Di Simone Rossi
L'esperienza di questo blog e del gruppo alle sue spalle ebbero inizio un anno e mezzo fa con un appello a sostegno degli operai di Mirafiori e del sindacato FIOM, unico a sostenerli nell'opposizione alle condizioni di lavoro imposte dalla dirigenza FIAT. All'epoca i partiti politici e le istituzioni risposero con indifferenza, o addirittura si schierarono a fianco dell'uomo in maglioncino, motivando la propria posizione con il fatto che avere lavoro è già qualcosa di cui esser grati in tempi di crisi ragion per cui era necessario accettare sacrifici e condizioni inumane pur di tenerlo. Un principio, quello dei sacrifici, che lorsignori non sanno applicare a sé stessi però.
A distanza di quasi diciotto mesi ecco nuovamente i novelli paladini del lavoro all'opera. A Taranto, la magistratura è intervenuta a tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini avviando delle indagini sulle attività dello stabilimento siderurgico ILVA, sulla base di dati e prive che mostrerebbero una palese violazione delle norme ambientali e di quelle a difesa della sicurezza sul lavoro. Con ricadute negative sulla salute pubblica dei tarantini e sull'ambiente circostante la città. Dopo aver inizialmente indagato la dirigenza aziendale, all'ILVA è stato imposto il sequestro della produzione, probabilmente interpretato come l'unico modo per bloccare l’attivitá inquinante fino all’avvenuta regolarizzazione degli impianti. In un mondo dove regnasse il buon senso sarebbe un atto dovuto da parte della magistratura a fronte della violazione di una o più leggi; non in Italia. Dopo le prime proteste dei lavoratori, in qualche modo comprensibili, abbiamo assistito ad un attacco contro l'operato della magistratura tarantina, con una veemenza che non vedevamo da tempo; segno che sono stati pestati piedi grossi. Dopo gli interventi di giornalisti sono intervenuti alcuni esponenti di PDL e PD, ormai due facce della medesima medaglia, ed il messianico presidente della Regione Puglia, Vendola. Tutti a difesa dei posti di lavoro, tema che hanno dimostrato di avere sinceramente a cuore sinora, ed a spergiurare che l’azienda inquina meno che in passato e che la proprietà dell’azienda ha piani di risanamento. Sono parole al vento di fronte alle perizie effettuate su richiesta della procura e le immagini registrate dai carabinieri al di fuori dagli stabilimenti, ma che rischiano di sovrastare i fatti nel baccano mediatico scatenato a favore della famiglia Riva, con la nobile scusa di preservare l’impiego di circa ottomila persone.
In questa vicenda i più scomposti sino ad ora si sono dimostrati i membri dell'Esecutivo, i cosiddetti tecnici, acclamati al governo come i salvatori della patria ma di fatto esecutori materiali di un progetto politico per conto terzi. Con buona pace per la separazione dei poteri il Ministro della Giustizia ha richiesto copia degli atti del procedimento; una decisione che rientra nelle prerogative del ministro suona come un monito, un avvertimento in stile mafioso non dissimile dalle ispezioni cui ci abituarono Castelli, Mastella ed Alfano. Del resto il buon esempio arriva dal capo che, mentre è in vacanza, invia due dei suoi picciotti, tali Clini e Passera, a conversare con il procuratore, verosimilmente a presentargli “una proposta che non può rifiutare” come nei film statunitensi su Cosa Nostra. Infine, compostezza e pacatezza si è distinto il sottosegretario Catricalá, quello divenuto a suo tempo famoso come tutore degli interessi (in conflitto) di Berlusconi, affermando, senza tema del ridicolo, che l’Esecutivo avrebbe sollevato un conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale perché l’intervento della magistratura interferirebbe con la politica industriale del Governo. Tralasciando che servirebbe un rabdomante per trovare uno scampolo di politica industriale tra gli atti dei “tecnici”, sarebbe interessante comprendere perché il Governo abbia messo in campo una strategia industriale che preveda il compimento di reati ambientali e contro la salute pubblica, non tenendo in conto le leggi dello stato.
Se le leggi ad personam di Berlusconi, le politiche dei presunti tecnici, le loro gaffe, le vicende oscure intorno alla presunta trattativa tra Stato e Mafia non sono state sufficienti, la questione dell’ILVA, giocata sul futuro degli operai e dei cittadini tarantini, conferma che quella che una volta era una repubblica democratica, oggi è “Cosa Loro”.Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete
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giovedì 16 agosto 2012
venerdì 20 luglio 2012
Un altro barattolo di marmellata
Di Simone Rossi
Non trascorre settimana in cui la cronaca non ci riporti di qualche comportamento immorale, quando non illegale, di un istituto bancario.
Nonostante tali comportamenti siano alla base della crisi scoppiata nel 2008 e del suo protrarsi, il dogma del libero mercato che si regolamenta e della finanza che crea ricchezza ha continuato a regnare nelle sale del potere politico ed ha impedito qualsiasi vera riforma del settore.
Dopo aver visto vari istituti di credito continuare ad elargire bonus milionari a prescindere dai risultati, dopo lo scandalo delle banche che hanno taroccato i tassi di interesse, l'istituto britannico HSBC è stato colto con le mani nel succoso giro del lavaggio di denaro sporco. Non che si tratti del primo caso, come la storia italiana del Dopoguerra ha mostrato e considerato che i miliardi di profitti delle mafie non possono volatilizzarsi.
Secondo quanto emerso da un'inchiesta del Senato statunitense, l'istituto britannico e le sue sussidiarie hanno contribuito al riciclaggio di denaro proveniente dai cartelli del narcotraffico messicano, hanno avuto rapporti con una banca saudita collegata ad Al Quaida e con paesi nella lista nera dei nemici del Occidente "democratico".
Che si tratti di falle nel sistema di controllo della banca o della applicazione della massima latina "pecunia non olet", ci troviamo nuovamente di fronte all'ennesimo indicatore a conferma del fatto che il settore finanziario vada posto sotto controllo e che i presupposti su cui dagli anni '80 esso è stato deregolamentato sono errati. Gli istituti di credito e finanziari non sono in grado di auto regolamentarsi né di contribuire al benessere della collettività. È tempo di mettere il bambino capriccioso in riga; di scuse e di promesse da marinaio non ce ne facciamo alcunché.
Qui sotto riporto il link all'articolo pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian sull'argomento.
http://www.guardian.co.uk/business/2012/jul/17/hsbc-executive-resigns-senate
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Non trascorre settimana in cui la cronaca non ci riporti di qualche comportamento immorale, quando non illegale, di un istituto bancario.
Nonostante tali comportamenti siano alla base della crisi scoppiata nel 2008 e del suo protrarsi, il dogma del libero mercato che si regolamenta e della finanza che crea ricchezza ha continuato a regnare nelle sale del potere politico ed ha impedito qualsiasi vera riforma del settore.
Dopo aver visto vari istituti di credito continuare ad elargire bonus milionari a prescindere dai risultati, dopo lo scandalo delle banche che hanno taroccato i tassi di interesse, l'istituto britannico HSBC è stato colto con le mani nel succoso giro del lavaggio di denaro sporco. Non che si tratti del primo caso, come la storia italiana del Dopoguerra ha mostrato e considerato che i miliardi di profitti delle mafie non possono volatilizzarsi.
Secondo quanto emerso da un'inchiesta del Senato statunitense, l'istituto britannico e le sue sussidiarie hanno contribuito al riciclaggio di denaro proveniente dai cartelli del narcotraffico messicano, hanno avuto rapporti con una banca saudita collegata ad Al Quaida e con paesi nella lista nera dei nemici del Occidente "democratico".
Che si tratti di falle nel sistema di controllo della banca o della applicazione della massima latina "pecunia non olet", ci troviamo nuovamente di fronte all'ennesimo indicatore a conferma del fatto che il settore finanziario vada posto sotto controllo e che i presupposti su cui dagli anni '80 esso è stato deregolamentato sono errati. Gli istituti di credito e finanziari non sono in grado di auto regolamentarsi né di contribuire al benessere della collettività. È tempo di mettere il bambino capriccioso in riga; di scuse e di promesse da marinaio non ce ne facciamo alcunché.
Qui sotto riporto il link all'articolo pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian sull'argomento.
http://www.guardian.co.uk/business/2012/jul/17/hsbc-executive-resigns-senate
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venerdì 29 giugno 2012
Responsabilità sociale e fette di salame
Di Simone Rossi
Lo scorso settembre demmo voce alla protesta messa in atto dai lavoratori delle pulizie presso il Guildhall, l'ente che amministra il municipio della City di Londra (http://resistenzainternazionale.blogspot.co.uk/2011/09/il-pane-e-le-rose-di-simone-rossi.html).
Allora i dipendenti chiedevano un adeguamento del proprio salario, al di sotto dei livelli di povertà fissati dalla GLA l'amministrazione metropolitana di Londra, al livello minimo indicato dalla GLA. Oltre alla fine degli atteggiamenti antisindacali e vessatori dei propri superiori.
Le proteste dei lavoratori di questo settore procedono da oltre due anni, per lo più coordinate dal sindacato autonomo IWW, visto il disinteresse mostrato dalle sigle che potremmo definire confederali verso la condizione di questi lavoratori per lo più immigrati. Sino a pochi mesi fa le rivendicazioni salariali hanno riguardato le imprese di pulizie che prestano servizio presso le banche e le aziende della City.
Da alcune settimane sono in agitazione i dipendenti dell'azienda ICM che subappalta per il punto vendita in Oxford Street di John Lewis, una storica catena di grandi magazzini la cui peculiarità è di esser controllata dai propri settantamila dipendenti, che possono fornire il proprio parere sulla gestione dell'azienda e godono di quote dei profitti. Oltre a ricevere meno del London Living Wage, pari al minimo necessario per sopravvivere nella città, i lavoratori della ICM hanno visto licenziamenti e la riduzione dell'orario di lavoro. Questo non perché il punto vendita sia stato ridimensionato o lo standard di pulizia ridotto. Semplicemente, con la scusa della crisi John Lewis ha spinto per una gara al ribasso tra subappaltanti, nonostante i profitti dichiarati lo scorso anno ed il gran numero di personale assunto.
Al pari di Ponzio Pilato, la catena di grandi magazzini ed i lavoratori che ne hanno le quote azionarie fa ricadere la responsabilità della situazione sulla azienda fornitrice del servizio di manutenzione che ha sua volta subappalta ad ICM.
Mentre prosegue la vertenza tra le parti, IWW ha programmato una serie di presidi all'esterno del punto vendita che si terranno il sabato nei prossimi fine settimana per sensibilizzare consumatori e dipendenti di John Lewis, nell'auspicio che si assuma la propria responsabilità.
Della vicenda ha trattato il quotidiano The Independent
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giovedì 28 giugno 2012
Virtuosi...una cippa!
A cura di Simone Rossi
Riporto un articolo sul debito pubblico nel Regno Unito apparso sull'edizione online di The Guardian il 26 giugno. Un articolo che risulta istruttivo di come "predicare bene e razzolare male" non sia un difetto solamente italiano.
Nel peloso linguaggio politico degli ultimi anni i Paesi i cui governi applicano politiche di riduzione indiscriminata della spesa pubblica e di controllo del deficit sono definiti virtuosi. In opposizione a quelle nazioni in cui il ruolo dello stato in economia e nella società è ancora consistente, che, sempre nella vulgata attuale, meritano lo stato di crisi in cui versano.
Il Regno Unito rientra a buon titolo tra i virtuosi, avendo ossequiosamente applicato le venefiche ricette neoliberista dai primi anni dei governi Thatcher ad oggi. Dal 2010, inoltre, sono al governo i primi della classe, giovani politici conservatori e liberal democratici che diligentemente si impegnano a distruggere ciò che rimane dello stato sociale: previdenza, sanità, istruzione, università ed assistenza sociale. Tutto rigorosamente nel nome del rigore nei bilanci e della crescita che quando arriverà porterà nettare ed ambrosia per tutti.
Intanto questi campioni hanno abbattuto quel poco di crescita del prodotto interno lordo che si era visto in seguito ai timidi investimenti effettuati dal loro predecessore, il laburista Brown, e, udite udite, hanno incrementato l'indebitamento dello Stato. Come prevedibile ed effettivamente previsto da molti economisti rimasti inascoltati, le politiche basate semplicemente sul taglio della spesa pubblica senza investimenti per incentivare la ripresa hanno impoverito la cittadinanza e conseguentemente l'ammontare delle imposte sul reddito riscosse dallo Stato, calate del 7.3% secondo l'economista James Knightley della banca ING . Secondo quanto affermato dall'istituto nazionale di statistica ONS il governo ha presi in prestito quantitativi sempre maggiori di denaro dalle banche (+£15 miliardi nel maggio 2012 rispetto ad un anno prima) e che il debito pubblico è cresciuto. Questi dati sono stati confermati da analisti finanziari e smentiscono i dati forniti dal Ministero del Tesoro, che indicavano una consistente riduzione del debito.
Una tendenza, quella di fare il trucco ai bilanci dello stato, di cui Tremonti fu maestro e che ha spinto la Grecia sull'orlo del baratro. Ma quelli di sa, sono cicale del sud, non virtuosi nordici.
http://www.guardian.co.uk/business/2012/jun/26/uk-government-borrowing-higher-expected
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mercoledì 27 giugno 2012
Una china pericolosa
Di Simone Rossi
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Quando un paio di anni fa Ed Miliband fu eletto segretario del Labour Party fummo in molti a sperare in una svolta nel partito dopo tre lustri di sbornia liberista. Le sue credenziali rosa, quasi socialdemocratiche perfino, fecero sperare in un cambio nel linguaggio e nella proposta; un cambio che sinora non è avvenuto, limitando la critica alle politiche anti-popolari del governo in carica al semplice fatto che i laburisti taglierebbero la spesa pubblica con più compassione, più umanamente.
In questo vuoto di ideali e di idee, la ricerca perenne del consenso elettorale può esser di cattivo consiglio. Ed ecco che Miliband pochi giorni fa si è avventurato nel terreno minato dell'immigrazione, probabilmente cercando di sedurre gli strati più disagiati sul campo della guerra tra poveri, non avendo alcunché da offrire loro in termini di politiche sociali e di emancipazione. Egli ha asserito di voler porre un freno al ricorso alla manodopera straniera, a basso costo, introducendo politiche che disincentivino l'assunzione di dipendenti non britannici. A suo dire questo porrebbe un termine al dumping sociale, cioè la corsa al ribasso dei salari, e aprirebbe nuove possibilità di impiego per i sudditi britannici.
Prendendo la scorciatoia delle risposte semplicistiche a problemi banalizzati, il segretario laburista non si assume la responsabilità di una franca autocritica all'interno del partito. La nascita del New Labour successiva alla sconfitta elettorale del 1992 ha comportato un'adesione alle politiche ed all'immaginario conservatore, improntato sull'idolatria della finanza e dell'imprenditoria. Il partito ha preso per buono l'assunto per cui l'arricchimento dei più ricchi avrebbe avuto ricadute sul resto della società, spostando l'attenzione della propria azione politica dal lavoro al capitale. Ne consegue che il problema del dumping sociale è ridotto ad una questione di immigrazione e non di rapporti di forza nel mondo del lavoro e che la dirigenza laburista fatichi a riconoscere che in assenza di una rappresentanza sindacale ampia il potere contrattuale dei lavoratori è ridotto. E con esso il potere d'acquisto.
Al netto delle successive ritrattazioni e puntualizzazioni, la dichiarazione di Miliband ha riaffermato la chiacchiera che mira a stigmatizzare l'immigrato, già ampiamente diffusa dai media popolari, orientati prevalentemente a destra, ed ha gettato un seme che in un contesto di prolungata crisi economica potrebbe facilmente germogliare nel giardino dell'estrema destra e del populismo conservatore.
sabato 11 febbraio 2012
NEL PAESE DI TAMAGOTCHI
Di Simone Rossi
Una decina di anni fa spopolava in Italia il Tamagotchi, un giochino elettronico che consisteva nel prendersi cura di un pulcino virtuale come se fosse vero, pena la morte dello stesso e la fine del gioco.
L'Italia contemporanea, almeno nella versione fornita dalla sua classe dirigente, sembra un enorme Tamagotchi. I fenomeni meteorologici degli scorsi giorni ci forniscono una chiara conferma di ciò.
Mentre sul paese si abbatteva una perturbazione fredda con gelo e neve, che causava l'isolamento di decine di comuni e frazioni e la paralisi del traffico, il Presidente del Consiglio Monti ed alcuni illuminati, nonché sobri, ministri del suo Gabinetto esternavano sui giovani mammoni e passatisti, con la loro pretesa di un impiego tutelato magari vicino a casa. Una vera priorità in un momento in cui una città come Urbino doveva esser rifornita dalla Protezione Civile e molte località dell'Appennino erano isolate, prive delle utenze, con i cittadini ridotti a sciogliere la neve sul camino per avere acqua potabile.
Nel frattempo il sindaco di Roma, pomposamente Roma Capitale, mostrava di esser all'altezza del Presidente del Consiglio, rinchiudendosi nel mondo virtuale delle interviste a reti unificate e delle sceneggiate ad uso mediatico con pala e sale da cucina, mentre intorno a lui la città era nel caos.
Ciliegina sulla torta, l'imbonitore Bruno Vespa, apparentemente giornalista di professione, che in quel di Chieti metteva in scena la pantomima dei soldati che spalavano la neve, giusto nello spazio raggiunto dai riflettori, mente il resto della città rimaneva coperto di neve.
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giovedì 5 gennaio 2012
Can che abbaia, leghista
Di Simone Rossi
Lo scorso ottobre il Ministro dell'Interno Maroni, in uno dei suoi innumerevoli atti di “cattivismo”, emanò un decreto che prevede l'incremento da €80 a €200 della tassa richiesta per l'emissione, a decorrere dalla fine di gennaio 2012. Un incremento mirato a far cassa sulla pelle dei più deboli, senza peraltro offrire in controparte un miglioramento dei servizi amministrativi rivolti agli immigrati stessi, costretti a lunghe attese prima di vedersi emesso o rinnovato il permesso di soggiorno, talvolta a ridosso della sua scadenza. Si tratta dell'ennesima manifestazione di un atteggiamento vessatorio nei confronti dei cittadini extra-comunitari, a tutto vantaggio della Lega Nord, in grado di soddisfare gli appetiti razzisti del suo elettorato, e di quel blocco sociale che basa la propria fortuna sullo sfruttamento della manodopera immigrata, con lavoro non regolare o con forme di ricatto per giocare al ribasso; blocco che costituisce uno dei riferimenti di Lega Nord e PdL.
È di pochi giorni fa la notizia secondo cui i ministri Cancellieri e Riccardi, rispettivamente a capo dei dicasteri dell'Interno e della Cooperazione Internazionale, intendono rivedere il decreto del predecessore Maroni, mantenendo la tassa ai valori attuali e possibilmente introducendo una forma di progressività legata al reddito ed alla composizione del nucleo familiare. Dopo le riforme e le manovre lacrime e sangue, di cui il ministro Fornero ci ha fornito una dimostrazione in diretta TV (senza sangue, però, perché trasmessa in fascia protetta per i minori), che intaccheranno il tenore di vita di milioni di lavoratori dipendenti e di pensionati, l'Esecutivo guidato da Mario Monti mostra un lato umano, o semplicemente un barlume di buon senso, seppure al momento i due ministri di cui sopra si sono limitati ad un comunicato congiunto.
Ai plausi dei partiti di Centro-sinistra, del PD e del Terzo Polo hanno fatto da contraltare le levate di scudi, forse in taluni casi di circostanza, di PdL e Lega, cui si deve il decreto Maroni. Ad abbaiare più forte sono i parlamentari del Carroccio, in particolare gli ex ministri Marconi e Calderoli, che gridano allo scandalo, con argomentazioni talvolta risibili. Tra queste il fatto che l'importo della tassa sarebbe giustificato dalla complessità amministrativa connessa alle operazioni di rilascio del permesso di soggiorno, scordandosi che essa non è certo dovuta agli immigrati ma alla burocrazia borbonica prevista dalle norme a firma leghista. Per non esser da meno nella gara alla sparata più grossa della settimana, la deputata azzurra Bertolini ha rispolverato quel non-senso che passa sotto il termine di razzismo all'incontrario, secondo cui mantenere la tassa €80 rappresenterebbe una sorta di privilegio garantito agli immigrati a scapito degli italiani che, per contro, non godranno di sconti nel pagamento di bolli e tasse per pratiche amministrative. Come si suol dire: quando la lingua è più rapida del cervello; dal momento che per le medesime pratiche ciascun richiedente, cittadino italiano o straniero residente, paga il medesimo valore.
Se e quando in Italia esisteranno giornalisti al posto degli zerbini del potere, qualcuno chiederà agli “indignati” di Destra dove fossero quando con lo scudo fiscale si consentì ad evasori e delinquenti di pagare un misero 5% sui propri capitali mentre il cittadino onesto paga molto di più in imposte dirette o quando si fecero condoni, fiscali ed immobiliari, strizzando tutti gli occhi possibili ai “furbetti” che fanno dell'Italia quel Paese misero ed immiserito che è sotto gli occhi di tutti.
La notizia è stata riportata dai quotidiani, noi segnaliamo l'articolo apparso sul sito Stranieri in Italia:
http://www.stranieriinitalia.it/attualita-tassa_sui_permessi._il_governo_da_rivedere_14364.html
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lunedì 26 dicembre 2011
Boxing-day, la festa del consumista
(o del "pollo" di batteria)
Di Simone Rossi
Come italiano cresciuto in Italia il 26 dicembre è sempre stata una festività religiosa, dedicata a Santo
Stefano e commemorata sul calendario come giorno festivo. Nonostante non abbia avuto un’educazionecattolica, questa giornata ha sempre avuto una forte valenza, come la prosecuzione del Natale; un
momento in cui godermi i doni ricevuti, trascorrere un’altra giornata con i nonni e ricevere le visite di
parenti più o meno lontani. Anche crescendo, il 26 dicembre ha continuato ad essere un giorno speciale,
una parte di quel lungo periodo festivo compreso tra il Natale e l’Epifania.
Fino a che non sono giunto nel Regno Unito, paese di cultura anglosassone e storicamente a maggioranza
anglicana. Qui il 26 dicembre è ugualmente festivo, un bank holiday come comunemente sono chiamate
le festività, ma va sotto il nome di Boxing Day. Nome curioso, sulla cui etimologia non sono riuscito a far
chiarezza, sebbene la versione più accreditata sembra sia quella che rimanda alla tradizione di raccogliere
donazioni per i poveri nel giorno successivo al Natale. Oltre al nome cambia la modalità con cui si festeggia
questo giorno: se in Italia la maggior parte delle persone non lavora e trascorre il tempo con parenti o
amici, mangiando a volontà e conversando, nel Regno Unito cominciano i saldi della stagione invernale.
Ecco quindi che le strade delle città, le famose high street, si affollano di acquirenti o potenziali tali alla
ricerca dell’occasione, nella ripresa di quella corsa all’acquisto che solo il Natale ha interrotto. Per un
giorno.
Anche nelle festività e nel modo in cui si celebrano possiamo individuare i tratti di una cultura; a dispetto di
altri giorni festivi che non sono contraddistinti da alcuna denominazione (ad esempio Festa dei Lavoratori,
Festa del tal santo, Festa dell’Indipendenza…), dopo Natale viene Boxing Day ma della sua origine e della
tradizione ad esso collegato rimane poco o nulla. Per tutti e tutte, tolto chi si è impiegato nel commercio, è
semplicemente un giorno di riposo dal lavoro in cui lanciarsi all’acquisto, abbagliati dalle decine di cartelloni
che lanciano sconti a due cifre, al limite della donazione. Si tratta di un approccio alla vita in cui il tempo
libero trasforma il lavoratore in consumatore, le uniche due dimensioni accettabili per la società di inizio
secolo, che teme la libertà di pensiero e di associazione delle persone e tenta di sterilizzare ogni forma di
potenziale dissenso.
Un approccio simile mi è capitato di riscontrarlo anche nel Terzo Settore. Un paio di anni fa, ad esempio,
l’ente nazionale che promuove e coordina l’attività delle associazioni senza scopo di lucro lanciò una
campagna per invitare i giovani a dedicarsi al volontariato, sottolineando come esso fosse un possibile
metodo per acquisire esperienza e partire con una marcia in più nella ricerca di un primo impiego. In tempi
più recenti mi sono avvicinato al banchetto di un’organizzazione di quartiere che promuove iniziative
sociali e di riqualificazione urbana, sentendomi rispondere che al momento non avevano risorse per nuove
assunzioni; altre associazioni, invece, propongono di raccogliere fondi per strada o di servire nei loro negozi
di beni di seconda mano, diffusi capillarmente sul territorio. Il fatto che una persona possa avere delle
competenze da metter loro a disposizione non pare rientri nelle considerazioni di queste organizzazioni,
che basano le proprie attività prevalentemente sul personale salariato e sono alla perenne ricerca di fondi.
Questo modello economico e sociale è indicato come un modello da molti liberali e liberisti italiani,
specialmente quelli che a Sinistra sentono di dover espiare una qualche colpa ancestrale, che bollano i
fautori di modelli alternativi come anti-moderni, passatisti, retrò. Ebbene, lasciatemi esser retrò, a godermi
il mio tempo libero rafforzando i legami con il mio tessuto sociale, a staccare per ventiquattro ore da un
sistema che mi vorrebbe conforme ad una massa che è perché compra, a prescindere da quale contributo
dia al miglioramento della vita del prossimo.
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mercoledì 12 ottobre 2011
Sanatoria truffa
Di Simone Rossi
Circa due settimane fa abbiamo riportato la notizia di due lavoratori di origine straniera arrampicatisi su una ciminiera in zona San Siro, Milano, dove sono rimasti sino al 2 ottobre. Come molti altri nella loro situazione, i due uomini protestavano per la mancata concessione del permesso di soggiorno a coloro che avevano aderito alla sanatoria per colf e badanti del 2009. Come dichiarato dal sindacato CUB di Milano all'inizio di questa forma di presidio, la sanatoria ha rappresentato una truffa, che ha giocato sulla disperazione di chi é disposto a tutto per ottenere la regolarizzazione della propria presenza in Italia, a tutto vantaggio dello Stato, che ha riscosso i contributi previdenziali per l'emersione dal "nero", e delle organizzazioni che hanno funto da intermediarie nella presentazione delle domande di sanatoria.
A seguito della richiesta di alcuni lettori che hanno voluto chiarimenti sulle modalità con cui si e configurata la truffa, segnaliamo il rapporto pubblicato dall'associazione Naga, che promuove e tutela i diritti di tutti i cittadini stranieri, rom e sinti, in collaborazione con ARCI, Comitato Inquilini Molise Calvairate Ponti e Immigrati Autorganizzati. Il rapporto é il risultato di un'indagine su un campione di 438 cittadini stranieri che inoltrarono richiesta di sanatoria nel 2009 e che ancora oggi, dopo aver speso mediamente €3000 per la richiesta di regolarizzazione, a distanza di due anni attendono ancora una risposta.
Il rapporto, o un riassunto, può esser reperito all'indirizzo: http://www.naga.it/index.php/notizie-naga/items/truffasi.1304.htmlCome spiega Pietro Massarotto, presidente del Naga, nella sua introduzione, la questione della sanatoria-truffa é rivelatrice di un'impostazione errata del sistema di regolazione dei flussi migratori, che non prevede forme strutturate e chiare di regolarizzazione di chi già risiede nel Paese. Un'impostazione che ad oggi nessuno dei partiti con rappresentanti nel Parlamento ha dichiarato di voler modificare, per renderla più coerente alla realtà dell'immigrazione e dei processi che sottendono ad essa.
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venerdì 7 ottobre 2011
Colpo di Stato
Di Simone Rossi
Nell'orizzonte politico italiano il colpo di Stato è sempre rientrato nella rosa delle possibilità. Nella nostra storia repubblicana ci furono tre casi di tentato sovvertimento dell'ordine costituzionale; non giunsero ad esecuzione, ma per parecchio tempo l'aria di golpe si respirò nel Paese. Secondo la generazione dei miei genitori, esso avrebbe preso forma con l'occupazione delle strade e l'assedio ai palazzi delle istituzioni democratiche da parte delle forze armate; per la mia avrebbe assunto verosimilmente le forme di uno stato di polizia, con incarcerazione e tortura degli oppositori politici sul modello di quanto visto alle scuole Diaz e Pertini o alla caserma di Bolzaneto.
Ci sbagliavamo. I golpisti sono giunti in giacca e cravatta, con l'aspetto elegante e sobrio dei banchieri e le loro ricette economiche ammantate dell'aura del dogma. Questo possiamo desumere dalla lettera inviata all'Esecutivo italiano da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, presidenti rispettivamente uscente ed entrante della Banca Centrale Europea (BCE). Con questa missiva, inviata il 5 agosto ma il cui contenuto é stato svelato solo la scorsa settimana, la sovranitá nazionale è stata scippata al popolo italiano ed al suo massimo organo di rappresentanza istituzionale, il Parlamento. Siamo tutti ben consci che nel corso degli ultimi tre decenni il ruolo dei rappresentanti dei cittadini sia andato via via riducendosi a quelli di esecutori di decisioni prese altrove, tuttavia un qualche margine di manovra all'interno dei dogmi della idelogia, o religione, neoliberista era ancora garantito, seppur ogni anno piú ridotto. Come accaduto precedentemente in Grecia, dal 5 agosto il giá malconcio Esecutivo ed il Parlamento italiano sono definitivamente commissariati, trasformati in burattini, in una facciata che fornisce una parvenza di democrazia ad un sistema che nei fatti è un'Oligarchia.
L'aspetto peggiore e ben più grave di tutta questa vicenda, però, è il grado di passività con cui i cittadini e le organizzazioni della cosiddetta società civile accolgono questo ulteriore passo verso qualcosa che non è più la democrazia in cui abbiamo vissuto per oltre sessant'anni. Non ci sono state reazioni popolari, di massa, per reclamare la difesa della democrazia, né abbiamo assistito a reazioni anche spontanee di cittadini indignati, come talvolta in passato. Sembrerebbe che la distanza fisica e psicologica della BCE e l'indiscussa e religiosa autorevolezza di cui gli economisti godono nell'immaginario collettivo inducano arrendevolezza anche nei cittadini piu attivi e coscienti. Ma non a ragione. Quella imposta dalla Banca Centrale è un'agenda neoliberista, della stessa qualità di quelle perseguite negli ultimi trenta anni e che hanno portato allo scoppio della crisi nel 2008, non un verbo divino. Esiste un'alternativa a questo modello economico e di sviluppo, ne abbiamo esempi in altri continenti e nella storia europea; lo hanno affermato 26 milioni di elettori lo scorso giugno, nella consultazione referendaria che ha messo nero su bianco che i cittadini non sono disponibili a vedere i beni comuni trasformati in merce.
Si superino gli indugi e le divisioni di bottega e si prenda un'iniziativa collettiva nell'interesse generale e nel nome della democrazia popolare. Diamo una scossa a questa società in narcosi, per il lfuturo nostro e delle generazioni a venire.
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lunedì 5 settembre 2011
Quando eravamo migranti
A cura di Simone Rossi
Ieri, sabato 3 settembre, ho partecipato ad una manifestazione tenutasi a Londra, nel quartiere Whitechapel, per impedire ad alla English Defense League (EDL) di tenere un presidio contro l’islamizzazione dell’Inghilterra. La EDL è un’organizzazione di estrema destra, che si richiama al nazismo ed è nel solco del fascismo inglese. Creata all’inizio del 2009, focalizza la propria attenzione sugli immigrati, prevalentemente di fede islamica, visti come una minaccia alla cultura ed alla società inglese. Gli slogan e le parole d’ordine ricordano molto quelle della nostrana Lega Nord e di Forza Nuova, conditi di luoghi comuni su presunti privilegi che alcuni immigrati otterrebbero in termini di sussidi e case popolari, senza peraltro integrarsi nella società che li accoglie, anzi, minandone le basi culturali. In Inghilterra come in Italia, i liberali e le sinistre sono comunemente criticati per il relativismo ed al lassismo che permetterebbe all’estremismo islamico di metter radici nel continente europeo.
Un parte del successo delle organizzazioni di estrema destra è dovuto ai cambiamenti sociali e culturali degli ultimi decenni, la cosiddetta globalizzazione, che ha provocato la de-industrializzazione delle nostre economie, accompagnata dal precariato e da una disoccupazione endemica. Anche una qual certa ignoranza della storia patria contribuisce a consolidare nelle fasce più povere della popolazione l’idea che l’immigrazione sia un fenomeno massiccio che destabilizza le nostre società. Ne sono complici il sistema scolastico e i mass-media, che hanno abdicato (se mai l’hanno avuta) alla propria missione di informare e di educare i cittadini; inoltre le migrazioni degli ultimi decenni non sono contestualizzate e le problematiche che gli immigrati affrontano nel nuovo contesto di vita sono negate. In particolare questa mancanza di empatia è lampante in Italia, terra di massicce migrazioni interne e verso l’estero, dove la popolazione locale riversa sui nuovi arrivati i medesimi stereotipi affibbiati ai nostri connazionali nei tempi passati, creando il terreno fertile per il razzismo. Non è infrequente discutere con qualcuno che, originario del sud-Italia, nega le discriminazioni subite dagli immigrati nelle città del nord, ben sintetizzate dai cartelli “non si affitta ai meridionali” affissi negli anni ’50 e ’60. Anche fenomeni come i pogrom contro gli italiani nella zona della Camargue, a inizio ‘900, l'emarginazione dei nostri connazionali in Belgio e le difficoltà linguistiche riscontrate in Germania, da cui è discesa per molti l'impossibilità di emancipazione sociale.
Per esercitare un po’ la nostra memoria collettiva desidero segnalare un articolo di Delfina Licata, della redazione del Rapporto Migrantes sugli Italiani nel Mondo, pubblicato sul numero 129 (luglio-agosto 2011) della rivista Nigrizia, “il mensile dell’Africa e del mondo nero” come recita la copertina.
Buona lettura.
venerdì 26 agosto 2011
Pensiero del giorno
(sul Cile, 38 anni dopo)
Di SimoneRossi
Mentre in Europa e negli USA la mannaia delle politiche neoliberali, camuffate da necessarie misure di austerità, si appresta a cadere sui lavoratori e sui cittadini, il Cile vede una serie di proteste e di scioperi per una società più equa, che significa innanzitutto educazione universale pubblica (di qualità) ma anche diritti sindacali e partecipazione popolare alla gestione della Cosa Pubblica.
A 38 anni dal golpe sostenuto dagli USA che portò al potere Pinochet, che tanto piaceva a "statisti" come R Reagan e M Thatcher (non scordiamo l'ecaurestia ricevuta da Giovanni Paolo II in persona), il Paese che fu la prima cavia delle politiche neoliberiste (privatizzazioni di beni e servizi comuni, riduzione dei diritti dei lavoratori, finanziarizzazione) dice basta.
Occorreranno a noi 38 anni prima di mostrare il dito medio a chi ci governa e di chiedere giustizia sociale, equità, diritti universali?Qualcuno di voi ritiene queste cose non sufficientemente moderne; forse bisognerebbe chiedere ai nostri bisnonni, se sono ancora vivi, o ai sud-americani come si viveva o si vive prima che il welfare state fosse messo in piedi. O leggersi Dickens che descrisse bene la società europea a venire.
A 38 anni dal golpe sostenuto dagli USA che portò al potere Pinochet, che tanto piaceva a "statisti" come R Reagan e M Thatcher (non scordiamo l'ecaurestia ricevuta da Giovanni Paolo II in persona), il Paese che fu la prima cavia delle politiche neoliberiste (privatizzazioni di beni e servizi comuni, riduzione dei diritti dei lavoratori, finanziarizzazione) dice basta.
Occorreranno a noi 38 anni prima di mostrare il dito medio a chi ci governa e di chiedere giustizia sociale, equità, diritti universali?Qualcuno di voi ritiene queste cose non sufficientemente moderne; forse bisognerebbe chiedere ai nostri bisnonni, se sono ancora vivi, o ai sud-americani come si viveva o si vive prima che il welfare state fosse messo in piedi. O leggersi Dickens che descrisse bene la società europea a venire.

giovedì 25 agosto 2011
Ogni scusa è buona. La crisi come pretesto per il colpo di grazia ai diritti sociali
A cura di Simone Rossi per la rivista "Aurora"
A quasi tre anni dallo scoppio della crisi finanziaria che portò al fallimento di alcuni istituti finanziari ed all’introduzione dei pacchetti di salvataggio delle banche, a due anni dall’annuncio del debito greco, i governanti dell’Europa si accorgono dell’esistenza di una crisi, a lungo negata, come nel caso di Berlusconi, o minimizzata per non dover assumere l’onere di riformare il settore finanziario e di rinnegare le politiche neoliberiste degli ultimi trent’anni. Come nel recente passato, però, le politiche economiche dei governi occidentali mirano a gettare il peso della crisi sul lavoro dipendente e sulla piccola-media impresa, con tagli indiscriminati alla spesa pubblica e incremento della tassazione sulla classe media e sul proletariato. Ancora una volta, anziché porre un freno al casinò della Finanza, regolamentandolo e ponendolo sotto il controllo della collettività, e tassare le rendite lo spauracchio del default e della “reazione dei mercati” è utilizzato per imporre alla gran parte della cittadinanza un ulteriore giro di vite sui diritti e sullo Stato Sociale, ammutolendo una Sinistra già di suo balbuziente.
Questi sembrerebbero tempi buoni per rispolverare un saggio pubblicato tre anni fa cui i mezzi di informazione a grande diffusione hanno fornito poco spazio a suo tempo. Una lettura forse poco idonea al dolce far niente sotto l'ombrellone, ma sicuramente istruttiva per chi vuol comprendere il nesso tra la crisi del debito e il “sacco” di classe che sta scoppiando in queste settimane.
Ripropongo qui un estratto della recensione del saggio della giornalista canadese Naomi Klein ”The Shock Doctrine “, pubblicata sul periodico Aurora lo scorso anno.
La narrazione della Klein illustra come nel corso degli ultimi cinquanta anni si sia assistito a numerosi tentativi, quasi sempre riusciti, di imporre i dogmi dell'economia neoclassica, o neoliberista come è frequentemente denominata, in larga parte del mondo, facendo ricorso a tecniche di manipolazione delle coscienze sviluppate nell'ambito militare, durante la Guerra Fredda. Secondo la ricostruzione presentata nel saggio, la cosiddetta Dottrina dello Shock annovera tra i propri “padri” lo psichiatra canadese Ewen Cameron e l'economista dell'Università di Chicago Milton Friedman. Il primo effettuò a partire dagli anni '50 una serie di esperimenti volti ad individuare tecniche per annichilire la volontà e la personalità delle persone, come possibile strumento di cura di alcune patologie psichiche; presto i suoi studi suscitarono l'interesse della CIA, che vedeva in queste tecniche uno strumento da utilizzare nella lotta al Comunismo. Le tecniche sperimentate da Cameron si basavano sull'utilizzo dell'elettroshock e di sostanze allucinogene, sull'isolamento dei “pazienti”, sull'alterazione del loro ciclo biologico e su altre tecniche di annullamento della persona; tecniche che avremmo poi visto utilizzate nella “guerra al terrorismo”. Nel medesimo decennio Friedman costruiva intorno a sé quella che sarebbe divenuta famosa come Scuola di Chicago, centro di elaborazione di teorie e strategie economiche neoclassiche, fondate sul dogma del libero mercato e della sua capacità di autoregolamentazione.
In base a quanto riportato da N. Klein, gli studi e le teorie di questi due uomini divennero le colonne portanti di quel processo di involuzione reazionaria che avrebbe poi preso l'avvio all'inizio degli anni '70, con cui una parte dell'élite politica ed economica statunitense e mondiale avrebbe “messo ordine” in casa e nel mondo, ponendo fine alle esperienze di governi progressisti nel Terzo Mondo, in particolare in quello che Monroe 150 anni prima aveva definito il cortile degli USA ('l'America Latina), ed erodendo poco a poco le conquiste sociali ottenute dai lavoratori nei Paesi Occidentali e nel Blocco Sovietico. È così che negli ultimi quarant'anni i fautori del sistema socio-economico liberista hanno imposto, con strappi successivi, le proprie politiche di riduzione della partecipazione democratica, di privatizzazione dei servizi e di compressione dei salari, sfruttando cinicamente e scientificamente i momenti di “shock” collettivo causato da catastrofi naturali o da eventi violenti di natura umana (guerre, colpi di stato, crisi economica).
A supporto della propria tesi la Klein offre un excursus di eventi che hanno caratterizzato la storia contemporanea del pianeta. Un primo esempio proviene dall'America Latina, continente segnato dall'avvento dittature fasciste nel corso degli anni '70, da crisi seguite alle politiche economiche dei governi militari, crisi gettate come un fardello sui governi di transizione democratica che hanno optato per l'opzione dell'indebitamento con organismi come la Banca Mondiale (BM) ed il Fondo Monetario Internazionale (FMI). La repressione violenta dell'opposizione da parte delle giunte militari, con metodi analoghi a quelli sperimentati da Cameron, la confusione causata dal dissesto finanziario, con fenomeni di iper-inflazione, ed il rischio, ventilato o reale, di default delle economie costituirono fattori di veri e propri shock collettivi che ammansirono ogni forma di dissenso all'implementazione di politiche neoliberiste. Secondo quanto descritto da N. Klein, situazioni analoghe si ripeterono alla caduta del sistema socialista in Europa Orientale, alla fine del regime di apartheid in Sud Africa, allo scoppio delle crisi economiche e finanziarie nel Sud-Est Asiatico ed in Estremo Oriente o, con non meno cinismo, a seguito di disastri naturali come l'uragano Katrina o lo tsunami nell'Oceano Indiano. L'instabilità politica ed economica, il rischio di una crisi dell'economia sono state utilizzate per indurre un senso di smarrimento, di disorientamento e di rassegnazione tra la popolazione, in modo da indurla ad accettare una trasformazione in senso liberista dell'economia e della società. Qualcosa cui noi Europei stiamo assistendo in questi mesi, con i governi che utilizzano il deficit di bilancio come clava con cui colpite i lavoratori dipendenti, i pensionati e le classi deboli, senza che esse reagiscano all'evidente ingiustizia.
Questi sembrerebbero tempi buoni per rispolverare un saggio pubblicato tre anni fa cui i mezzi di informazione a grande diffusione hanno fornito poco spazio a suo tempo. Una lettura forse poco idonea al dolce far niente sotto l'ombrellone, ma sicuramente istruttiva per chi vuol comprendere il nesso tra la crisi del debito e il “sacco” di classe che sta scoppiando in queste settimane.
Ripropongo qui un estratto della recensione del saggio della giornalista canadese Naomi Klein ”The Shock Doctrine “, pubblicata sul periodico Aurora lo scorso anno.
La narrazione della Klein illustra come nel corso degli ultimi cinquanta anni si sia assistito a numerosi tentativi, quasi sempre riusciti, di imporre i dogmi dell'economia neoclassica, o neoliberista come è frequentemente denominata, in larga parte del mondo, facendo ricorso a tecniche di manipolazione delle coscienze sviluppate nell'ambito militare, durante la Guerra Fredda. Secondo la ricostruzione presentata nel saggio, la cosiddetta Dottrina dello Shock annovera tra i propri “padri” lo psichiatra canadese Ewen Cameron e l'economista dell'Università di Chicago Milton Friedman. Il primo effettuò a partire dagli anni '50 una serie di esperimenti volti ad individuare tecniche per annichilire la volontà e la personalità delle persone, come possibile strumento di cura di alcune patologie psichiche; presto i suoi studi suscitarono l'interesse della CIA, che vedeva in queste tecniche uno strumento da utilizzare nella lotta al Comunismo. Le tecniche sperimentate da Cameron si basavano sull'utilizzo dell'elettroshock e di sostanze allucinogene, sull'isolamento dei “pazienti”, sull'alterazione del loro ciclo biologico e su altre tecniche di annullamento della persona; tecniche che avremmo poi visto utilizzate nella “guerra al terrorismo”. Nel medesimo decennio Friedman costruiva intorno a sé quella che sarebbe divenuta famosa come Scuola di Chicago, centro di elaborazione di teorie e strategie economiche neoclassiche, fondate sul dogma del libero mercato e della sua capacità di autoregolamentazione.
In base a quanto riportato da N. Klein, gli studi e le teorie di questi due uomini divennero le colonne portanti di quel processo di involuzione reazionaria che avrebbe poi preso l'avvio all'inizio degli anni '70, con cui una parte dell'élite politica ed economica statunitense e mondiale avrebbe “messo ordine” in casa e nel mondo, ponendo fine alle esperienze di governi progressisti nel Terzo Mondo, in particolare in quello che Monroe 150 anni prima aveva definito il cortile degli USA ('l'America Latina), ed erodendo poco a poco le conquiste sociali ottenute dai lavoratori nei Paesi Occidentali e nel Blocco Sovietico. È così che negli ultimi quarant'anni i fautori del sistema socio-economico liberista hanno imposto, con strappi successivi, le proprie politiche di riduzione della partecipazione democratica, di privatizzazione dei servizi e di compressione dei salari, sfruttando cinicamente e scientificamente i momenti di “shock” collettivo causato da catastrofi naturali o da eventi violenti di natura umana (guerre, colpi di stato, crisi economica).
A supporto della propria tesi la Klein offre un excursus di eventi che hanno caratterizzato la storia contemporanea del pianeta. Un primo esempio proviene dall'America Latina, continente segnato dall'avvento dittature fasciste nel corso degli anni '70, da crisi seguite alle politiche economiche dei governi militari, crisi gettate come un fardello sui governi di transizione democratica che hanno optato per l'opzione dell'indebitamento con organismi come la Banca Mondiale (BM) ed il Fondo Monetario Internazionale (FMI). La repressione violenta dell'opposizione da parte delle giunte militari, con metodi analoghi a quelli sperimentati da Cameron, la confusione causata dal dissesto finanziario, con fenomeni di iper-inflazione, ed il rischio, ventilato o reale, di default delle economie costituirono fattori di veri e propri shock collettivi che ammansirono ogni forma di dissenso all'implementazione di politiche neoliberiste. Secondo quanto descritto da N. Klein, situazioni analoghe si ripeterono alla caduta del sistema socialista in Europa Orientale, alla fine del regime di apartheid in Sud Africa, allo scoppio delle crisi economiche e finanziarie nel Sud-Est Asiatico ed in Estremo Oriente o, con non meno cinismo, a seguito di disastri naturali come l'uragano Katrina o lo tsunami nell'Oceano Indiano. L'instabilità politica ed economica, il rischio di una crisi dell'economia sono state utilizzate per indurre un senso di smarrimento, di disorientamento e di rassegnazione tra la popolazione, in modo da indurla ad accettare una trasformazione in senso liberista dell'economia e della società. Qualcosa cui noi Europei stiamo assistendo in questi mesi, con i governi che utilizzano il deficit di bilancio come clava con cui colpite i lavoratori dipendenti, i pensionati e le classi deboli, senza che esse reagiscano all'evidente ingiustizia.
mercoledì 17 agosto 2011
Azione e reazione dopo i moti di inizio agosto
Di Simone Rossi
SPECIALE LONDRA AGOSTO 2011
A meno di una settimana dalla rivolta che ha provocato devastazione in varie città dell'Inghilterra e lasciato quattro morti sul campo, finalmente sappiamo a cosa imputare tutto ciò. Non, come verrebbe da pensare, alle politiche economiche e sociali degli ultimi trent'anni, che hanno creato sacche di povertà ed emarginazione all'interno delle città, neanche alla cultura dell' "avido è bello" lanciata dal Primo Ministro Thatcher negli anni Ottanta, che nel lungo termine ha portato ad una pesante crisi finanziaria, allo scandalo dei rimborsi dei deputati ed al bubbone delle collusioni tra media, esponenti delle istituzioni e forze di polizia. No, il problema alla base della rivolta, figlia di una società che non funziona (broken society, come afferma il Primo Ministro Cameron), sono l'eccessiva attenzione ai diritti umani e la tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro; potrebbe sembrare una barzelletta, o l'esternazione di un politicante di basso profilo in cerca del quarto d'ora di notorietà, invece questa è la linea adottata dall'Esecutivo ed esposta da Cameron che, senza tema del ridicolo, ha annunciato un giro di vite nelle politiche della sicurezza ed un termine al "lassismo" derivante dall'applicazione delle norme stabilite dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani e di quelle per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Infatti, secondo la versione di Cameron, esse hanno ingenerato un senso di deresponsabilizzazione dei cittadini nei confronti di sé stessi e della società. L'eccessiva tutela dei diritti umani, come se ci fossero gradazioni nei diritti, avrebbe spinto la polizia a non prendere un'iniziativa forte e decisa durante i saccheggi, nel timore di finire nell'occhio del ciclone, così come ha legato le mani agli agenti nella repressione del crimine in genere. Quest'ultima affermazione è stata ripresa e rilanciata sui quotidiani che, purtroppo, non hanno posto la domanda se Mark Duggan sia morto colpito da un mazzo di fiori dopo un inseguimento, o se le cariche contro gli studenti che protestavano contro il rincaro delle tasse universitarie in dicembre, circondati e tenuti in stato di fermo per ore al freddo, fosse un abbraccio metaforico, un gesto d'amore. E chissà quale diritto umano stava tutelando il poliziotto, ora sotto processo, che nell'aprile 2009 manganellò un passante, Ian Tomlinson, a margine delle proteste contro il G20, causandone la morte. Rientreranno nella definizione di diritti umani data da Cameron le centinaia di persone morte per mano della polizia nel corso degli ultimi dieci anni, come il brasiliano Jean Charles de Menezes, freddato nella metropolitana nel luglio 2005 perché erroneamente scambiato per un terrorista islamico?
Tuttavia, qualcosa si incrina nella “narrazione” dei Conservatori, fino ad ora protagonisti quasi assoluti della scena politica. Negli stessi giorni in cui esponenti del Governo si contendono il premio per la risposta più dura ed insensata ai moti di inizio agosto, una petizione popolare è stata attivata sul sito dell'Esecutivo, con l'obiettivo di precludere a coloro che saranno condannati per gli atti commessi durante alla rivolta la possibilità di ricevere sussidi ed altre forme di sostegno pubblico. Chiunque ha proposto questa norma e le oltre duecentomila persone che hanno sottoscritto la proposta ignorano che ciò già si applica a tutti coloro che subiscono una condanna penale, a prescindere dal reato; l'importante è avere vendetta, prendersela con il più debole.
Alle politiche di sicurezza annunciate dalla coalizione di maggioranza, basate sulla negazione della realtà, ed alla reazione rancorosa di parte dell'opinione pubblica si contrappongono le dure parole di condanna da parte dell'opposizione della situazione sociale in cui i saccheggi e la violenza sono maturate. Dopo gli attacchi contro i tagli e le discriminazioni nei confronti delle minoranze etniche lanciati dall' ex sindaco laburista Ken Livingstone all'indirizzo del Governo e dell'attuale primo cittadino londinese e dopo le condanne della riduzione nelle spesa per centri giovanili e scuole di qualità espresse da alcuni esponenti di spicco come Ed Balls e Diane Abbott, entrambi candidati alla segreteria del Partito Laburista lo scorso anno, si sono aggiunte le parole dell'attuale segretario laburista, Ed Milliband. Oltre a condannare gli eventi della scorsa settimana, egli ha posto l'attenzione sulle condizioni in cui vivono centinaia di migliaia di persone nel Paese, senza prospettiva di un miglioramento della propria posizione sociale e prime a patire le conseguenze delle misure di riduzione della spesa pubblica messe in atto dall'Esecutivo. Milliband ha inoltre evidenziato l'ipocrisia di una coalizione che condanna l'avidità ed il consumismo dei rivoltosi, mentre dall'alto giungono esempi negativi come quelli dello scandalo che ha coinvolto il quotidiano News of the World o quello dei rimborsi illegittimamente ottenuti dai deputati. Non ha peraltro tralasciato di criticare le gestioni laburiste, dal 1997 al 2010, che non hanno rotto quel meccanismo di esclusione sociale che crea sacche di povertà e di emarginazione.
Inoltre, con gran disappunto di benpensanti e forcaioli, nel fine settimana si sono tenute due manifestazioni nelle città di Birmingham e Londra, per esprimere solidarietà alle vittime dei moti ma anche per porre l'attenzione sulle inadeguate politiche giovanili messe in atto dallo Stato e dagli enti locali e sui tagli ai servizi per i giovani. A Londra un corteo di circa duemila persone ha marciato nel pomeriggio di sabato tra Dalston, a nord di Hackney, e Tottenham, in cui e deflagrata la rivolta, con lo slogan “Date un futuro ai nostri figli!”. La manifestazione è stata promossa di alcune associazioni ed organizzazioni che operano in questi due quartieri e che da anni cercano di lenire alle carenze dello Stato centrale nei confronti dei giovani dei rioni più degradati o delle comunità immigrate, togliendoli dall'influenza delle gang. Nella piattaforma della manifestazione si trovavano la solidarietà a coloro che nei moti (e prima) hanno perso un caro, la casa o il proprio esercizio commerciale, la richiesta di un rapporto non discriminatorio tra la polizia e le comunità e di chiarezza sulla vicenda di Mark Duggan, l'invito ad investire in politiche giovanili e nell'istruzione ed il rifiuto della criminalizzazione delle comunità disagiate prendendo a pretesto la rivolta appena conclusa. Nonostante i timori di tensioni e di scontri con una comunità esasperata, il corteo ha riscosso un generale supporto da parte dei passanti e di coloro che sull'uscio del proprio negozio o dalle finestre assistevano al passaggio dei manifestanti, probabilmente consci di come la risposta muscolare del Governo non porterà alcun miglioramento all'interno delle loro comunità. La manifestazione si è conclusa con l'intervento libero di cittadini e di esponenti delle organizzazioni promotrici, come forma di condivisione del proprio pensiero e di proposte. Che questo sia l'atto di nascita di un movimento popolare e democratico di lotta alle politiche di austerità, dopo i primi fuochi delle proteste studentesche e la mobilitazione di massa dello scorso marzo, abortita nelle divisioni identitarie dei partiti e delle organizzazioni che vi hanno preso parte?
A meno di una settimana dalla rivolta che ha provocato devastazione in varie città dell'Inghilterra e lasciato quattro morti sul campo, finalmente sappiamo a cosa imputare tutto ciò. Non, come verrebbe da pensare, alle politiche economiche e sociali degli ultimi trent'anni, che hanno creato sacche di povertà ed emarginazione all'interno delle città, neanche alla cultura dell' "avido è bello" lanciata dal Primo Ministro Thatcher negli anni Ottanta, che nel lungo termine ha portato ad una pesante crisi finanziaria, allo scandalo dei rimborsi dei deputati ed al bubbone delle collusioni tra media, esponenti delle istituzioni e forze di polizia. No, il problema alla base della rivolta, figlia di una società che non funziona (broken society, come afferma il Primo Ministro Cameron), sono l'eccessiva attenzione ai diritti umani e la tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro; potrebbe sembrare una barzelletta, o l'esternazione di un politicante di basso profilo in cerca del quarto d'ora di notorietà, invece questa è la linea adottata dall'Esecutivo ed esposta da Cameron che, senza tema del ridicolo, ha annunciato un giro di vite nelle politiche della sicurezza ed un termine al "lassismo" derivante dall'applicazione delle norme stabilite dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani e di quelle per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Infatti, secondo la versione di Cameron, esse hanno ingenerato un senso di deresponsabilizzazione dei cittadini nei confronti di sé stessi e della società. L'eccessiva tutela dei diritti umani, come se ci fossero gradazioni nei diritti, avrebbe spinto la polizia a non prendere un'iniziativa forte e decisa durante i saccheggi, nel timore di finire nell'occhio del ciclone, così come ha legato le mani agli agenti nella repressione del crimine in genere. Quest'ultima affermazione è stata ripresa e rilanciata sui quotidiani che, purtroppo, non hanno posto la domanda se Mark Duggan sia morto colpito da un mazzo di fiori dopo un inseguimento, o se le cariche contro gli studenti che protestavano contro il rincaro delle tasse universitarie in dicembre, circondati e tenuti in stato di fermo per ore al freddo, fosse un abbraccio metaforico, un gesto d'amore. E chissà quale diritto umano stava tutelando il poliziotto, ora sotto processo, che nell'aprile 2009 manganellò un passante, Ian Tomlinson, a margine delle proteste contro il G20, causandone la morte. Rientreranno nella definizione di diritti umani data da Cameron le centinaia di persone morte per mano della polizia nel corso degli ultimi dieci anni, come il brasiliano Jean Charles de Menezes, freddato nella metropolitana nel luglio 2005 perché erroneamente scambiato per un terrorista islamico?
Tuttavia, qualcosa si incrina nella “narrazione” dei Conservatori, fino ad ora protagonisti quasi assoluti della scena politica. Negli stessi giorni in cui esponenti del Governo si contendono il premio per la risposta più dura ed insensata ai moti di inizio agosto, una petizione popolare è stata attivata sul sito dell'Esecutivo, con l'obiettivo di precludere a coloro che saranno condannati per gli atti commessi durante alla rivolta la possibilità di ricevere sussidi ed altre forme di sostegno pubblico. Chiunque ha proposto questa norma e le oltre duecentomila persone che hanno sottoscritto la proposta ignorano che ciò già si applica a tutti coloro che subiscono una condanna penale, a prescindere dal reato; l'importante è avere vendetta, prendersela con il più debole.
Alle politiche di sicurezza annunciate dalla coalizione di maggioranza, basate sulla negazione della realtà, ed alla reazione rancorosa di parte dell'opinione pubblica si contrappongono le dure parole di condanna da parte dell'opposizione della situazione sociale in cui i saccheggi e la violenza sono maturate. Dopo gli attacchi contro i tagli e le discriminazioni nei confronti delle minoranze etniche lanciati dall' ex sindaco laburista Ken Livingstone all'indirizzo del Governo e dell'attuale primo cittadino londinese e dopo le condanne della riduzione nelle spesa per centri giovanili e scuole di qualità espresse da alcuni esponenti di spicco come Ed Balls e Diane Abbott, entrambi candidati alla segreteria del Partito Laburista lo scorso anno, si sono aggiunte le parole dell'attuale segretario laburista, Ed Milliband. Oltre a condannare gli eventi della scorsa settimana, egli ha posto l'attenzione sulle condizioni in cui vivono centinaia di migliaia di persone nel Paese, senza prospettiva di un miglioramento della propria posizione sociale e prime a patire le conseguenze delle misure di riduzione della spesa pubblica messe in atto dall'Esecutivo. Milliband ha inoltre evidenziato l'ipocrisia di una coalizione che condanna l'avidità ed il consumismo dei rivoltosi, mentre dall'alto giungono esempi negativi come quelli dello scandalo che ha coinvolto il quotidiano News of the World o quello dei rimborsi illegittimamente ottenuti dai deputati. Non ha peraltro tralasciato di criticare le gestioni laburiste, dal 1997 al 2010, che non hanno rotto quel meccanismo di esclusione sociale che crea sacche di povertà e di emarginazione.
Inoltre, con gran disappunto di benpensanti e forcaioli, nel fine settimana si sono tenute due manifestazioni nelle città di Birmingham e Londra, per esprimere solidarietà alle vittime dei moti ma anche per porre l'attenzione sulle inadeguate politiche giovanili messe in atto dallo Stato e dagli enti locali e sui tagli ai servizi per i giovani. A Londra un corteo di circa duemila persone ha marciato nel pomeriggio di sabato tra Dalston, a nord di Hackney, e Tottenham, in cui e deflagrata la rivolta, con lo slogan “Date un futuro ai nostri figli!”. La manifestazione è stata promossa di alcune associazioni ed organizzazioni che operano in questi due quartieri e che da anni cercano di lenire alle carenze dello Stato centrale nei confronti dei giovani dei rioni più degradati o delle comunità immigrate, togliendoli dall'influenza delle gang. Nella piattaforma della manifestazione si trovavano la solidarietà a coloro che nei moti (e prima) hanno perso un caro, la casa o il proprio esercizio commerciale, la richiesta di un rapporto non discriminatorio tra la polizia e le comunità e di chiarezza sulla vicenda di Mark Duggan, l'invito ad investire in politiche giovanili e nell'istruzione ed il rifiuto della criminalizzazione delle comunità disagiate prendendo a pretesto la rivolta appena conclusa. Nonostante i timori di tensioni e di scontri con una comunità esasperata, il corteo ha riscosso un generale supporto da parte dei passanti e di coloro che sull'uscio del proprio negozio o dalle finestre assistevano al passaggio dei manifestanti, probabilmente consci di come la risposta muscolare del Governo non porterà alcun miglioramento all'interno delle loro comunità. La manifestazione si è conclusa con l'intervento libero di cittadini e di esponenti delle organizzazioni promotrici, come forma di condivisione del proprio pensiero e di proposte. Che questo sia l'atto di nascita di un movimento popolare e democratico di lotta alle politiche di austerità, dopo i primi fuochi delle proteste studentesche e la mobilitazione di massa dello scorso marzo, abortita nelle divisioni identitarie dei partiti e delle organizzazioni che vi hanno preso parte?
venerdì 12 agosto 2011
Match Point
Di Simone Rossi
SPECIALE LONDRA AGOSTO 2011
In un film di Woody Allen uscito alcuni anni fa, intitolato Match Point, il destino del protagonista, un giovane arrampicatore sociale che uccide l'amante per non perdere il proprio status, si gioca sulla traiettoria di un anello, prova incriminante che tocca un parapetto mentre egli tenta di gettare nel Tamigi: cadendo dal “lato giusto” l'anello è raccolto da un vagabondo che, alla fine, pagherà le colpe del protagonista. Questa crudele metafora mi pare esemplificativa della società in cui viviamo; la collocazione geografica e lo status sociale del grembo in cui un essere umano è concepito ne deciderà le sorti a venire, nonostante tanta retorica sulla meritocrazia e l'uguaglianza delle opportunità.
Dopo quattro giorni e tre notti di saccheggi, di guerriglia urbana e di incendi, la città di Londra sembra esser tornata alla normalità, mentre altrove gli strascichi delle rivolte sono continuati per alcune ore, causando la morte di tre giovani nei pressi di Birmingham. Alle dirette televisive degli scontri seguono le interviste ai rappresentanti nelle istituzioni ed i commenti su quotidiani, forum, network sociali. Finalmente, martedì mattina appaiono in televisione il Primo Ministro David Cameron ed il Sindaco dell'area metropolitana Boris Johnson, entrambi esponenti del partito dei Conservatori, tornati di fresco dalle loro vacanze all'estero, pronti a stringere mani ed a dispensare frasi ad effetto. Johnson, uno strenuo difensore dei tagli alla spesa pubblica fino al giorno prima e che ha già messo alla porta centinaia di dipendenti della Metropolitan Police dal 2008 ad oggi, ci fa sapere che in un tale momento i tagli alle forze di polizia sono dannosi; Cameron, dimentico del discorso pronunciato nel 2006 e conosciuto come Hug a Hoodie [letteralmente 'abbraccia un incappucciato', con riferimento alle felpe con il cappuccio tipicamente utilizzate dai giovani delle periferie] ha promesso che la polizia avrà la necessaria copertura legale (e politica) nei confronti di qualsiasi tipo di misura che sarà presa per assicurare alla giustizia i responsabili dei saccheggi e delle devastazioni, anche a scapito del rispetto dei diritti umani. Oltre all'inversione di cento ottanta gradi del sindaco in tema di tagli ed all'esibizione muscolare e retorica del capo dell'Esecutivo, non abbiamo udito, sinora, una parola che metta in discussione il modello sociale che ha costituito il brodo di coltura di questi incidenti, non una considerazione sulla necessità di mettere in atto politiche rivolte ai giovani delle aree marginali, per sottrarli al”fascino” delle bande di quartiere. Dall'opposizione Laburista si ode, invece, un assordante silenzio, rotto dalle dichiarazioni di alcuni esponenti come la deputata Diane Abbott, sfidante di Ed Milliband nella corsa alla Segreteria del partito, e di Ken Livingston, già Sindaco della capitale e probabile candidato laburista alle amministrative del prossimo anno, che hanno messo in luce quali siano le cause sociali e politiche in cui prosperano le gang, chiamando le forze di governo ad assumersi le proprie responsabilità.
Toni non molto differenti da quelli dei leader di partito si riscontrano nelle interviste e nei commenti rilasciati dai cittadini ai mezzi di informazione o in Rete, nei forum di discussione e nei commenti agli articoli dei quotidiani. Al comprensibile e giustificato desiderio di inquadrare gli eventi degli scorsi giorni per per ciò che sono stati, atti di vandalismo e di criminalità, troppo spesso subentra il disperato tentativo di rimuovere qualsiasi connotato alla rivolta, negando il contesto di degrado, povertà ed alienazione da cui provengono molti dei rivoltosi; in tal senso assumono tonalità preoccupanti i richiami di alcuni cittadini alla questione razziale, a dispetto della varietà etnica dei moti, e lo sforzo di dipingere gli abitanti delle aree marginali come dei fannulloni, dipendenti dai sussidi, parassiti. A riportarci sul piano della realtà ed a richiamare i cittadini all'empatia sono alcuni operatori sociali intervistati dalla BBC ed alcuni cittadini che spiegano nei forum cosa significhi esser nato al limite del parapetto e come sia facile scivolare dal lato sbagliato e finire in una spirale di violenza e di delinquenza. Parole che una parte della cittadinanza, per convenienza o per ottusità, sembra non comprendere, così come paiono esser rimbalzate via da una classe dirigente figlia dell'alta borghesia, poco avvezza alla quotidianità del cittadino comune e, lapalissiano quanto ignorato dai più, inadatta a guidare il Paese in una fase critica e delicata come quella che stiamo attraversando. Il rischio è che a pagare l'inadeguatezza della classe dominante siano nuovamente i cittadini comuni, in particolare i più poveri, con un incremento della tensione sociale, della criminalità e la sempre più frequente esplosione di una rabbia incontrollata, unita al desiderio di rivalsa.
In un film di Woody Allen uscito alcuni anni fa, intitolato Match Point, il destino del protagonista, un giovane arrampicatore sociale che uccide l'amante per non perdere il proprio status, si gioca sulla traiettoria di un anello, prova incriminante che tocca un parapetto mentre egli tenta di gettare nel Tamigi: cadendo dal “lato giusto” l'anello è raccolto da un vagabondo che, alla fine, pagherà le colpe del protagonista. Questa crudele metafora mi pare esemplificativa della società in cui viviamo; la collocazione geografica e lo status sociale del grembo in cui un essere umano è concepito ne deciderà le sorti a venire, nonostante tanta retorica sulla meritocrazia e l'uguaglianza delle opportunità.
Dopo quattro giorni e tre notti di saccheggi, di guerriglia urbana e di incendi, la città di Londra sembra esser tornata alla normalità, mentre altrove gli strascichi delle rivolte sono continuati per alcune ore, causando la morte di tre giovani nei pressi di Birmingham. Alle dirette televisive degli scontri seguono le interviste ai rappresentanti nelle istituzioni ed i commenti su quotidiani, forum, network sociali. Finalmente, martedì mattina appaiono in televisione il Primo Ministro David Cameron ed il Sindaco dell'area metropolitana Boris Johnson, entrambi esponenti del partito dei Conservatori, tornati di fresco dalle loro vacanze all'estero, pronti a stringere mani ed a dispensare frasi ad effetto. Johnson, uno strenuo difensore dei tagli alla spesa pubblica fino al giorno prima e che ha già messo alla porta centinaia di dipendenti della Metropolitan Police dal 2008 ad oggi, ci fa sapere che in un tale momento i tagli alle forze di polizia sono dannosi; Cameron, dimentico del discorso pronunciato nel 2006 e conosciuto come Hug a Hoodie [letteralmente 'abbraccia un incappucciato', con riferimento alle felpe con il cappuccio tipicamente utilizzate dai giovani delle periferie] ha promesso che la polizia avrà la necessaria copertura legale (e politica) nei confronti di qualsiasi tipo di misura che sarà presa per assicurare alla giustizia i responsabili dei saccheggi e delle devastazioni, anche a scapito del rispetto dei diritti umani. Oltre all'inversione di cento ottanta gradi del sindaco in tema di tagli ed all'esibizione muscolare e retorica del capo dell'Esecutivo, non abbiamo udito, sinora, una parola che metta in discussione il modello sociale che ha costituito il brodo di coltura di questi incidenti, non una considerazione sulla necessità di mettere in atto politiche rivolte ai giovani delle aree marginali, per sottrarli al”fascino” delle bande di quartiere. Dall'opposizione Laburista si ode, invece, un assordante silenzio, rotto dalle dichiarazioni di alcuni esponenti come la deputata Diane Abbott, sfidante di Ed Milliband nella corsa alla Segreteria del partito, e di Ken Livingston, già Sindaco della capitale e probabile candidato laburista alle amministrative del prossimo anno, che hanno messo in luce quali siano le cause sociali e politiche in cui prosperano le gang, chiamando le forze di governo ad assumersi le proprie responsabilità.
Toni non molto differenti da quelli dei leader di partito si riscontrano nelle interviste e nei commenti rilasciati dai cittadini ai mezzi di informazione o in Rete, nei forum di discussione e nei commenti agli articoli dei quotidiani. Al comprensibile e giustificato desiderio di inquadrare gli eventi degli scorsi giorni per per ciò che sono stati, atti di vandalismo e di criminalità, troppo spesso subentra il disperato tentativo di rimuovere qualsiasi connotato alla rivolta, negando il contesto di degrado, povertà ed alienazione da cui provengono molti dei rivoltosi; in tal senso assumono tonalità preoccupanti i richiami di alcuni cittadini alla questione razziale, a dispetto della varietà etnica dei moti, e lo sforzo di dipingere gli abitanti delle aree marginali come dei fannulloni, dipendenti dai sussidi, parassiti. A riportarci sul piano della realtà ed a richiamare i cittadini all'empatia sono alcuni operatori sociali intervistati dalla BBC ed alcuni cittadini che spiegano nei forum cosa significhi esser nato al limite del parapetto e come sia facile scivolare dal lato sbagliato e finire in una spirale di violenza e di delinquenza. Parole che una parte della cittadinanza, per convenienza o per ottusità, sembra non comprendere, così come paiono esser rimbalzate via da una classe dirigente figlia dell'alta borghesia, poco avvezza alla quotidianità del cittadino comune e, lapalissiano quanto ignorato dai più, inadatta a guidare il Paese in una fase critica e delicata come quella che stiamo attraversando. Il rischio è che a pagare l'inadeguatezza della classe dominante siano nuovamente i cittadini comuni, in particolare i più poveri, con un incremento della tensione sociale, della criminalità e la sempre più frequente esplosione di una rabbia incontrollata, unita al desiderio di rivalsa.
martedì 9 agosto 2011
Quando i nodi vengono al pettine
Di Simone Rossi
SPECIALE LONDRA AGOSTO 2011
Talvolta il corso della storia accelera a tal punto che nel giro di pochi giorni il mondo in cui viviamo cambia drammaticamente nella propria apparenza.
Rientrato domenica sera da una breve vacanza fuori Londra durante cui ho dedicato poca attenzione alle notizie, sono accolto nelle edicole dalle immagini di barricate e di scene di guerriglia urbana nella periferia nord-orientale della capitale. Successivamente all'uccisione di un cittadino nei pressi di Tottenham per mano della polizia giovedì scorso, in circostanze ancora da chiarire, sono nate proteste dei famigliari e dei residenti della zona, che richiedevano chiarezza e giustizia per quello che appariva l'ennesima vittima del grilletto facile delle forze dell'ordine. La reazione aggressiva della polizia di Tottenham ha incendiato gli animi, pronti a scoppiare alla minima scintilla, ed alcune centinaia di giovani hanno tenuto sotto scacco i quartieri di Tottenham, Enfield e Wood Green una serie di saccheggi e di incendi per tutto il fine settimana. Tutto sarebbe potuto finire lì, con le strade occupate dalle forze di sicurezza in assetto anti-sommossa e macerie ovunque, invece l'incendio, metaforicamente e fisicamente parlando, si è esteso nel resto della periferia settentrionale ed orientale, nei quartieri di Camden, Hackney, Whitechapel e Stratford per oltrepassare il Tamigi e diffondersi nei quartieri meridionali della città: Croydon, Lewisham, Peckham, Wimbledon,
Mentre scrivo le notizie, sul blog dei mezzi di informazione e su Facebook, l'elenco dei quartieri interessati cresce, e sembra per ora risparmiare solamente la zona centrale ed occidentale, non a caso quelli abitati per lo più dalle classi medio-alte, o in corso di gentrificazione. I reportage dei mezzi di comunicazione a larga diffusione ed i comunicati stampa dei principali partiti, infatti, sembrano aver trascurato le implicazioni sociali ed economiche di questi fatti incresciosi. Il saccheggio di esercizi commerciali e la devastazione di edifici residenziali, per lo più abitati da appartenenti alle fasce povere della società, non possono trovare alcuna giustificazione, men che meno possono esser definiti come atti rivoluzionari o meramente politici. Tuttavia la classe dirigente di questo Paese dovrebbe andare oltre i messaggi e le condanne di circostanza e spiegarci perché questo tipo di rivolte stanno scoppiando in questo momento di crisi economica, aggravata dai tagli ai servizi sociali, e proprio nei quartieri dove maggiore é il tasso di povertà e di emarginazione; in maniera bipartisan, come le politiche economiche e sociali portate avanti negli ultimi trent'anni a dispetto delle apparenti differenze, questi leader di partito dovrebbero assumersi le proprie responsabilità per un boom economico, quello dell'inizio di millennio, che ha beneficiato i ricchi e toccato marginalmente i più poveri, e fornire soluzioni che non si riducano al trito e ritrito “ordine e giustizia”. Tottenham è nota per essere una delle aree più degradate del Paese, con tassi di disoccupazione giovanile al di sopra di quel già alto 20% della media britannica, così come Enfield, Hackney, Stratford, Lewisham e molti altri dei quartieri interessati raccolgono grosse sacche di povertà, disoccupazione, emarginazione. Queste zone sono e saranno colpite dalle chiusure di centri giovanili e servizi sociali che, a fronte di un ascensore sociale inceppato, fornivano un minimo supporto e fornivano speranza ad una generazione cui il futuro non sembra sorridere. Senza contare la dubbia operazione delle Olimpiadi del 2012, il cui unico risultato tangibile, sino ad ora, è l'aumento dei prezzi nel settore immobiliare a Stratford e dintorni, dove si concentra il maggior quantitativo di edilizia economico popolare e si ha una forte densità di famiglie immigrate, solitamente relegate ai gradini più bassi della classe sociale.
I nodi della società rampante del New Labour, partito ancora oggi ansioso di mostrarsi amico della grande imprenditoria e della Finanza nonostante il botto del 2008, e delle politiche di austerità dei Liberal-Conservatori, seppur di recente introduzione, sono venuti al pettine; probabilmente prima di quanto molti si sarebbero attesi e in maniera differente da chi, a Sinistra, auspica da tempo un'inversione di rotta nelle politiche economiche del governo o finanche una rivoluzione. Tutti impreparati e tutti in qualche misura colpevoli, incluse le decine di organizzazioni anti-capitaliste, marxiste o semplicemente “di alternativa” che da anni si disputano la scena della Sinistra, non di rado con accenti da Prima Donna e, sicuramente, con la Verità in tasca. All'unità della classe lavoratrice ed al lavoro sul territorio hanno preferito dispute dal sapore antico ed anacronistico o campagne dal tono millenaristico, come se la rivoluzione venisse da sé e non fosse il risultato di un lungo e faticoso sforzo unitario.
Talvolta il corso della storia accelera a tal punto che nel giro di pochi giorni il mondo in cui viviamo cambia drammaticamente nella propria apparenza.
Rientrato domenica sera da una breve vacanza fuori Londra durante cui ho dedicato poca attenzione alle notizie, sono accolto nelle edicole dalle immagini di barricate e di scene di guerriglia urbana nella periferia nord-orientale della capitale. Successivamente all'uccisione di un cittadino nei pressi di Tottenham per mano della polizia giovedì scorso, in circostanze ancora da chiarire, sono nate proteste dei famigliari e dei residenti della zona, che richiedevano chiarezza e giustizia per quello che appariva l'ennesima vittima del grilletto facile delle forze dell'ordine. La reazione aggressiva della polizia di Tottenham ha incendiato gli animi, pronti a scoppiare alla minima scintilla, ed alcune centinaia di giovani hanno tenuto sotto scacco i quartieri di Tottenham, Enfield e Wood Green una serie di saccheggi e di incendi per tutto il fine settimana. Tutto sarebbe potuto finire lì, con le strade occupate dalle forze di sicurezza in assetto anti-sommossa e macerie ovunque, invece l'incendio, metaforicamente e fisicamente parlando, si è esteso nel resto della periferia settentrionale ed orientale, nei quartieri di Camden, Hackney, Whitechapel e Stratford per oltrepassare il Tamigi e diffondersi nei quartieri meridionali della città: Croydon, Lewisham, Peckham, Wimbledon,
Mentre scrivo le notizie, sul blog dei mezzi di informazione e su Facebook, l'elenco dei quartieri interessati cresce, e sembra per ora risparmiare solamente la zona centrale ed occidentale, non a caso quelli abitati per lo più dalle classi medio-alte, o in corso di gentrificazione. I reportage dei mezzi di comunicazione a larga diffusione ed i comunicati stampa dei principali partiti, infatti, sembrano aver trascurato le implicazioni sociali ed economiche di questi fatti incresciosi. Il saccheggio di esercizi commerciali e la devastazione di edifici residenziali, per lo più abitati da appartenenti alle fasce povere della società, non possono trovare alcuna giustificazione, men che meno possono esser definiti come atti rivoluzionari o meramente politici. Tuttavia la classe dirigente di questo Paese dovrebbe andare oltre i messaggi e le condanne di circostanza e spiegarci perché questo tipo di rivolte stanno scoppiando in questo momento di crisi economica, aggravata dai tagli ai servizi sociali, e proprio nei quartieri dove maggiore é il tasso di povertà e di emarginazione; in maniera bipartisan, come le politiche economiche e sociali portate avanti negli ultimi trent'anni a dispetto delle apparenti differenze, questi leader di partito dovrebbero assumersi le proprie responsabilità per un boom economico, quello dell'inizio di millennio, che ha beneficiato i ricchi e toccato marginalmente i più poveri, e fornire soluzioni che non si riducano al trito e ritrito “ordine e giustizia”. Tottenham è nota per essere una delle aree più degradate del Paese, con tassi di disoccupazione giovanile al di sopra di quel già alto 20% della media britannica, così come Enfield, Hackney, Stratford, Lewisham e molti altri dei quartieri interessati raccolgono grosse sacche di povertà, disoccupazione, emarginazione. Queste zone sono e saranno colpite dalle chiusure di centri giovanili e servizi sociali che, a fronte di un ascensore sociale inceppato, fornivano un minimo supporto e fornivano speranza ad una generazione cui il futuro non sembra sorridere. Senza contare la dubbia operazione delle Olimpiadi del 2012, il cui unico risultato tangibile, sino ad ora, è l'aumento dei prezzi nel settore immobiliare a Stratford e dintorni, dove si concentra il maggior quantitativo di edilizia economico popolare e si ha una forte densità di famiglie immigrate, solitamente relegate ai gradini più bassi della classe sociale.
I nodi della società rampante del New Labour, partito ancora oggi ansioso di mostrarsi amico della grande imprenditoria e della Finanza nonostante il botto del 2008, e delle politiche di austerità dei Liberal-Conservatori, seppur di recente introduzione, sono venuti al pettine; probabilmente prima di quanto molti si sarebbero attesi e in maniera differente da chi, a Sinistra, auspica da tempo un'inversione di rotta nelle politiche economiche del governo o finanche una rivoluzione. Tutti impreparati e tutti in qualche misura colpevoli, incluse le decine di organizzazioni anti-capitaliste, marxiste o semplicemente “di alternativa” che da anni si disputano la scena della Sinistra, non di rado con accenti da Prima Donna e, sicuramente, con la Verità in tasca. All'unità della classe lavoratrice ed al lavoro sul territorio hanno preferito dispute dal sapore antico ed anacronistico o campagne dal tono millenaristico, come se la rivoluzione venisse da sé e non fosse il risultato di un lungo e faticoso sforzo unitario.
mercoledì 20 luglio 2011
RICORDARE GENOVA 2001
Dialogo tra due amici che parteciparono alla manifestazione del GSF
Di Carla Gagliardini e Simone Rossi
A dieci anni dallo svolgimento del Forum Sociale di Genova, due amici, Carla e Simone, discutono di come vissero quegli eventi, quali motivazioni li spinsero a partecipare, quali sensazioni provarono e cosa quell'esperienza ha lasciato nelle loro menti.
Simone: All'epoca del Genoa social forum del 2001 avevo 23 anni e frequentavo l'universitá. Mi ero avvicinato alla militanza politica ed all'attivismo nelle associazioni ai tempi delle superiori, quando mi ero unito ad un gruppo di giovani della mia città, simpatizzanti o iscritti del PRC, che promuovevano iniziative culturali ed aggregative e che diedero l'impulso alla nascita di alcuni servizi comunali dedicati ai giovani. Successivamente ampliai l'ambito dei miei interessi, pur mantenendo la militanza partitica, e svolsi attività di volontariato per la Città di Torino e per l'associazione Ingegneria Senza Frontiere di Torino. Fu grazie a quest'ultima che iniziai ad interessarmi ed a leggere sui temi dello sviluppo, della cooperazione e dell'iniqua distribuzione delle risorse tra aree geografiche del mondo. Conseguentemente, le proteste del 1999 a Seattle attirarono la mia attenzione e provai ammirazione per quei miei coetanei che sfidavano la violenza delle forze di polizia e l'arroganza dei potenti per manifestare il proprio dissenso nei confronti delle politiche neoliberiste che la maggior parte dei governi del mondo stavano adottando in quegli anni. L'occasione per rendermi parte attiva di questo movimento si presentò pochi anni dopo, quando, in concomitanza con la riunione del G8 a Genova nel 2001, fu organizzato un forum sociale, in cui si sarebbero tenuti seminari e dibattiti su temi a me cari.
Carla: Anch'io ho deciso di partecipare al Social Forum di Genova come passo obbligato nel mio cammino di scelte politiche che si stavano sempre più rafforzando col trascorrere degli anni, e della militanza. Sono arrivata a Genova senza in realtà intendere fino in fondo cosa fossero i social forum. Quello che comprendevo era che si trattava di un movimento di massa che rivendicava certi diritti verso i beni comuni nell'interesse dell'intera collettività. Le rivendicazioni si spingevano fino a chiedere una società diversa non più dominata dalle odiose logiche di mercato e di profitto. Con questo spirito mi preparavo a partecipare alla giornata conclusiva del Forum Sociale di Genova.
S: Appreso che Carla, mia amica e compagna di partito, avrebbe partecipato al forum, ci organizzammo per andarvi insieme. Per motivi di lavoro e di studio, decidemmo di partecipare solamente alla manifestazione conclusiva. Con l'approssimarsi del forum sociale la nostra eccitazione cresceva, al vedere quelle migliaia di ragazzi che si recavano a Genova, zaino in spalla e pieni di energia.
C:Il pomeriggio che ha preceduto la manifestazione di chiusura del Social Forum di Genova l'ho trascorso con Simone a preparare cartelli satirici da sventolare durante la manifestazione quando all'improvviso arrivò la notizia, ora non ricordo chi ce la comunicò, che Carlo Giuliani era stato ammazzato dalla polizia. Un brivido, la sensazione che qualcosa di gravissimo che andasse oltre la tragica morte di un ragazzo potesse ancora accadere. Ricordo che i miei genitori, sessantottini, mi sconsigliarono con tono "lieve" (non poteva che essere così perché loro quelle esperienze di piazza le avevano vissute) di non andare l'indomani a Genova e a fronte della mia determinazione a non mancare mi dissero che facevo bene ma di stare attenta.
S: Nonostante le pressioni dei nostri genitori e di alcuni amici, il mattino seguente partimmo. Sul torpedone l'atmosfera era apparentemente allegra ma si percepiva una tensione di fondo, rivelata dai consigli che una donna, forse una legale, ci dava su come comportarci in caso di carica delle forze dell'ordine o come proteggerci dagli effetti dei lacrimogeni. Dopo una lunga fila allo svincolo autostradale, scendemmo in uno spiazzo alla periferia est di Genova. Marciammo per un tratto con gli amici di Ingegneria Senza Frontiere, poi decidemmo di proseguire verso la testa del corteo, per poterne vedere la composizione. Non mancammo di notare, oltre ai colori ed all'allegria dei vari spezzoni, la presenza di individui vestiti di scuro, spesso dall'aspetto aggressivo e dotati di bastoni. Nonostante i cordoni delle forze di polizia che limitavano l'accesso e l'uscita dal corteo (come mio padre aggregatosi ad un gruppo del PRC ebbe a scoprire), queste persone sembravano godere di ampia libertà di movimento. Lasciata Carla con alcuni compagni di Alessandria incontrati nel corteo, proseguii verso la testa del corteo.Là ebbi modo di respirare un clima di tensione, oltre l'odore dei lacrimogeni: in prossimità del viale in cui lasciavamo il lungomare per addentrarci verso la piazza del comizio conclusivo si intravedevano scontri con lanci di oggetti. Poco dopo ci fu un ulteriore momento di tensione, quando il corteo si fermò e qualcuno urlò che stavamo per esser caricati; fortunatamente (io mi ero rifugiato con altri in un vicolo cieco) non ci fu alcuna carica alla testa del corteo e proseguimmo. La presenza delle forze dell'ordine mi inquietava anziché rassicurarmi come sarebbe stato logico e l'attraversamento del sottopasso ferroviario nei pressi di Brignole fu causa di ansia per me. I genovesi, in compenso, ci manifestavano la loro solidarietà e simpatia, innaffiandoci con acqua per rinfrescarci, regalandoci della frutta ed esponendo teli e lenzuola con slogan pro-forum. Raggiunsi finalmente la piazza, dove attesi Carla.
C: Al termine della manifestazione ricevetti la telefonata prima di mia madre e poi di mio padre che mi consigliarono di "telare", ossia di lasciare Genova il prima possibile. Mi dissero entrambi che per esperienza il termine del corteo poteva diventare il momento più pericoloso perché ormai i manifestanti rincasavano convinti che il pericolo fosse stato scampato. Io e Simone non potevamo lasciare Genova perché il nostro pulman non sarebbe partito che da lì a qualche ora. Avevamo pensato di recarci a visitare i luoghi dove avevano alloggiato i tanti cittadini e le tante cittadine che avevano partecipato a tutti o a alcuni dei giorni del social forum. Alla fine sopraffatti dalla stanchezza ci siamo invece recati ai luoghi dove si erano tenuti gli incontri di approfondimento e di informazione. Io mi sono distesa su una panchina e ho schiacciato un pisolino.
S: Nonostante avessimo visto segni di scontri e di vandalismo nel nostro percorso al mare, trascorremmo un paio d'ore spensierate presso il villaggio allestito dal GSF sul lungomare, conversando sulla nostra esperienza della giornata e riposando, ignari della portata di quanto accaduto nelle strade di Genova. Quando raggiungemmo il piazzale con i torpedoni, eravamo stanchi; io percepivo un irrefrenabile desiderio di avviarmi verso casa quanto prima, mentre osservavo coloro che già erano in partenza. Una volta rientrati a casa di Carla, a notte fonda, apprendemmo degli ulteriori sviluppi della serata: l'assalto alle scuole Diaz. Impietriti, non sapevamo cosa pensare. Io fui colto dal timore di dover rincasare da solo e di trovarmi a trascorrere la notte in solitudine; immaginavo scene da dittatura sud-americana, con persone prelevate per strada o dalle proprie abitazioni. Chiesi a Carla di tenere il cellulare accesso finché non avessi avvisato del mio rientro a casa e trascorsi la notte barricato nel mio appartamento, nonostante la calura estiva.
C:Al rientro a Torino mi sentivo ancora eccitata per quella giornata particolare, per la tensione vissuta, per la sensazione di essere stata parte di qualcosa, di quel grande movimento mondiale che gridava a squarciagola che voleva un mondo piu' giusto. E così ho acceso la televisione per sentire la cronaca della giornata e invece mi sono ritrovata ad ascoltare la cronaca in diretta del massacro che ormai era già stato compiuto alla scuola Diaz. Con orrore ascoltavo, guardavo, mi arrabbiavo, imprecavo. Di nuovo la chiamata dei miei genitori che allarmati volevano sapere dove fossi. Li rassicurai. Io ero già tra le accoglienti mura del mio appartamento a Torino e come loro sentivo le notizie che i tg ci portavano in casa.
S: Nei giorni successivi, di fronte alle mistificazioni dei mezzi di informazione principali, fui assalito da un grande senso di rabbia ed iniziai a far circolare tra amici e conoscenti alcune email in cui raccontavo quando visto con i miei occhi ed i resoconti che reperivo in rete. Seguii con attenzione i seminari ed i dibattiti che nei mesi successivi furono organizzati sulle vicende di Genova, acquistai i vari video che man mano erano pubblicati dai quotidiani di Sinistra e da alcune associazioni. Con il direttivo della nostra sezione di partito organizzammo una serata sul cortocircuito vissuto dalla democrazia italiana il 20 e 21 luglio 2001, cui partecipò un legale del GSF. Indignato per l'oscuramento dei temi dibattuti a Genova, iniziai a seguire le riunioni e le attività del Torino Social Forum, fornendo il mio piccolo contributo ad alcune battaglie per la la salvaguardia del territorio e contro la speculazione fondiaria.
C: Non ricordo se esattamente il giorno dopo o dopo alcuni giorni a Torino si riuni' il Social Forum Torino per discutere pubblicamente di cosa era accaduto alla scuola Diaz. Intervenirono alcuni degli avvocati degli arrestati e ci prospettarono la situazione. Fu chiaro il messaggio: quei giovani e quelle giovani arrestati/e erano stati torturati dalla polizia, umiliati. Per tutti ricordo il racconto di un avvocato che ci disse che una ragazza dalla paura aveva vomitato e il suo aguzzino l'aveva obbligato a rimangiarselo. Ma altro ci fu raccontato che a ragione faceva pensare al Cile di Pinochet.
Non dimentichiamo che la regia di tutto questo fu Gianfranco Fini!
S: Quest'anno ricorre il decennale dal Genoa Social Forum e dai terribili eventi che lo accompagnarono; Genova si stanno tenendo mostre, seminari e dibattiti per ricordare e per rilanciare la lotta per un "altro mondo possibile". Le nostre vicende personali ci hanno portato in Inghilterra, seppur per motivi differenti, dove continuiamo ad impegnarci nell'associazionismo e nella militanza politica (Carla al di fuori di strutture partitiche, ora) credendo che un diverso modello economico-sociale sia possibile e necessario.
Con questo nostro breve esercizio della memoria abbiamo voluto ricordare quei giorni, perche il tempo non cancelli quanto fatto e discusso da quel movimento di massa, pluarale, e perché le tattiche della politica contemporanea, di corto respire, non rimuovano le responsabilità di chi si adoperò per la sospensione della democrazia ed il massacro del dissenso.
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