Nel corso degli ultimi giorni i quotidiani ed i periodici hanno fornito ampio spazio alla vicenda dell'uccisione di Gheddafi per mano di alcuni esponenti della milizia "ribelle", espressione del nuovo governo ufficiale. Reporter ed opinionisti hanno speso decine di righe a descrivere il contesto della morte e ad effettuare considerazioni su cosa sarebbe potuto emergere da un eventuale processo al despota libico.
Ciò che apparentemente nessuno sembra aver preso in considerazione è il fatto che tutta questa vicenda, inclusa la pietosa prima pagina del quotidiano britannico "The Sun", che non ha perso occasione per ricordarci che razza di immondizia sia, rappresenta un autogol colossale ed una smentita, qualora ce ne fosse bisogno, delle motivazioni umanitarie e democratiche alla base di questa come di altre guerre. Non serve il bambino della favola per mostrarci che il re nudo di fronte alla sguaiata ed ipocrita incoerenza dei governi occidentali, pronti a dispensare lezioni di democrazia al mondo intero ma che chiudono gli occhi o addirittura gioiscono di fronte al trattamento brutale di un uomo, i cui crimini andrebbero giudicati secondo il diritto internazionale, o comunque del Paese in cui egli è giudicato,e non sulla base della legge del taglione.
A differenza di quanto molti credono o preferiscono credere, non siamo di fronte ad un problema che riguarda quattro beduini ma ad una questione fondamentale anche per noi. Le circostanze della morte di Gheddafi mettono in mostra la brutalità e l'autoritarismo delle società in cui viviamo, casomai i continui esempi di repressione del dissenso o le frequenti morti di cittadini in custodia non fossero sufficienti. Recuperare il vero senso di parole come democrazia e diritti, in questo caso specifico quello ad un giusto processo, è fondamentale per la salvaguardia del modello democratico e per il progresso della società, anche quando si tratta di un dittatore accusato di crimini efferati. Ammettere eccezioni e deroghe sulla base di simpatie o dell'emotività mina l'idea stessa di diritti e della loro universalità, il che ci rende tutti e tutte vulnerabili ai soprusi del prepotente di turno.
La salvaguardia delle conquiste democratiche e sociali degli ultimi duecento anni non può che passare dalla riaffermazione di questa universalità. Purtroppo lo stato di apatia e di assuefazione con cui la maggior parte dei cittadini sembra aver reagito alla notizia non lascia ben sperare sulle sorti della democrazia che, a parole, difendiamo ed esportiamo con la guerra.
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