Di Francesca Fondi
Il 17 Febbraio scorso la repubblica del Kosovo ha festeggiato per la quarta volta la sua indipendenza.
Il paese più giovane d’Europa, nel doppio senso di nato per ultimo, ma anche per via della sua giovanissima popolazione, di cui però quasi non si sente più parlare, sta ancora lottando per avere riconosciuta la propria dichiarazione di indipendenza (i paesi ad averlo già fatto sono infatti solo 88, ultima, proprio tre giorni fa, l’Uganda: www.kosovothanksyou.com/ ), nonostante la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja nel luglio 2010 l’abbia definita legittima azione di autodeterminazione di un popolo.
I contrasti con la Serbia, paese madre profondamente ostile alla sua separazione, non mostrano infatti segnali di ammorbidimento. Anzi, le palesi posizioni dei “big” che stanno dietro le due –ormai- repubbliche (ovvero Stati Uniti e Russia) non favoriscono certo un graduale scemare della chiassosa e burrascosa relazione tra Kosovo e Serbia. Ancora lo scorso gennaio si sono avute proteste sul confine tra i due paesi e non sono mancati gli episodi di violenza che ormai caratterizzano le spesso tese relazioni tra i paesi dell’area balcanica. La protesta è stata organizzata dal movimento Vetevendosje! (Autodeterminazione), che più che un movimento è il terzo partito politico del paese, avendo ricevuto il 12% dei voti all’ultima (e anche la prima dopo l’indipendenza) elezione politica del Kosovo nel dicembre 2011. Le motivazioni erano relative alla mancata applicazione, da parte del governo di Hazim Thaci, della mozione fatta approvare dal Parlamento che prevedrebbe la reciprocità politica, economica e commerciale nei confronti della Serbia.
Ora, episodio specifico a parte, l’idea è quella di ricordare oggi un piccolo paese europeo di cui si sente ormai solo parlare in qualche notizia legata a truci vicende di corruzione o di criminalità organizzata. Oggi vorrei dar voce a quella parte del paese che, rappresentando al tempo stesso la sua anima e il suo futuro, non ha niente a che vedere con tutto questo; una voce che non parla né serbo né albanese o, se preferite, tutti e due, ma che soprattutto investe e crede in un Kosovo migliore. E dal momento che ci troviamo su un blog “di resistenza”, è stata scelta la voce di un blog kosovaro a cui va ammirazione per l’intraprendenza, la tenacia e il desiderio di documentare: Kosovotwopointzero . Concepito solo un paio di anni fa e apparso online da ancora meno, dal luglio 2011 pubblica (sul web e in cartaceo) anche la sua magazine volta a far discutere e riflettere su aspirazioni e disillusioni di una nazione ancora alla ricerca della propria identità. Con il 70% percento della popolazione al di sotto dei 30 anni (i blogger hanno un’età media di 25), l’uso delle nuove tecnologie dell’informazione ha un potenziale di impatto enorme. Soprattutto per un blog trilingue (albanese, serbo, inglese).
Come molta dell’innovazione nei Balcani del XXI secolo, l’ispirazione viene dall’esterno: la redazione è in mano a una giovane giornalista Kosovara fresca di studi all’estero che ha realizzato un progetto editoriale ad effetto con lo zampino di un fotografo olandese; il supporto non manca di rappresentanti della comunità internazionale, senza contare che molti dei collaboratori sono residenti fuori dal Kosovo.
Ma è pur vero che é anche grazie allo sguardo da e verso l’esterno che la società civile trova motivazione, impulso ed idee per dare vita a un impegno “civico” che nasce dal suo stesso interno. Impegno che è volto in primis a colmare un information gap sulla stessa società Kosovara, e secondariamente anche a fotografare i rapidi cambiamenti che stanno caratterizzando il suo presente. L’obiettivo ultimo sembra quindi diventare per questa “nuova” società civile la ricerca di una identità, che sarà probabilmente sempre più lontana dal retaggio della sua complessa storia e composta in misura sempre maggiore dalle esperienze ricche e variegate della sua giovane popolazione. Nella speranza che possano essere gradualmente superati gli odi e le avversioni che ancora non danno pace alla regione più martoriata d’Europa.
Concludo con una citazione dallo stesso blog che vuole essere anche un invito una lettura diretta:
[…] Prishtina, where being famous is the same as having many friends. Where the nicest park is fenced to be reserved for politicians. Where Muslims celebrate Christmas, and one of the largest new buildings in the city is a cathedral. Where you work six days a week in a coffee bar, just to be able to pay for your coffees on the seventh day. Prishtina, where it is both a curse and a blessing to be an international. Prishtina, where friendship is everything.
That's where I live, in a flat with a balcony. In a room with a rug, a kitchen and a bed. That's where I will cook dinners with good friends, while we talk about things we have also talked about last week. It is the city where I am happy to fall asleep in every night, to be woken up too early. By the singing of the hoxhas.
That's where I live, in a flat with a balcony. In a room with a rug, a kitchen and a bed. That's where I will cook dinners with good friends, while we talk about things we have also talked about last week. It is the city where I am happy to fall asleep in every night, to be woken up too early. By the singing of the hoxhas.
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