Prima, la campagna elettorale lunga quattro mesi, da quando, in luglio, Zapatero annunciò la data del voto.
La noia dei comizi elettorali: inutilmente appassionati quelli di Rubalcaba, in lotta per una sconfitta dignitosa non ottenuta, vuoti di contenuto quelli di Rajoy - l'eterno secondo finalmente premiato dai capricci dei mercati-; vuoti perché il futuro presidente della Spagna non sa davvero cosa si possa promettere agli elettori, ai cittadini, di questi tempi, senza dover giurare il falso.
Infine la piazza, gli indignati, qui liberi di manifestarsi ma incredibilmente silenziosi in questi giorni, a differenza di quanto sta accadendo nel resto del mondo.
Le loro, le nostre proteste, sono state senz'altro un mezzo importante di pressione ed espressione della società in questi ultimi mesi, ma alla fine il Paese si è dimostrato pienamente consapevole del fatto che solo nel voto risiede l'essenza della democrazia ed è da lí che bisogna partire ogni volta che si pretende di cambiare qualcosa. La rabbia della piazza dovrebbe far riflettere tutto l'arco politico, ma è un controllo parlamentario rigoroso quello che di fatto deve tener d'occhio l'agire di un governo. E ieri, in Spagna, fortunatamente è stato il voto ad esprimere la più vera e sentita protesta.
A Rajoy l'Europa non concederà quella “mezz'ora” che lui ha metaforicamente chiesto per farsi conoscere: tra domani e dicembre sono fissate cinque difficili aste del Tesoro pubblico ed il futuro presidente sarà già obbligato dai mercati a dare chiare indicazioni in materia, un mese prima della sua investitura. La crisi economica con cui si dovranno misurare i Popolari non è come quella del '96 e di cui, durante la campagna elettorale, si sono attribuiti continuamente il merito di esserne usciti. La Spagna di allora aveva sí livelli di disoccupazione uguali a quelli di oggi, ma anche un PIL che cresceva per la svalutazione della peseta, i tassi di interesse che scendevano, le entità di credito che non avevano grossi problemi, il settore privato che disponeva di finanziamenti...un contesto generale ben diverso da quello in cui è incastrato oggi il Paese.
Paradossalmente, mai come in questo momento storico, politico ed economico una maggioranza assoluta alle urne significa l'esatto contrario di avere carta bianca per governare in autonomia. Quello di ieri è senz'altro un voto contro: contro Zapatero, la sua erratica gestione economica e il tradimento lampante di tutto il suo programma di politiche sociali. Ma è anche un atto di fede: perché solo un miracolo potrebbe conciliare le urgentissime necessità di crescita del Paese e l'attuazione di un programma politico il cui unico punto chiaro è che, "a parte le pensioni, bisognerà tagliare in tutto". E la potatura di rami già pesantemente recisi può portare alla morte l'albero dello Stato sociale di cui la Spagna è stata a lungo un simbolo in Europa.
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Situazione non molto dissimile a quella italiana... Forse che anche noi vorremo lanciare un segnale forte al prossimo voto? Il problema resta naturalmente sempre chi lo ascolterà.
RispondiEliminaMarzio,
RispondiEliminal'Europa ci ascolta di sicuro...e poi interpreta (e "consiglia") come vuole, anzi, coem vuole l'euro ed il mercato.