lunedì 26 dicembre 2011

Boxing-day, la festa del consumista
(o del "pollo" di batteria)
Di Simone Rossi

Come italiano cresciuto in Italia il 26 dicembre è sempre stata una festività religiosa, dedicata a Santo
Stefano e commemorata sul calendario come giorno festivo. Nonostante non abbia avuto un’educazione
cattolica, questa giornata ha sempre avuto una forte valenza, come la prosecuzione del Natale; un
momento in cui godermi i doni ricevuti, trascorrere un’altra giornata con i nonni e ricevere le visite di
parenti più o meno lontani. Anche crescendo, il 26 dicembre ha continuato ad essere un giorno speciale,
una parte di quel lungo periodo festivo compreso tra il Natale e l’Epifania.

Fino a che non sono giunto nel Regno Unito, paese di cultura anglosassone e storicamente a maggioranza
anglicana. Qui il 26 dicembre è ugualmente festivo, un bank holiday come comunemente sono chiamate
le festività, ma va sotto il nome di Boxing Day. Nome curioso, sulla cui etimologia non sono riuscito a far
chiarezza, sebbene la versione più accreditata sembra sia quella che rimanda alla tradizione di raccogliere
donazioni per i poveri nel giorno successivo al Natale. Oltre al nome cambia la modalità con cui si festeggia
questo giorno: se in Italia la maggior parte delle persone non lavora e trascorre il tempo con parenti o
amici, mangiando a volontà e conversando, nel Regno Unito cominciano i saldi della stagione invernale.
Ecco quindi che le strade delle città, le famose high street, si affollano di acquirenti o potenziali tali alla
ricerca dell’occasione, nella ripresa di quella corsa all’acquisto che solo il Natale ha interrotto. Per un
giorno.

Anche nelle festività e nel modo in cui si celebrano possiamo individuare i tratti di una cultura; a dispetto di
altri giorni festivi che non sono contraddistinti da alcuna denominazione (ad esempio Festa dei Lavoratori,
Festa del tal santo, Festa dell’Indipendenza…), dopo Natale viene Boxing Day ma della sua origine e della
tradizione ad esso collegato rimane poco o nulla. Per tutti e tutte, tolto chi si è impiegato nel commercio, è
semplicemente un giorno di riposo dal lavoro in cui lanciarsi all’acquisto, abbagliati dalle decine di cartelloni
che lanciano sconti a due cifre, al limite della donazione. Si tratta di un approccio alla vita in cui il tempo
libero trasforma il lavoratore in consumatore, le uniche due dimensioni accettabili per la società di inizio
secolo, che teme la libertà di pensiero e di associazione delle persone e tenta di sterilizzare ogni forma di
potenziale dissenso.

Un approccio simile mi è capitato di riscontrarlo anche nel Terzo Settore. Un paio di anni fa, ad esempio,
l’ente nazionale che promuove e coordina l’attività delle associazioni senza scopo di lucro lanciò una
campagna per invitare i giovani a dedicarsi al volontariato, sottolineando come esso fosse un possibile
metodo per acquisire esperienza e partire con una marcia in più nella ricerca di un primo impiego. In tempi
più recenti mi sono avvicinato al banchetto di un’organizzazione di quartiere che promuove iniziative
sociali e di riqualificazione urbana, sentendomi rispondere che al momento non avevano risorse per nuove
assunzioni; altre associazioni, invece, propongono di raccogliere fondi per strada o di servire nei loro negozi
di beni di seconda mano, diffusi capillarmente sul territorio. Il fatto che una persona possa avere delle
competenze da metter loro a disposizione non pare rientri nelle considerazioni di queste organizzazioni,
che basano le proprie attività prevalentemente sul personale salariato e sono alla perenne ricerca di fondi.

Questo modello economico e sociale è indicato come un modello da molti liberali e liberisti italiani,
specialmente quelli che a Sinistra sentono di dover espiare una qualche colpa ancestrale, che bollano i
fautori di modelli alternativi come anti-moderni, passatisti, retrò. Ebbene, lasciatemi esser retrò, a godermi
il mio tempo libero rafforzando i legami con il mio tessuto sociale, a staccare per ventiquattro ore da un
sistema che mi vorrebbe conforme ad una massa che è perché compra, a prescindere da quale contributo
dia al miglioramento della vita del prossimo.


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