di Nicola Melloni
da Liberazione
Le cose, noi lo sappiamo, sono sempre state un pochino diverse. Marchionne ha (giustamente) approfittato delle politiche neo-keynesiane di Obama che lo ha riempito di soldi pur di salvare Chrysler, mettendo però una serie di paletti importanti su investimenti e futuri piani di rilancio - della serie va bene il capitalismo, ma non è che ci fidiamo più di tanto. E l’altra fetta dei soldi per il salvataggio ce li ha messi il sindacato Uaw con il suo fondo pensione, Veba.
Un impegno dei lavoratori per salvare Chrysler. Ma un impegno non vuol dire un regalo, al padrone magari, che fa profitti coi soldi degli altri e se li intasca. No, impegno per Uaw vuol dire un investimento, secondo le regole ferree del capitalismo americano con i fondi pensione che hanno in pancia il futuro ed il welfare dei lavoratori. E dunque, anche i sindacalisti “moderni” e “riformisti” non possono proprio calarsi le brache davanti al padrone.
Veba controlla oltre il 40% delle quote Chrysler e Fiat, che ha poco meno del 60%, ha l’opzione per comprare un ulteriore 16% in rate semestrali di circa il 3%. Opzione in cui però non è stabilito il prezzo. E Marchionne ha deciso di giocarsela, come dire, all’italiana. Offrendo briciole ed elemosine. Per un primo stock del 3% erano stati offerti 139 milioni di dollari nel luglio scorso. Veba ha riso in faccia a Marchionne, valutando il pacchetto due volte e mezzo di più, 342 milioni. Marchionne ha abbozzato e poi a gennaio ha rilanciato, portando il prezzo a 198 milioni, un aumento di quasi il 50%. Ancora nulla di fatto, e se ne occuperà un tribunale.
Veba propone in alternativa di andare sul mercato con una offerta pubblica per far stabilire agli investitori, e non ai padroni, il reale valore di Chrysler. Ma il buon (?) Marchionne nicchia. Sa che rischia di perderci un mucchio di soldi, mettendo a rischio la tanto agognata fusione con Fiat. Alla fine si trova sempre dei sindacalisti tra i piedi. E ancora non se ne capacita. Come mai non gli fanno i ponti d’oro? In fondo lui ha salvato Chrysler (o forse è stato Obama…ma non entriamo nei dettagli); in fondo lui mantiene Fiat in Italia (almeno così ha detto tante volte, salvo poi investire in Serbia e chiudere stabilimenti da noi, vedi anche il caso Melfi). Eppure i suoi sforzi non vengono apprezzati, nessuno che gli dica grazie.
La realtà, ovviamente, è un po’ diversa. Al moderno imprenditore Marchionne piace fare lo sbruffone con i soldi degli altri e sulla schiena dei lavoratori. Altro che imprenditore, in realtà un finanziere e neanche dei più raffinati. Non innova, investe poco ma abbassa i costi. Lo fa riducendo i salari o cercando di comprare a prezzi ribassati le azioni degli altri investitori. Una strategia di corto respiro, tipica di quel capitalismo finanziarizzato che conosciamo bene, tutto dedito ai guadagni di breve periodo, senza una visione di ampio respiro e lunga durata. Che vede nei lavoratori non una risorsa ma un costo da minimizzare; che vede negli investitori non un partner ma un pollo da spennare. Proprio quello di cui c’è bisogno per rilanciare l’industria occidentale.
fonte: http://www.liberazione.it/news-file/Marchionne-contro-i-sindacati-anche-in-America.htm
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