Sotto
l’onda lunga del tracollo economico greco anche il resto dell’Europa sembra
annaspare con sempre più difficoltà. I tassi sui titoli di stato ellenici sono
schizzati al 18% mentre l’irrequietezza tocca anche le due altre economie per
ora più colpite dalla crisi, quelle irlandese e portoghese. La novità è che,
secondo la Banca Europea, queste tensioni stanno ora raggiungendo il cosiddetto
“terzo anello”, cioè i paesi non ancora colpiti da attacchi speculativi ma che,
per ragioni diverse, sono considerati “a rischio”. In Spagna, Belgio ed Italia
il differenziale tra tassi d’interesse tedeschi e quelli dei paesi a rischio si
sta ampliando, segnalando in maniera chiara che il mercato teme che la crisi
non si fermi ad Atene e che il tanto paventato effetto domino arrivi a colpire
il cuore dell’Europa.
Per
evitare che questa situazione di tensione degeneri in panico, la Banca Centrale
chiede interventi decisi per tranquillizzare le piazze finanziarie, ed in
particolare, nel caso del nostro paese la BCE pretende certezza su quali siano
le misure che il governo intende adottare per ridurre il deficit fino al 2014.
Fatti, non parole, che sono invece la specialità del nostro esecutivo. A Roma è
tutto un alzarsi di voci in libertà: da una parte, dopo dieci anni di governo
quasi ininterrotto si ritira fuori la riforma fiscale sempre annunciata e mai
fatta; dall’altra Tremonti resiste alle pressioni di Berlusconi e della Lega in
nome del rigore dei conti. In mezzo il paese che pian piano rotola sempre più
in basso, vittima di veti incrociati, di lobby affaristiche poco chiare quando
non proprio criminali, di grandi interessi che sfruttano la loro rendita di
posizione.
L’Italia
sembra trovarsi con le spalle al muro, stretta tra la crisi economica, il peso
del debito pubblico e la necessità di rilanciare l’economia. Per Tremonti
risorse per fare la riforma fiscale non ci sono, ed è escluso che si possa
farla in deficit, mentre l’Europa insiste che vengano trovati proventi
addizionali per ridurre il deficit ed in prospettiva il debito. Il
messaggio che ci viene lanciato è che l’Italia non possa permettersi politiche
di rilancio economico e che le uniche “riforme” possibili siano i tagli alla
spesa pubblica. Questo però vorrebbe dire affossare definitivamente l’economia
reale, aggravando il circolo vizioso debito-tagli-stagnazione-debito. Il paese,
dopo un ventennio di politiche restrittive ha bisogno urgentemente di
rilanciare la crescita, anche se certo i conti pubblici vanno tenuti d’occhio
per evitare che la grande speculazione travolga l’economia italiana.
Si
tratta di rilanciare gli investimenti puntando non sulla precarietà dei
lavoratori e su salari minori, ma su incentivi fiscali che mirino ad aumentare
l’occupazione e il reinvestimento dei profitti. Allo stesso tempo bisogna
incrementare i consumi, favorendo soprattutto quelli medio bassi. I soldi ci
sono, si tratta di trovarli. In un paese in cui negli ultimi trent’anni il
reddito da lavoro e quello da capitale si sono mossi in direzioni opposte,
impoverendo larghi strati della popolazione mentre le rendite dei pochi
aumentavano, il tesoretto che serve per rilanciare l’economia e cominciare a
mettere in ordine i conti pubblici va trovato nelle tasche di chi più ha preso,
spesso in maniera per altro poco lecita. Certo la lotta all’evasione fiscale va
ulteriormente rinforzata, ma non può bastare, almeno nel periodo iniziale.
Bisogna colpire le rendite finanziarie, tassate ad un livello ridicolo, ed i
patrimoni più consistenti. In Italia parlare di tali politiche sembra una
bestemmia, ma si tratta di scelte quanto mai ovvie, che si basano non solo su
una logica di equità ed eguaglianza (valori che la politica dovrebbe
ricominciare a far propri) ma anche e soprattutto su una ferrea razionalità
economica. Tassare i patrimoni improduttivi per rilanciare gli investimenti
produttivi, ridurre il reddito disponibile di chi non lo consuma a favore invece
di chi non ha risparmi sono misure dai sicuri benefici. Certo, sono misure
anche impopolari in diversi settori della popolazione (ma non lo dovrebbero
essere, ad esempio, tra gli imprenditori interessati a rilanciare la loro
fabbrica e non allo sperpero nel lusso), ma d’altronde la politica è fatta di
scelte. Mentre i governi berlusconiani hanno sempre fatto scelte di campo
chiare – in favore dell’evasione, della rendita, degli interessi privati,
sempre contro la scuola pubblica, l’università, il lavoro salariato – i passati
governi di centro-sinistra hanno privilegiato un approccio che cercava di
accontentare tutti, finendo con lo scontentare sia il tradizionale elettorato
di sinistra che non vedeva la situazione cambiare in maniera decisa, sia quello
di destra, comunque meglio protetto da Berlusconi&company. Ora,
con la crisi alle porte, ed il rischio del definitivo tracollo economico, è
giunta l’ora delle scelte. Radicali.
Nicola Melloni (Liberazione)
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