L'agosto bollente della finanza europea
ha portato al pettine tutti i nodi che in questi anni si erano voluti scansare.
Fin dall'inizio della crisi il governo Berlusconi ci aveva spiegato che
l'Italia aveva un'economia solida e che saremmo rimasti indenni di fronte alla
recessione internazionale, salvo poi di colpo ritrovarci sull'orlo del baratro.
Certo, le ragioni dello scoppio della crisi, nel 2007, erano estranee ai
problemi dell'economia italiana e vanno ricercate nella finanziarizzazione
dell'economia anglosassone e nelle bolle speculative, soprattutto quella del
mercato immobiliare. L'Italia, con la sua struttura industriale più solida e
con un sistema bancario meno esposto alla speculazione non è stata inizialmente
sotto attacco, ma ha patito le conseguenze della recessione internazionale. Con
un mercato interno da anni asfittico, il nostro paese ha inevitabilmente pagato
la diminuzione degli ordinativi esteri ed il congelamento del mercato del
credito, peggiorando le condizioni dell'economia reale, da quasi due decenni a
crescita zero. Nell'ultimo decennio questa debolezza era stata nascosta dalla
solidità dell'Euro che rassicurava i mercati finanziari, ma nel momento in cui
questa fiducia nella moneta unica è venuta meno è apparso drammaticamente
chiaro che l'Italia era nei guai. Il governo si è colpevolmente illuso che
l'Occidente uscisse dalla crisi e si trascinasse dietro l'Italia, ma mentre si
aspettava Godot la crisi dei mercati è diventata la crisi degli stati e
l'Italia si è trovata immediatamente a recitare il ruolo della vittima
predestinata.
Fino a giugno si è scelto di ignorare quello che era sotto gli
occhi di tutti; poi, quando la speculazione si è avventata su Spagna e Italia
ci siamo improvvisamente svegliati. Appelli all'unità, a fare in fretta, a
compiacere i mercati. Tutto pur di allontanare le ombre speculative, ma ormai
era tardi. Quello che vantavamo come miglior ministro delle finanze d'Europa
(sempre per la serie a chi le spara più grosse) si è trovato senza uno straccio
di idea per rimettere in sesto la situazione economica. Abbiamo provato a
vendere all'estero la favola che il governo aveva saputo tenere meglio di altri
i conti in ordine, ma il deficit era sotto controllo solo perché l'Italia aveva
attraversato la crisi bancaria senza troppi problemi, senza dover
ricapitalizzare le banche che erano rimaste fuori dal mercato subprime. In
realtà è chiaro che il nostro problema non siano i conti, ma la mancanza di
crescita che ci costringe a pagare ogni anno interessi maggiori della ricchezza
aggiuntiva prodotta, in un circolo vizioso senza uscita.
Cosa di cui si sono
resi conto anche i mercati, punendo pesantemente la nostra economia nonostante
Tremonti si spacci come il garante dei conti pubblici (altra panzana).
Berlusconi nel frattempo si è mosso solo per evitare di dover pagare la tassa
di solidarietà, dando il via ad un ridicolo minuetto nella maggioranza, con
finte fronde, accuse reciproche e sfide con la Lega a chi ha le idee meno chiare.
Pensioni sì, pensioni no, Iva, contributo di solidarietà, tagli agli enti
locali, abolizione delle provincie, solo di alcune, meglio di tutte, ma solo
con legge costituzionale. Chi più ne ha più ne metta. Ed ora la fiducia, non si
capisce ancora bene su cosa. Il governo sembra ormai uno spettacolo, grottesco,
di marionette etero-dirette, con le linee guida della manovra decise altrove, e
l'applicazione lasciata in mano ai burattini nostrani. Il risultato è una
manovra di classe, eppure confusa, recessiva che, invece di sistemare le cose,
le peggiorerà perché mette (forse) al sicuro i conti per pochi mesi ma non
interviene sul problema strutturale, la crescita, facendo anzi di tutto per
assecondare il ciclo negativo. Non si tratta, come chiede Napolitano, di fare
le cose in fretta, si tratta di farle bene. Non si tratta, come chiede la Bce,
di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013, ma di far ripartire
l'economia reale, subito. E la crescita, è opportuno ripeterlo, non la si
raggiunge colpendo i redditi da lavoro e i consumi popolari o con i tagli al
welfare e ai servizi pubblici. La situazione è gravissima e richiede misure
straordinarie, come quelle proposte da Modiano, una patrimoniale sul 20% più
ricco della popolazione in grado di raccogliere almeno 200 miliardi di euro,
così da abbattere in maniera consistente il debito, ridurre gli interessi
pagati e liberare risorse da utilizzare per rilanciare l'economia, soprattutto
intervenendo sul cuneo fiscale. Le risorse per uscire dalla crisi, in Italia,
esistono ancora. Basta sapere dove andare a cercarle.
Nicola
Melloni
08/09/2011
(Liberazione)
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