da http://vauro.globalist.it/ |
Non dovrebbe davvero piangerlo nessuno. Una sentenza della magistratura lo ha giudicato mafioso, ma solo fino al 1980, come se dalla mafia si guarisse. Non condannato, perché prescritto, come se la mafia si prescrivesse.
Ma la verità giudiziaria, per quanto importante, non è certo tutto. In un giorno come questo bisognerebbe dare un giudizio politico. Certo, Andreotti amico degli arabi, certo Andreotti che teneva testa agli americani, certo Andreotti rispettato in Europa. Ma era lo stesso Andreotti che coltivava il potere per il potere, lo stesso Andreotti che raccoglieva voti a Roma trafficando con palazzinari e para-fascisti, che mieteva consensi in Sicilia arruolando mafiosi e amici di mafiosi.
Dicono, demonizzato dalla sinistra. Ma la storia, non il rancore, racconta di quella DC che ha governato l'isola per 50 anni, grazie alla mafia. Era la DC di Andreotti quella del sacco di Palermo, era quella delle clientele e dei rapporti coi fratelli Salvo. Quella dei voti comprati.
E non ci si ferma in Sicilia. C'è lo zampino di Andreotti in quasi tutte le vicende più squallide della Prima Repubblica. Lasciando stare la melassa del processo Pecorelli, Andreotti era l'uomo degli omissis sul Golpe Borghese, dei rapporti oscuri con Gelli, era l'amico di Sindona, era quel caritevole cristiano che di Ambrosoli, ucciso da una combutta dei suoi amici affaristi, faccendieri, mafiosi, disse che se l'era cercata.
In effetti, nell'Italia di Andreotti chi lottava per la legalità, per un paese meno marcio e più giusto, per una vita pubblica pulita se l'andava proprio cercando e spesso ci lasciava le penne. In quell'Italia la mafia dilagava, si mettevano le bombe nelle stazioni e nei treni, i servizi segreti, italiani ed esteri, facevano un pò quello che volevano, ammazzando, istigando ad ammazzare o coprendo assassini. Era l'Italia di Andreotti.
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