mercoledì 6 febbraio 2013

Populismo e populisti

di Nicola Melloni
da Liberazione

Quella del populismo è ormai divenuta un’accusa classica, la sentiamo sui giornali un giorno sì e l’altro pure e serve ad indicare i partiti e le forze politiche inadatte a governare. Inadatte per chi e per quali motivi però? Populisti sarebbero quei politici che parlano al popolo, magari cercando di lisciargli il pelo per acquistare popolarità e consenso. In questo senso, l’uscita domenicale di Berlusconi, ridare l’Imu in contanti, è ovviamente una trovata populista. In realtà però il problema della trovata di Berlusconi non è il populismo, quanto piuttosto il contenuto della proposta stessa che rimane in linea con il Berlusconi di sempre che in passato le tasse le ha abbassate solo ai ricchi togliendo la tassa di successione e l’Ici per le case dei più abbienti. Parlare di Imu non può essere populista a prescindere, bisogna però sapere (e dire!) come verrà finanziata la soppressione di quella tassa, perché quei soldi andranno comunque trovati da qualche altra parte, o con maggiori tasse o con minori servizi. Il punto sarebbe dunque non tanto abolire l’Imu, quanto sostituirla con una tassa patrimoniale vera e propria che colpisca i cittadini oltre una certa fascia di reddito. Lo abbiamo detto più volte, infatti, che una tassa come l’Imu che colpisce indiscriminatamente non ha senso ed è ingiusta in quanto, invece di tagliare le unghie alle grandi ricchezze, colpisce il reddito della maggior parte dei lavoratori e dei pensionati. Invece, una vera tassa patrimoniale che tassi le proprietà, mobiliari ed immobiliari, dei cittadini più ricchi è moralmente giusta ed economicamente indispensabile. Sempre, a maggior ragione in un periodo di crisi del debito. In conclusione, quindi, non è tanto il populismo ad essere questionabile nella proposta berlusconiana, quanto piuttosto il contenuto della proposta stessa.
Nel linguaggio politico corrente, populista è diventato, più o meno, un sinonimo di demagogo, e a volte il termine sembra venir usato più per riferirsi ad un certo tipo di stile, piuttosto che alla linea politica che vi è sottesa. Così Grillo, che minaccia di portare l’Italia fuori dall’Euro, è un populista. Ma Cameron che vuole tenere un referendum sull’uscita della Gran Bretagna dalla Ue non lo è. Similmente, Chavez viene considerato un classico esempio di populismo del XXI secolo perché, dicono, mette a repentaglio la stabilità economica per cercare di ridistribuire la ricchezza in Venezuela. Ma non potremmo forse definire populista la Cancelliera Merkel che pur di non contrariare gli elettori tedeschi ha rischiato e rischia tuttora di distruggere la moneta unica?
Il problema non è dunque solo lo stile: l’accusa di populismo è rivolta soprattutto a chi infastidisce o minaccia i poteri dominanti. Non a caso il termine cominciò a tornare di gran moda negli anni Ottanta, in coincidenza con l’ascesa del neo-liberismo. Mentre in America ed Inghilterra imperavano due demagoghi come Reagan e la Thatcher, sempre pronti a stuzzicare gli istinti più bassi dei loro elettori pur di attrarre un po’ di consenso, l’intellighenzia mediatica e politica additava al pubblico ludibrio tutti quei leader che si rifiutavano di piegarsi al diktat neoliberale. Cercare di ridurre la disoccupazione era populista. Alzare le tasse ai ricchi era populista. Ad un certo punto anche manifestare per la pace era populista. Il sottinteso, abbracciato con forza soprattutto dalla sinistra di governo, e non solo in Italia, era (anzi, è) che le forze politiche che ambiscono a governare devono fare, direi quasi per forza, scelte impopolari. Se il popolo chiede una cosa, che so, stabilità nel lavoro, ridistribuzione fiscale, pace, tu fai l’esatto contrario e avrai l’applauso incondizionato di media, opinion-maker, e naturalmente dei mercati. La falsa logica che condannava il cosiddetto populismo è che esistevano ricette e politiche corrette e dunque ineludibili e bisognava semplicemente eseguirle. Non era più un problema di destra o sinistra, ma di giusto o sbagliato. I populisti sbagliavano perché volevano favorire il loro elettorato, a scapito del bene collettivo. I bravi, i neoliberali ovviamente, sceglievano il giusto con totale disinteresse delle conseguenze elettorali. Come no….
La storia ha naturalmente mostrato una realtà ben diversa da quella propagandata per trent’anni. Ma le accuse di populismo rimangono esattamente le stesse. In Grecia, di fronte al disastro completo e alle ruberie di Nuova Democrazia e Pasok, tutto l’establishment europeo si è schierato a favore dei responsabili della crisi. Syriza era populista: rifiutava, pensate un po’, il piano di “salvataggio” dell’Europa. Ed ora, in Italia, è la stessa storia. Rivoluzione Civile rifiuta il Fiscal compact e la riforma del lavoro. Populisti, inadatti a governare. Che il Pd sostenesse posizioni simili solo un paio di anni fa non conta nulla. Che l’austerity non abbia funzionato non è importante. Qualcuno ha già deciso che il Fiscal compact va bene lo stesso. Che in Italia il precariato abbia portato a diseguaglianze, povertà e abbassamento della produttività non è rilevante. La riforma Fornero non si tocca. Chi si oppone è un populista, appunto. Non importa che abbia ragione.


Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale
Tze-tze, notizie dalla rete

Nessun commento:

Posta un commento