Ad Atene si è
consumato ieri un amaro paradosso: nella città culla della democrazia antica si
è assistito all’inizio del tramonto della democrazia moderna. Nel mezzo delle
proteste dei sindacati e del popolo greco, infine il Parlamento ellenico ha
deciso di abdicare e, con un voto imposto dagli organismi internazionali e dal
capitale transnazionale, ha consegnato le chiavi della sovranità ellenica ai burocati
di Bruxells, Francoforte e Washington. La maggior parte dei mezzi di
informazione descrive le immagini che arrivano da piazza Syntagma come scontri
di facinorosi che assediano il luogo principe della democrazia, il Parlamento.
In realtà la situazione è ben diversa, dentro quel Parlamento svuotato di ogni
legittimità democratica si sono trincerati, ben difesi dalla polizia, gli
oligarchi del capitale finanziario che impongono le loro pretese a forza di
ricatti e bastonate.
Si tratta di un
tuffo nel passato: la volontà popolare è stata esautorata e la Grecia è il
primo paese europeo a sovranità limitata dai tempi dell’URSS e del patto di
Varsavia. L’Unione Europea ha apertamente ricattato il governo di Atene, costringendo
i parlamentari greci a votare un piano di tagli selvaggi, inutili e dannosi e
di privatizzazioni assurde in cambio della tranche di aiuti promessi. Si dice,
una amara medicina ma l’unica in grado di salvare lo stato ellenico dalla
bancarotta. Peccato che gli aiuti europei non verranno utilizzati per alleviare
la crisi economica greca ma per salvare le banche europee che hanno acquistato
i titoli di stato greci.
Siamo a tutti gli
effetti in una situazione di emergenza democratica. La BCE, il cui statuto ne
garantisce l’indipendenza rispetto ai governi europei, è ormai diventata una
istituzione che difende solo gli interessi di una oligarchia finanziaria più
invasiva che mai. In effetti la stessa Banca Centrale Europea è sotto ricatto:
se le banche non vengono salvate la crisi si estenderà ad altri stati
decretando la fine dell’unione monetaria. I governi europei sono nella stessa
situazione e cercano di circoscrivere la crisi finanziaria alla Grecia per
evitare che il default di Atene coinvolga gli istituti finanziari europei, il
cui fallimento lascerebbe l’industria priva di finanziamenti e le economie di
tutto il continente a pezzi.
Non finisce qui: il
piano di “salvataggio” imposto alla Grecia prevede la privatizzazione di tutte
le fonti di reddito dello stato con l’esclusione del fisco (i cui proventi,
comunque, vengono utilizzati per pagare gli interessi sui titoli di stato). Si
tratta di un altro favore al capitale internazionale che potrà acquistare importanti
proprietà pubbliche a prezzo di saldo – la forzata liquidazione significa
semplicemente che il prezzo lo faranno i compratori e non i venditori in
difficoltà.
In tutto questo non
solo la democrazia si trasforma in plutocrazia, ma la stessa politica – l’arte
di governare la polis, lo stato – firma il suo
suicidio. I governanti di Atene, le cancellerie europee, i banchieri di
Francoforte non hanno la minima idea di quello che stanno facendo e si affidano
sostanzialmente al fato. Le cosiddette riforme votate dal Parlamento greco non
risolvono nessun problema strutturale ma servono solo a guadagnare tempo. L’economia
greca non si riprenderà ma sarà affossata dai tagli, lo stato greco non
diventerà solvente ma anzi si ritroverà in una situazione fiscale anche peggiore
dopo aver svenduto importanti fonti di entrata. Alla prossima scadenza di
titoli pubblici la situazione di crisi si ripresenterà tale ed uguale alla
presente, se non peggiore. Risposte di sistema non vengono date ed il rischio
di contagio rimane altissimo. Non si tratta più solo di fronteggiare la crisi
economica, ma siamo di fronte ad una crisi democratica che rischia di estendersi
assai velocemente al resto d’Europa. La battaglia di piazza Syntagma, ormai,
non è più solo per la difesa del lavoro, ma per il futuro della democrazia.
Nicola Melloni (Liberazione, 30 giugno 2011)
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