Primi di novembre, qui piove con forza, mi si serra il cuore e penso che pioverà di nuovo, a breve, sul mio Veneto già inondato un anno fa. Mi prende quell'inquietudine con cui in realtà dalle mie parti non si è mai smesso di scrutare il cielo dal '66, perché fu allora che lo Stato promise per la prima volta interventi infrastrutturali mai realizzati in campo idrogeologico, mentre nel frattempo si va di Tav e di Dal Molin, di camionabili e Venetocity, di pedemontana e ponti sullo Stretto. E alla fine ci vediamo spazzar via la vita intera da pioggia e fango.
In Veneto, secondo Legambiente, ben il 92% dei Comuni ha nel proprio territorio abitazioni costruite in aree golenali, in prossimità degli alvei, in zone a rischio frana; fino ad un anno fa l'88% di questi Comuni non svolgeva alcuna attività di manutenzione ordinaria dei corsi d'acqua e delle opere di difesa idraulica. I veri esperti dicono (sottovoce) che ci vorranno 30 anni per mettere il territorio al riparo da ogni rischio; che saranno necessari 40mila ettari di terreno da trasformare in laghi artificiali per la raccolta dell'acqua in caso di piena e, soprattutto, 2,7 miliardi di euro per finanziare questa soluzione definitiva. I soldi per salvare l'assetto idrogeologico della pianura non ci sono, arriveranno solo in parte, a spizzichi e bocconi e non toglieranno mai più l'ansia alla terra pregna d'acqua né alle famiglie che ancora annaspano tra i detriti per riprendersi una parvenza di vita normale, soprattutto quelle sei che, nonostante la solidarietà della gente, vivono ancora nei containers.
In un momento in cui l'attualità del Paese pare scandita dal ritmo di un romanzo epistolare (da Veronica alla BCE, da Marchionne a Montezemolo, scrivono tutti), finalmente anche i sindaci del Veneto scrivono al Governo per chiedere che la salvaguardia dell'assetto idrogeologico del Paese diventi uno dei motori dello sviluppo nazionale, “che si investa in quest'ambito per sostenere la crescita di tutto il Paese”. Tra cento recenti proposte bislacche per rilanciare l'economia, eccone una che davvero darebbe coesione al Paese da Vicenza a Campobasso, passando per Aulla e Roma . Ma chissà quanta acqua dovrà ancora passare sotto i ponti prima che per molta gente una nuvola sia solo una nuvola.
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Guardiamo il cielo e incrociamo le dita, ma non può essere l'unica soluzione.
RispondiEliminaOggi sono 60 anni dall’alluvione del Polesine. La tristezza vela gli occhi di chi ha vissuto il momento. A noi prende l’amarezza perché il ripetersi di simili “catastrofi”, con gran parte dei danni evitabili, non sono solo più imputabili alla “malevolènza” della natura, ma sempre più all’incuria/negligenza/irresponsabilità/stupidità dell’UOMO, che appunto, sembra ormai usare verbo/scrittura/intelletto solo per il “romanzo all’italiana” di turno.
RispondiEliminaLore