sabato 2 luglio 2011

L’ora di dire basta


Mercoledì si è brindato negli uffici delle grandi banche e dei palazzi del potere europei. Come ha scritto il Sole24ore, la decisione del Parlamento greco di approvare il pacchetto di tagli e privatizzazioni deciso a Bruxells ha fatto tirare un bel sospiro di sollievo ai mercati internazionali. Lo stesso non si può dire per quel che riguarda il popolo greco, che invece, contrario a larga maggioranza ai tagli, guarda con terrore ai prossimi mesi.
Questo ormai è diventata la democrazia occidentale, garante dei mercati, indifferente alle domande e alle necessità della società. La giustificazione, naturalmente, è che non ci fosse alternativa e che un voto contrario avrebbe scaraventato la Grecia in una situazione addirittura peggiore di quella attuale. E’ la solita litania della responsabilità che i governi devono dimostrare di fronte all’emergenza. Eppure c’erano altre vie.
Partiamo innanzittutto da questo sospiro di sollievo dei mercati. Il default greco era fortemente temuto dai mercati internazionali che avrebbero avuto fortissime perdite, questa volta senza il salvagente degli aiuti pubblic, come era invece stato nel 2007-08. Allo stesso tempo, i governi europei non potevano permettersi queste perdite ed un possibile fallimento generalizzato di diversi istituti finanziari, ed è per questo che tanto si sono spesi nel mettere pressioni al Parlamento greco. Questo però significa che, in realtà, il fallimento greco era temuto a Bruxells almeno tanto quanto ad Atene e questo lasciava assai più libertà di manovra al governo e al Parlamento ellenico. In poche parole, si poteva chiamare il bluff della UE e accordarsi su termini assai diversi, che non colpissero la popolazione e dessero speranza di crescita nel futuro. Soprattutto si poteva pretendere una diversa condivisione degli oneri del salvataggio greco che al momento sono a carico della popolazione greca perchè, si dice, negli anni passati ha troppo goduto e si è scavata la fossa con le proprie mani, troppe vacanze, troppo presto in pensione, troppa poca voglia di lavorare. Peccato che, come denunciato da Luciano Gallino su Repubblica, si tratti fondamentalmente di disiniformacja. Certo, una parte della  popolazione greca ha in questi anni molto preso e poco o nulla dato, soprattutto la borghesia medio-alta che evade le tasse ed il capitale sostenuto dagli aiuti di stato – prorio quegli strati sociali che vengono solo marginalmente colpiti dalla manovra economica del governo.  Mentre i lavoratori devono farsi carico di colpe altrui e difendere la solvibilità degli istituti di credito greci ed internazionali.
Proprio per questo anche l’extrema ratio – il default – sarebbe comunque stata una scelta migliore che sottostare ai diktat del mercato. Certo, l’abbiamo detto, il fallimento avrebbe delle gravi conseguenze sulla popolazione con lo scontato blocco del sistema finanziario e dell’accesso ai risparmi. Nel medio termine, però, ci sarebbe stata la possibilità di rilanciare l’economia, con interventi mirati per la crescita e non per il servizio del debito mentre i costi del fallimento sarebbero stati pagati dalle banche e dalla speculazione internazionale. Riversando tutto sulle spalle dei lavoratori greci, invece, si garantisce lo sprofondare dell’economia ellenica che, senza possibilità di rilanciarsi, ripresenterà gli stessi problemi alla prossima scadenza dei titoli pubblici. Quello che si sta facendo è cercare di prendere tempo e, possibilmente, sostituire l’esposizione delle banche con i prestiti europei. Poi la Grecia sarà lasciata probabilmente affondare in una situazione ancora peggiore di quella attuale, con lo stato a pezzi e l’economia distrutta.
Il default greco avrebbe certo avuto conseguenze gravissime sul resto dell’Europa, trascinandosi dietro probabilmente non solo Irlanda e Portogallo ma anche Spagna ed Italia. Da un punto di vista puramente egoistico potremmo dunque rallegrarci che si sia evitato un tale passaggio. Ma sarebbe una gioia miope. Ad Atene si è messa in scena la restaurazione capitalista che comanda i governi, ormai ridotto a comitati d’affari della grande borghesia, e bastona i lavoratori, che difende i mercati anche a costo di distruggere l’economia reale. Sono le prove generali del nuovo – ma così vecchio –  ordine capitalista che già sentiamo sulla nostra pelle ma che non potrà che peggiorare nei prossimi anni – basti pensare alla legge finanziaria che prevede interventi per oltre 40 miliardi nel biennio 2013-14. Per questo la lotta dei lavoratori greci è quella dei lavoratori di tutta Europa.

Nicola Melloni (Liberazione, 1 luglio 2011)

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