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lunedì 2 gennaio 2012

Un inizio di assideramento
Di Monica Bedana


Il Governo spagnolo sta congelando tutto: il salario minimo professionale, quello di funzionari publici. Ciò che non congela, lo taglia direttamente, come si fa in inverno con i rami secchi: educazione, sanità, ricerca, sovvenzioni ai sindacati ed alle organizzazioni impresariali, alla tivù pubblica (condannandola a morte certa). Ma non disperiamo, che ci sono anche cose che aumentano: le pensioni , rivalorizzate di un generoso 1% (poco più di 8 euro di media) che verrà automaticamente fagocitato dall'aumento dell'IRPF e dell'IBI, l'imposta sugli immobili. Assurda gabella anche sui redditi da risparmio, che oscilla tra il 2% per i risparmi fino a 6000 euro e del 6% per quelli superiori a 24.000.

Il tutto avviene in un gelido silenzio, senza clamore, senza scalpore ed in perfetta e dichiarata sintonia con Berlino. La giustificazione è che è meglio fare da soli ciò che prima o poi ci esigerà l'Europa. E per quanto qualcuno, a forza di dài, mi abbia convinta dell'irrazionalità dei mercati, personalmente individuo delle caratteristiche, nella discrezione quasi massonica dello stile spagnolo di Rajoy, che da settimane piacciono al differenziale e proteggono il Paese dai temporali finanziari all'italiana.
La prima è senz'altro che un governo uscito dalle urne gode, implicitamente, del beneplacito dei cittadini per applicare qualsiasi riforma. La transizione tra governo del Psoe e governo del PP, poi, è avvenuta senza smagliature, in assoluta (e vergognosa) connivenza. Inoltre, anche la Spagna ricevette in agosto una lettera dalla BCE e dal Governatore del Banco de España che conteneva le stesse, secche ed inequivocabili direttive di quella ricevuta e subito resa pubblica in Italia. Zapatero decise di tenerla nascosta, Rajoy ne reclamó la pubblicazione solo per un breve momento; poi, consapevole che dalla pubblicazione di un documento che assoggetta la sovranità nazionale all'imposizione europea non avrebbe tratto beneficio elettorale, tacque. Ora siamo rimasti in pochi ad esigere che i cittadini finalmente siano informati. 
A questo si aggiunge che la Spagna inserí immediatamente in estate la "regola d'oro" sul debito pubblico nella Costituzione e quando fu il momento di andare a votare gli elettori se n'erano già dimenticati. 
Le riforme di questi giorni sono state annunciate con scarna sobrietà, senza lacrime di ministre che fanno il giro del mondo, senza che il presidente del Governo vada in televisione a giustificarsi nella trasmissione sbagliata. E il ministro dell'economia, anche qui col suo bel carico di conflitti d'interesse, non ha per ambasciatore pubblico un sottosegretario come Polillo, totalmente superficiale nella sua insultante impreparazione di tecnico. O di politico.
Il freddo siderale in sintonia con la stagione, la misura nel comportamento e nell'applicazione delle "misure" tengono momentaneamente al riparo la Spagna da sussulti finanziari.

La notte del 31 dicembre la Puerta del Sol era come sempre gremita di gente che aspettava i rintocchi di mezzanotte sotto il celebre orologio. Di allegria ce n'era poca. Quel che si attende con impazienza è che gli indignados tornino con forza ad occupare il loro posto. E a rompere finalmente il ghiaccio.

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lunedì 21 novembre 2011

La Spagna ha votato contro
Di Monica Bedana


Il risultato, scontato.
Prima, la campagna elettorale lunga quattro mesi, da quando, in luglio, Zapatero annunciò la data del voto.
La noia dei comizi elettorali: inutilmente appassionati quelli di Rubalcaba, in lotta per una sconfitta dignitosa non ottenuta, vuoti di contenuto quelli di Rajoy - l'eterno secondo finalmente premiato dai capricci dei mercati-; vuoti perché il futuro presidente della Spagna non sa davvero cosa si possa promettere agli elettori, ai cittadini, di questi tempi, senza dover giurare il falso.
Infine la piazza, gli indignati, qui liberi di manifestarsi ma incredibilmente silenziosi in questi giorni, a differenza di quanto sta accadendo nel resto del mondo.
Le loro, le nostre proteste, sono state senz'altro un mezzo importante di pressione ed espressione della società in questi ultimi mesi, ma alla fine il Paese si è dimostrato pienamente consapevole del fatto che solo nel voto risiede l'essenza della democrazia ed è da lí che bisogna partire ogni volta che si pretende di cambiare qualcosa. La rabbia della piazza dovrebbe far riflettere tutto l'arco politico, ma è un controllo parlamentario rigoroso quello che di fatto deve tener d'occhio l'agire di un governo. E ieri, in Spagna, fortunatamente è stato il voto ad esprimere la più vera e sentita protesta.

A Rajoy l'Europa non concederà quella “mezz'ora” che lui ha metaforicamente chiesto per farsi conoscere: tra domani e dicembre sono fissate cinque difficili aste del Tesoro pubblico ed il futuro presidente sarà già obbligato dai mercati a dare chiare indicazioni in materia, un mese prima della sua investitura. La crisi economica con cui si dovranno misurare i Popolari non è come quella del '96 e di cui, durante la campagna elettorale, si sono attribuiti continuamente il merito di esserne usciti. La Spagna di allora aveva sí livelli di disoccupazione uguali a quelli di oggi, ma anche un PIL che cresceva per la svalutazione della peseta, i tassi di interesse che scendevano, le entità di credito che non avevano grossi problemi, il settore privato che disponeva di finanziamenti...un contesto generale ben diverso da quello in cui è incastrato oggi il Paese.

Paradossalmente, mai come in questo momento storico, politico ed economico una maggioranza assoluta alle urne significa l'esatto contrario di avere carta bianca per governare in autonomia. Quello di ieri è senz'altro un voto contro: contro Zapatero, la sua erratica gestione economica e il tradimento lampante di tutto il suo programma di politiche sociali. Ma è anche un atto di fede: perché solo un miracolo potrebbe conciliare le urgentissime necessità di crescita del Paese e l'attuazione di un programma politico il cui unico punto chiaro è che, "a parte le pensioni, bisognerà tagliare in tutto". E la potatura di rami già pesantemente recisi può portare alla morte l'albero dello Stato sociale di cui la Spagna è stata a lungo un simbolo in Europa.


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