Pubblichiamo qui di seguito una puntuale analisi sulla legge di stabilità varata dal governo e NON ancora approvata dal Parlamento. Nonostante l'opposizione del PD sarà difficile cambiarne l'impianto, aspettiamoci al massimo qualche cambiamento. L'articolo proviene da Pubblico giornale.
di Domenico Moro
da Pubblico giornale
Alcuni continuano a chiedersi qual è il
senso di una manovra che prende con una mano e dà con un’altra. In
realtà, Monti non dà nulla e prende molto più di quanto sembri. Prende
dai redditi più bassi e dai lavoratori e dà alle grandi imprese,
realizzando un gigantesco trasferimento di ricchezza sociale. I
provvedimenti avranno ulteriori effetti recessivi, sulla linea di quelli
già varati e che hanno depresso domanda e produzione. Con una mossa
degna di un giocatore delle tre carte, il governo ha gettato fumo negli
occhi riducendo le prime due aliquote dell’Irpef.
La prima dal 23% al 22%, la seconda dal
27% al 26%. Nel migliore dei casi si realizzerebbe un risparmio di 280
euro per contribuente, che in totale nel 2013 sarebbe di circa 4,27
miliardi in meno per l’erario. Si tratta però per i cittadini di
risparmi del tutto aleatori. In primo luogo, il governo ha introdotto
una franchigia di 250 euro su deduzioni e detrazioni e un tetto di 3000
euro alle spese detraibili.
Il risultato è un aggravio di imposta
di 2 miliardi di euro, che colpirà 21 milioni di persone, di cui il
94,5% lavoratori dipendenti e pensionati. Per quanto riguarda le spese
sanitarie la franchigia a 250 euro risulta raddoppiata rispetto a quella
attuale e gli sconti saranno ridotti del 25%, aggravando l’aumento di
ticket e spese sanitarie. Tra i più colpiti dal tetto alle spese
detraibili saranno i 3,2 milioni di titolari di mutui, che prima
potevano portare in dichiarazione fino a 4mila euro con uno sconto di
760 euro, che ora non potrà superare i 570 euro. Con la contrazione dei
mutui e del mercato immobiliare è facile immaginare l’ulteriore effetto
depressivo sul settore delle costruzioni. Ma l’aspetto forse più odioso
delle nuove deduzioni e riduzioni è la retroattività, essendo valide dal
2012, mentre i tagli Irpef partiranno dal prossimo anno: una decisione
contro il principio di non retroattività della legge e lo statuto dei
diritti del contribuente. Quindi, nel 2012 si verserà una imposta Irpef
più salata, altro che alleggerimento fiscale. Senza contare che la
riduzione di detrazioni e deduzioni aumenterà l’imponibile da
assoggettare alle addizionali regionali e comunali Irpef. Passiamo ora
agli aumenti delle imposte, questa volta reali. Il governo ha sottoposto
il paese ad una cura da cavallo, motivandola con la volontà di non
aumentare l’Iva. Ecco che, invece, l’Iva viene aumentata di un altro
punto percentuale, portando l’aliquota media del 10% all’11% e quella
massima dal 20 al 21%. In qualche caso, anche l’aliquota più bassa è
stata ritoccata: per i servizi delle cooperative si passa dal 4% a 10%.
Si tratta di aumenti privi di una seria logica economica. In primo
luogo, perché, spostando la tassazione dalle persone alle cose,
penalizza i redditi più bassi in quanto l’Iva grava su tutti allo stesso
modo. In secondo luogo, perché è poco efficace: tra gennaio e agosto,
nonostante l’aumento dell’1%, il gettito Iva è diminuito rispetto al
2011 di 913 milioni (-1,3%). In terzo luogo, l’aumento dell’Iva non si
limita ad incrementare i prezzi dell’1%, in quanto il settore della
distribuzione di solito prende a pretesto l’aumento dell’Iva per
incrementi maggiori. L’aumento dell’inflazione che ne consegue, in
presenza di un ristagno salariale e di un aumento di disoccupazione e
cassa integrazione, riduce fortemente il potere d’acquisto dei
lavoratori e il monte salari complessivo. Inoltre, ad essere più
penalizzati saranno i bassi redditi in quanto l’aumento dell’aliquota
intermedia si applica su molti generi di prima necessità. In sintesi, è
una scelta con effetti recessivi a catena sull’intera economia italiana.
Anche se il gettito complessivo dell’Iva prevedibilmente calerà,
l’aumento dovrebbe valere circa 5-5,5 miliardi. Ecco, quindi, che,
detraendo la riduzione dell’Irpef (4,27 miliardi) dalla somma
dell’incremento dell’Iva (5-5,5 miliardi) e delle minori deduzioni e
detrazioni (2 miliardi), il saldo per i contribuenti è negativo per
circa 2-2,5 miliardi, pesando però essenzialmente su quelli più poveri.
Ma non basta. Infatti, il governo ha reso permanente l’aumento
dell’accisa carburanti per il recente terremoto, allineandosi alla
scuola di pensiero che ci fa pagare al distributore calamità di
cinquanta anni fa. Nel decreto si prevede anche l’aumento delle aliquote
della tassazione sul Tfr, dal 23% al 23,5%, per un Tfr maturato in 10
anni e pari a 20mila euro, dal 26,19% al 27%, per 20 mila euro, e dal
29,40 al 29,75%, per 40mila euro. I lavoratori pubblici, con il
congelamento del rinnovo dei contratti e la conferma della sospensione
della vacanza contrattuale, perderanno tra 2010 e 2014 dai 6mila agli
8000 euro. Un provvedimento ancora più iniquo se si considera che sono
saltati i tagli del 5 e 10% sui superstipendi che nei ministeri superano
abbondantemente in decine di casi i 200mila euro. Se il salario diretto
in busta paga e quello differito, Tfr e pensioni, vengono colpiti, il
salario indiretto, erogato attraverso i servizi sociali, viene attaccato
ancora più duramente. Il decreto del governo prevede un taglio di 1,6
miliardi alla spesa sanitaria tra 2013 e 2014, che si aggiunge ai tagli
già adottati. Inoltre, i trasferimenti statali agli enti locali verranno
ridotti di 2,2 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi alle regioni.
Considerando che i bilanci di molte regioni e comuni sono disastrati e
che i ticket sanitari e le imposte locali sono già molto alti, questi
tagli avranno un ulteriore effetto rialzista sulla tassazione locale e
di peggioramento della qualità del servizio, che sarà scontato da chi
non può usufruire della sanità privata. Chi beneficerà dei provvedimenti
del governo? In primo luogo le grandi imprese. A queste verrà concesso
uno sconto fiscale di 1,6 miliardi di tasse, praticamente l’equivalente
dei tagli alla sanità, con i quali verrà pagato. Lo sconto è
condizionato al raggiungimento di accordi di produttività tra imprese e
sindacato. Si tratta di un’ulteriore spinta a rendere secondari i
contratti nazionali e a legare le retribuzioni alla produttività. Questa
non deriverebbe, stante anche il calo degli investimenti, da
innovazioni tecnologiche e di prodotto ma dall’aumento dei ritmi e della
durata del lavoro, che Squinzi, presidente di Confindustria, ha evocato
come le leve da impiegare per salvare l’industria italiana. Dulcis in
fundo, le scuole private percepiranno 223 milioni di euro, mentre gli
insegnanti delle scuole pubbliche lavoreranno 6 ore in più alla
settimana.Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete
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