultimi mesi lo confermano in maniera evidente. Proprio quei paesi arabi che rappresentavano l'eccezione al trionfo della democrazia all'americana ora si sollevano...per diventare come noi. E non si ferma qui, il nostro eroe: «la prossima volta tocca ai cinesi». In fondo, se la storia è finita, che alternativa ci sarebbe? Fukuyama, nell'intervista a Rampini, cerca poi di allargare il suo discorso ed ammorbidirlo nei toni, anche se non nella sostanza. La democrazia può anche regredire, ci possono essere delle lunghe deviazioni nei percorsi della storia. Ma la meta è solo quella, la liberaldemocrazia. In fondo, la tesi dell'89 era che le contraddizioni dello sviluppo capitalista, da cui era nata l'alternativa socialista, si fossero risolte e questo viene rivendicato ancor'oggi da Fukuyama. Quello che non riesce a capire, o che forse non vuole vedere, è invece il fatto che quelle contraddizioni, in questi ultimi vent'anni, si sono esasperate. Che una parte del mondo è in rivolta non solo contro i dittatori oppressori, ma anche contro un sistema che usa quei dittatori per i propri interessi. Un sistema, quello Occidentale, americano ma non solo, che ha bisogno dello sfruttamento dei popoli del sud del mondo e che foraggia i regimi autoritari, dall'Arabia Saudita al Centro Africa. Fukuyama finge di ignorare che la sollevazione generale, in chiave veramente democratica, di quei popoli oppressi, comporterebbe lo scoppio delle contraddizioni economiche nei nostri più o meno democratici paesi che reggono le file del capitalismo globale. Paesi che vivono sulle spalle altrui e che hanno basato il proprio stile di vita sull'economia del debito che ha accompagnato la polarizzazione del reddito dell'ultimo trentennio. Fukuyama riconosce che anche gli Stati Uniti attraversano un momento difficile, ma non ha gli strumenti analitici necessari per capirne la natura. Si concentra sulla mancanza di soluzioni bipartisan, di riforme condivise (sembra di sentire parlare dell'Italia...). La realtà, invece, come già spiegava 150 anni fa Karl Marx, è che è proprio lo sviluppo capitalista a generare le condizioni del suo crollo. Altro che fine della storia.
Intervista a Fukuyama
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/03/30/avevo-ragione-la-storia-finita-fukuyama-cosi.html
La superiorità del modello istituzionale americano è stata teorizzata dal Fondo Monetario Internazionale che ha cercato di trasformare in tante piccole Californie i paesi dell'Africa e del Sud-Est Asiatico, con risultati drammatici. L'apoteosi si è poi avuta con il concetto, purtroppo ancora di gran moda, che potessimo esportare la democrazia: visto che il nostro modello è migliore degli altri, e non esistono alternative, è giusto e morale "condividerlo" con i popoli del mondo. Anche contro il loro parere.
Nell'ultima decade però le cose per Fukuyama e i suoi adepti non sono andate benissimo. La Russia, il caso scuola che aveva così fortemente influenzato la genesi della fine della storia, non è diventata una liberal-democrazia, ma uno stato autoritario governato da politici corrotti in combutta con oligarchi spietati. L'odio anti-americano ha raggiunto livelli senza precedenti ed i paesi del Golfo sono diventate tante piccole polveriere pronte ad esplodere contro l'Occidente. E soprattutto, a Oriente, è emerso in maniera chiara e definitiva il gigante cinese, che ha ben poco di quei tratti liberal-democratici che Fukuyama immaginava come unico futuro possibile del mondo. Infine, la grande crisi finanziaria del 2007 ha messo in crisi non solo un sistema economico che genera diseguaglianze ma anche quel sistema politico occidentale che su di esso si è rimodellato.
Fukuyama, comunque, non molla la presa, gliene va dato atto. Dopo anni di parziali ritrattazioni e oscuramento mediatico, eccolo che ritorna alla carica, rilanciando a gran voce il suo modello. Con la solita sicurezza tipica del guru millenarista, Fukuyama proclama che aveva ragione lui, la storia è proprio finita nel 1989. Le rivolte arabe di questi ultimi mesi lo confermano in maniera evidente. Proprio quei paesi arabi che rappresentavano l'eccezione al trionfo della democrazia all'americana ora si sollevano...per diventare come noi. E non si ferma qui, il nostro eroe: «la prossima volta tocca ai cinesi». In fondo, se la storia è finita, che alternativa ci sarebbe? Fukuyama, nell'intervista a Rampini, cerca poi di allargare il suo discorso ed ammorbidirlo nei toni, anche se non nella sostanza. La democrazia può anche regredire, ci possono essere delle lunghe deviazioni nei percorsi della storia. Ma la meta è solo quella, la liberaldemocrazia. In fondo, la tesi dell'89 era che le contraddizioni dello sviluppo capitalista, da cui era nata l'alternativa socialista, si fossero risolte e questo viene rivendicato ancor'oggi da Fukuyama. Quello che non riesce a capire, o che forse non vuole vedere, è invece il fatto che quelle contraddizioni, in questi ultimi vent'anni, si sono esasperate. Che una parte del mondo è in rivolta non solo contro i dittatori oppressori, ma anche contro un sistema che usa quei dittatori per i propri interessi. Un sistema, quello Occidentale, americano ma non solo, che ha bisogno dello sfruttamento dei popoli del sud del mondo e che foraggia i regimi autoritari, dall'Arabia Saudita al Centro Africa. Fukuyama finge di ignorare che la sollevazione generale, in chiave veramente democratica, di quei popoli oppressi, comporterebbe lo scoppio delle contraddizioni economiche nei nostri più o meno democratici paesi che reggono le file del capitalismo globale. Paesi che vivono sulle spalle altrui e che hanno basato il proprio stile di vita sull'economia del debito che ha accompagnato la polarizzazione del reddito dell'ultimo trentennio. Fukuyama riconosce che anche gli Stati Uniti attraversano un momento difficile, ma non ha gli strumenti analitici necessari per capirne la natura. Si concentra sulla mancanza di soluzioni bipartisan, di riforme condivise (sembra di sentire parlare dell'Italia...). La realtà, invece, come già spiegava 150 anni fa Karl Marx, è che è proprio lo sviluppo capitalista a generare le condizioni del suo crollo. Altro che fine della storia.
di Nicola Melloni
su Liberazione del 01/04/2011
Intervista a Fukuyama
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/03/30/avevo-ragione-la-storia-finita-fukuyama-cosi.html
Aberrante considerare che i grandi mali del mondo (la fame, il divario economico abissale tra nord e sud del pianeta, lo sfruttamento sconsiderato delle fonti di energia etc.)siano semplici sassolini nella scarpa lungo il cammino del trionfo assoluto del liberalismo come sistema e del capitalismo come forma economica. Il "bello" deve ancora venire ed il signor Fukuyama cucirà altre toppe sgangherate alla sua teoria della fine della storia.
RispondiEliminaNacha
Piu' che "bello", pur tra virgolette, ho paura che sia il brutto, anche senza virgolette a dover ancora arrivare
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