giovedì 22 marzo 2012

Il presidente carrista che demolisce la Costituzione

Napolitano è il principale protagonista di questi ultimi mesi di governo. Lo riconoscono in molti, spesso con peana di elogio. Lo si è sostenuto a lungo anche a sinistra, grazie all'attivismo del Presidente si è tenuto in piedi il paese durante gli ultimi patetici mesi del governo Berlusconi, in piena emergenza spread.
Napolitano di fatto ha costretto Berlusconi alle dimissioni, facendogli le scarpe, parlando con i suoi ministri (Tremonti) all'insaputa del premier, nominando Monti senatore a vita per spianargli la strada per Palazzo Chigi. Possiamo solo immaginare lo scandalo l'avesse fatto un Presidente di altro colore politico.
Con la sua moral suasion e il suo potere ha di fatto costretto il PD a digerire il governo tecnico e a rinunciare alle elezioni. Il tutto con la scusa che non ci potevamo permettere le elezioni nel bel mezzo di un attacco speculativo, mentre in Spagna si andava con tutta tranquillità al voto. 
In realtà, era un disegno ben preciso, teso ad esautorare il corpo elettorale, da sempre considerato dall'aristocratico Napolitano come incapace di scegliere bene. D'altronde la sua ala migliorista era quella che se ne infischiava delle piazze, e puntava agli accordi di palazzo, anche con i peggio personaggi della prima Repubblica, a cominciare da Craxi. 
Ed ecco, finalmente, l'occasione di coronare il sogno di gioventù, un governo non tecnico ma super politico, frutto di un abile compromesso politico e supportato da una solida maggioranza in quanto tutti i partiti sono stati costretti dalle circostanze ad accettare il diktat del Quirinale.
Napolitano si è auto-eletto dominus dell'agone politico e non ha perso occasione per intervenire. Si è rifiutato di ricevere i sindaci della Val di Susa, non essendo sua compentenza, ma ha trovato il tempo di dire la sua sulla necessità di raggiungere un accordo sulla riforma del mercato del lavoro, un chiaro segnale alla CGIL di firmare, perchè altrimenti il governo andava avanti anche solo. Detto, fatto.
Il Presidente si è evidentmente dimenticato che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e non sul licenziamento, e mentre Monti&Fornero uccidevano l'art.18, lui spiegava che l'austerità è l'unica via per uscire dalla crisi. Naturalmente austerità per tutti, non per lui. Gonfio e tronfio di aver ridotto di pochi milioni il bilancio del Quirinale, dimentica di dirci che il suo bel Palazzo costa il doppio dell'Eliseo, che ha ben più funzoni, e 10 volte tanto la Presidenza della Repubblica tedesca.
Ma sono, in fondo, peccati di poco conto. Che volgarità rinfacciarglieli quando promuove ed avvalla riforme sulla pelle dei lavoratori. Quel che più turba è altro. Insieme al suo appello per l'austerità altrui, e il suo supporto tutto politico ad una riforma reazionaria del mercato del lavoro, il buon Napolitano ha garantito che l'Italia adotterà il pareggio di bilancio in Costituzione, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 
In realtà si tratta di un gravissimo attacco alla Costituzione democratica, assai peggiore di qualsiasi tentativo di riforma dei berluscones e che fa addirittura rimpiangere le picconate di Cossiga. La Carta non è e non può essere una camicia di forza che obbliga l'Italia presente e futura ad adottare politiche economiche neo-liberiste. Queste possono essere legittimamente attuate da governi, possibilmente eletti e non nominati dal Presidente. Ma non possono essere imposte ad esecutivi che, altrettanto legittimamente, vogliono intraprendere politiche economiche di altro stampo. Quella è, o almeno dovrebbe essere, una scelta che spetta agli elettori.
Napolitano invece vuole una Costituzione a sovranità limitata, che tanto gli ricorda la sua gioventù, in cui è già tutto deciso, in cui non c'è spazio per la concorrenza di idee e di programmi. A Novembre ha deciso lui, ben al di là di qualsiasi potere gli assegna la Costituzione. Ora avvelena i pozzi, per attrezzarsi al dopo Monti, quando il suo governo, forse, non ci sarà più, e si tornerà a votare. Ma senza aver la possibilità di scegliere. Ha già scelto lui per tutti, manco fosse a Budapest nel '56.
In un paese normale, questo sarebbe attentato alla Costituzione. 


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