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venerdì 26 aprile 2013

Il matrimonio di convenienza tra PD e PDL

di Nicola Melloni
da Liberazione

Guardando l’Italia di fine aprile 2013 sembra davvero di rivedere gli ultimi giorni di Weimar. Una classe politica ormai imbalsamata, incapace di decidere, rinchiusa nel Palazzo, mentre fuori soffia la bufera della crisi.
Un anno e mezzo fa il crollo della destra berlusconiana apriva praterie davanti ad un centro-sinistra impreparato, economicamente, culturalmente e politicamente a prendere l’iniziativa. In Italia la crisi economica era ormai anche crisi organica, di sistema, con la politica tutta incapace di rappresentare le diverse forze sociali, di governare il cambiamento, di organizzare la società. All’orizzonte allora si stagliava un governo di tecnocrati capitanati dall’ex eurocommissario Mario Monti che metteva sotto tutela il Parlamento e la Repubblica tutta, in nome dell’Europa e dei mercati. Non era Monti però il deus ex machina di questa operazione, ma Giorgio Napolitano che aveva imposto alle forze politiche un tale compromesso. Tant’è che per tutta la durata di quel governo il Presidente della Repubblica si incaricò di fare da tutor ad un Premier impacciato e ad un gruppo di ministri mediocre e assolutamente incapace. Facendosi garante di un equilibrio politico conservatore se non reazionario, di difesa dello status quo, di arroccamento su vecchi modelli consociativi, ignorando in maniera plateale le richieste di cambiamento. Esplicativa in questo senso la famosa battuta sul boom dei 5 stelle, ribadita nuovamente nella scelta dei saggi che escludevano il Movimento di Grillo per puntare tutto sulle forze sconfitte e decrepite della politica tradizionale.
D’altronde Napolitano ha usato tutto il potere a sua disposizione, e forse anche di più, per impedire la nascita di un governo di cambiamento, ribadendo anche quando fu dato l’incarico a Bersani che la strada maestra era quella della Grande Coalizione. Una scelta che, dopo l’illusorio tentativo di formare il governo, è stata poi fatta propria dal PD che prima ha tentato la carta Marini e poi è tornato appunto su Napolitano. Ma non è il “compromesso storico” tra due forze in ascesa, rappresentanti di grandi interessi sociali ed economici, ma un matrimonio di convenienza tra due forze politiche in ritirata, incapaci di interpretare il cambiamento, proprio come la SPD e la destra tedesca a inizio anni Trenta.
La scelta di Letta si adatta perfettamente a tale schema ed è in sostanziale continuità con quella di Monti. Un Primo Ministro che risponde direttamente al Quirinale e non al Parlamento, un uomo gradito a grandi imprese, banche, quella parte del Paese che ha portato l’Italia nella crisi attuale, che ha lucrato nella lunga stagione della Seconda Repubblica e che rifiuta il cambiamento. Di fronte ad una crisi epocale, con il vecchio sistema ormai morto e con il nuovo incapace di nascere, la soluzione Napolitano-Letta è un tentativo reazionario di salvare le vecchie classi dirigenti, di garantire i potentati economici, di reimpostare su basi regressive il contratto sociale – democrazia svuotata, diritti annacquati, indebolimento del lavoro. Per tornare a Gramsci, una rivoluzione passiva di stampo conservatore.
Quello che però non è chiaro è la reale solidità di queste forze, incapaci di proporre un qualsiasi disegno strategico, aggrappate più che altro al proprio interesse personale, emarginate dai grandi processi mondiali di ristrutturazione del potere e dell’economia. L’immagine della scorsa settimana di un palazzo assediato raffigura molto bene lo stato attuale della politica italiana. Il malcontento, la rabbia, la disperazione rischiano di esplodere da un momento all’altro e possono prendere qualsiasi forma. L’implosione del PD apre nuove possibilità di riorganizzazione per la sinistra ma allo stesso tempo la solo rimandata esplosione del blocco sociale berlusconiano potrebbe dare vita a formazioni politiche ancor più reazionarie con Grillo che al momento rischia di catalizzare la protesta. Come a Weimar, una politica legale ma ormai illegittima si rinchiude in se stessa mentre fuori il mondo cambia.

martedì 23 aprile 2013

Le strane intese di Napolitano

In un discorso auto-celebrativo e arrogante Napolitano ha accusato i partiti di immobilismo, incapacità, sterilità. Tutto vero, ma ci si potrebbe domandare, da che pulpito? Non ci sono dubbi che i partiti tradizionali siano ormai distaccati dalla realtà e che non sappiano rappresentare gli umori, le aspirazioni, le ansie e le preoccupazione degli italiani. Ma Napolitano non è calato da Marte, ha fatto parte di questo sistema ed ha anzi contribuito in maniera decisiva al suo collasso. La stella polare del suo primo mandato è stata la cosiddetta governabilità ed il rispetto degli impegni internazionali. Ma la democrazia non è mai stata presa in considerazione. Napolitano ha salvato Berlusconi una prima volta con una manovra di palazzo atta a prendere tempo. Poi davanti al fallimento politico del centrodestra ha legato mani e piedi al Parlamento impedendo il voto e organizzando un governo-pasticcio in cui tutti erano dentro mentre era la UE a dettare i programmi. Uno schiaffo in faccia all'elettorato, ripetuto millanta volte nei mesi successivi, con lo scherno dimostrato per i grillini, con le elezioni messe sub-judice dal Presidente che garantiva gli impegni presi al di là del parere dell'elettorato. E poi coi saggi, con gli appelli alla grande coalizione, etc etc...
E naturalmente, nel discorso di ieri ha nuovamente parlato di alleanze, ricordando come non ci sia nulla di male nel trovare intese e compromessi tra diverse forze politiche. E chi ne dubita? Il punto è con chi trovarle, queste intese. E soprattutto per fare cosa? Un conto è una intesa tra il PD e il M5S, che potrebbe concretizzarsi in concreti tagli agli sprechi, in maggior moralità pubblica, in una vera legge anti-corruzione, magari anche in un salario minimo di cittadinanza, ed in un minor potere delle lobby di affaristi che assediano la politica italiana. Tutt'altro discorso è cercare il dialogo con Berlusconi. In 20 anni di protagonismo politico, Berlusconi si è quasi solo occupato dei propri interessi - dalle leggi ad personam al conflitto di interessi - ed ha comunque dimostrato zero senso dello Stato, massimizzando solo i propri consensi elettorali, attirando in trappole prima D'Alema, poi Veltroni, poi Bersani. Solo nel suo esclusivo interesse. Quale possono essere le basi di tale compromesso, di tale alleanza?
A fine anni 70 ci fu una convergenza tra PCI e DC sulla base di equilibri politici che si speravano migliori: due grandi partiti popolari, portatori di interessi diversi ma a volte convergenti, in una situazione di democrazia bloccata. E le basi teoriche di questa alleanza si ebbero facendo un parallelo con la situazione cilena, con la possibilità che anche in Italia le forze della reazione avrebbero potuto spazzare via la democrazia. Nel 46 DC e PCI governarono brevemente insieme, c'era da ricostruire l'Italia post-fascista e le forze democratiche collaborarono per darsi una nuova Costituzione.
Ora non c'è nulla di tutto questo. Gi equilibri politici dati da una alleanza con la destra sono, nel migliore dei casi, regressivi. Sono due partiti in crisi - e non all'apice del loro successo, come nel 76 - incapaci di proporre formule politiche innovative, rinchiusi nel Palazzo, ed ora nel governo, solo per sopravvivere.
Il tutto mentre la crisi sta avanzando e richiede risposte radicali ed una nuova rappresentanza sociale degli emarginati, dei disoccupati, dei poveri, degli studenti. Una società in subbuglio ed un Palazzo chiuso in se stesso. Con la benedizione di Napolitano.

sabato 20 aprile 2013

No, Napolitano no!!!!

Forse era ormai inevitabile. Il PD non esiste più, la sua dirigenza si è liquefatta sotto il peso di decisioni assurde, nell'inevitabile redde rationem di un partito nato male, cresciuto peggio e morto oscenamente. Un partito di vecchi dirigenti che da 20 anni a questa parte ripetono la solita sceneggiata, a parole contro Berlusconi, salvo poi inseguirlo ogni volta. Anche davanti alla possibilità di eleggere un presidente anti-berlusconiano e pronto a dare l'incarico per un governo di cambiamento, il PD ha detto no. No, ci voleva uno dei suoi, perchè un partito nato per il potere deve prendersi tutti i posti. Peccato che un partito così diviso non sia nemmeno in grado di spartirsi i posti di potere. Ognuno gioca per sè. Bersani per avere un presidente che gli dia l'incarico - o forse no, ma sarebbe pure peggio, davvero non si capisce la virata su Berlusconi-Marini. Marini e i popolari per tornare al Quirinale dopo 14 anni. D'Alema perchè ci vorrebbe andare lui. Renzi per spazzare via il vecchio gruppo dirigente ed andare subito alle elezioni. Tutti contro tutti, fino a chè nessuno rimarrà in piedi.
Anzi, uno in piedi è rimasto. Napolitano, ora scongiurato da destra e sinistra per salvare il salvabile. Peccato che dietro tutto questo macello ci sia soprattutto la sua figura inquietante. Ripercorriamo velocemente la storia degli ultimi anni: nel 2010 concede 3 mesi di tempo a Berlusconi prima del dibattito parlamentare sulla fiducia dopo l'uscita di FLI. Risultato: da una sicura sfiducia si passa ad una fiducia comprata a forza di poltrone e maneggi. Nel 2011, nell'ora della caduta di Berlusconi, impone Monti ad una pese esterefatto, obbligando il PD a rinunciare ad un certo trionfo elettorale e si fa garante politico dell'inciucione. Ancora col sentito grazie di Berlusconi che riorganizza le truppe in un anno e mezzo di tregua e pareggia nel 2013. Nel frattempo Napolitano ne combina un pò di tutte, dichiarando prima delle elezioni che sarà garante degli impegni presi dall'Italia (leggi, fiscal compact) a prescindere dal risultato delle consultazioni - manco fossimo in una democrazia sotto sequestro. E negli ultimi mesi prima nega l'incarico pieno a Bersani, poi comincia a predicare le larghe intese - ruolo assolutamente non suo, che deve garantire tutti e non solo le sue parti - poi tenta di far ritornare in vita il cadavere di Monti poi tenta di esautorare il Parlamento nominando dei saggi che dovrebbero decidere di che riforme ha bisogno il paese.
Oggi accetta l'incarico di tornare Presidente, offerto all'unanimità da PD e PDL (con l'eccezione del povero Mineo).
Per la prima volta un Presidente tornerà al Colle. E sarà il Presidente peggiore di tutti. Quello che ha affossato il paese, salvato Berlusconi e tramato contro il PD e la sinistra. Un giorno di lutto.

sabato 6 aprile 2013

Caso Abu Omar: l'ennesima vergogna di Napolitano

Non ci sono ormai più parole per descrivere il comportamento di Napolitano. Il suo settennato si sta chiudendo con i fuochi artificiali: dopo aver tentato di aggirare il Parlamento, dopo aver nominato saggi che non sapevano neanche loro cosa fare, dopo aver sostenuto che il governo Monti fosse in piena carica, ha deciso di sparare un altro colpo e concedere la grazia a Joseph Romano, militare americano condannato per il rapimento di Abu Omar. In quella circostanza la CIA prelevò illegalmente Abu Omar, un "estremista islamico", cittadino italiano, e lo portò in Egitto dove fu torturato dalla polizia locale nella speranza di ottenere informazioni su possibili atti di terrorismo.
Una pratica squallida che negli USA era stata decretata legale da una amministrazione, quella di Bush, che faceva a brandelli lo stato di diritto moderno, reintroducendo sotto mentite spoglia la tortura. E che, in Europa, dove l'estradizione momentanea a fino, appunto, di tortura, non era ammessa, prendeva la forma di rapimento. Insomma, due atti illegali in uno, con la sovranità dell'Italia violata, con agenti americani che facevano quello che volevano all'estero. Questa da sempre è stata la linea difensiva degli USA: non potete condannare i nostri uomini che non stavano facendo nulla di male, secondo la nostra legge. Un'idea di diritto assai bizzarra, come se per loro valesse un diritto speciale, superiore alle leggi locali. Un'idea, evidentemente, condivisa in pieno da Napolitano.
Non contento Napolitano si rifà anche al  momento storico. Le pratiche di rapimento e tortura erano ingiuste e illegittime ma, in fondo, c'è da capire lo stato d'animo degli americani, attaccati sul loro territorio. Insomma, contestualizziamo i crimini. La tortura non va bene, ma in alcune circostanze è, forse, comprensibile - chissà, magari lo era anche a Bolzaneto dove gli agenti di polizia carceraria erano sottoposti certo al grande stress psicologico dei giorni del g8.
Almeno così facciamo contento Obama. Un bell'atto di servilismo per ristabilire il nome dell'Italia nel mondo. Che questo avvenga graziando rapitori e parzialmente giustificando le pratiche di tortura, poco conta. Tanto si sa, in Italia la rule of law è una barzelletta.
Napolitano chiude così la sua carriera politica riscoprendo gli amori e gli ardori della sua gioventù, quando brindava ai militari sovietici che intervenivano in Ungheria. L'idea di diritto e di democrazia del Presidente è certamente coerente con quella di allora. La legge del più forte, la democrazia a sovranità limitata.

lunedì 1 aprile 2013

La "saggezza" di Re Giorgio

E così Napolitano si sarebbe scelto i saggi per rilanciare l'azione riformatrice del Parlamento - anche se non risulta che l'agenda politica del paese debba essere fissata dal Presidente della Repubblica, certo almeno non in una Repubblica parlamentare.
Una forzatura costituzionale - l'ennesima - che può forse essere giustificata con il grave momento di impasse politica ed istituzionale, di cui per altro Napolitano porta una gran parte di responsabilità. In realtà però, come è ormai chiaro, la mossa dei saggi è un escamotage per rilanciare la grande coalizione, che da quasi due anni è la vera ossessione del Presidente. Basta guardare la composizione per rendersi conto di cosa stiamo parlando. Tra i "riformatori" ci sono parlamentari - italiani ed europei - che siedono tra le fila del PD (Violante, quello del discorso alla Camera sulle garanzie extra legem date a B. sulla difesa delle sue reti televisive), PDL (Quagliariello - quello degli "assassini" di Eluana, ora trasformato in saggio...) e Monti (Mauro) più un finto esterno come Onida - già candidato a sindaco di Milano per il centrosinistra e protagonista negli ultimi giorni di numerosi interviste contro la cosiddetta ineleggibilità di Berlusconi. Insomma, le prove generali di un mega inciucio che esclude il M5S e il resto della società civile. Bel colpo, non c'è che dire.
Pure peggio tra i saggi economici, tutte persone provenienti dall'establishment, nessuna voce fuori dal coro (che so, un Gallino, un Rodotà) o rappresentante di altri tipi di interesse economici, non ci sono uomini del sindacato ma neanche delle imprese (che comunque sono spesso difese....). Ci sono solo uomini di palazzo, quel pezzo di classe dirigente collettivamente colpevole del disastro italiano. Non certo la maniera migliore di ripartire.

domenica 31 marzo 2013

Il governo della non fiducia e la risurrezione di Monti

Tartufesco è il termine più educato che mi viene in mente per descrivere il comportamento del Presidente della Repubblica. Invece di dimettersi per aprire una nuova fase rimane ostinatamente attaccato alla poltrona non tanto per sete di potere, quanto piuttosto per voler decidere personalmente in che direzione deve andare il paese. Costringendo le forze politiche - soprattutto il PD che ha di nuovo, assurdamente, abbassato la testa di fronte alle pretese del Colle - a seguire l'agenda di Napolitano. Le sue dimissioni avrebbero in parte sbloccato lo stallo attuale, a prescindere dal nome che sarebbe potuto venir fuori per la successione. Il nuovo Presidente, senza una maggioranza, avrebbe potuto sciogliere le Camere, Napolitano non può e dunque costringe il Parlamento a funzionare senza una maggioranza politica, cioè senza un vero governo.
Ed allora, il colpo di teatro, ma potremmo tranquillamente chiamarlo colpo di mano e forse pure colpo di stato. Monti rimane operativo perché, nelle parole del Colle, non sfiduciato! Ma di cosa stiamo parlando? Quel governo era figlio di un altro Parlamento e pensare che possa governare - addirittura prendere decisioni economiche importanti - senza un nuovo voto di fiducia equivale, senza giri di parole, ad aver messo in naftalina le elezioni e dunque ad abbandonare la democrazia rappresentativa e parlamentare. Un escamotage osceno per tenere in piedi quella sorta di grande coalizione che Napolitano continua a perseguire nonostante gli elettori gli abbiano detto no. E con in più un gruppetto di "nomi" per le riforme, molti dei quali quasi impronunciabili (Mauro, Quagliariello, Violante, etc..) figli di un sistema marcio e che, su quelle fondamenta erose vorrebbero costruire una nuova architettura politico-istituzionale.
E così continua la triste storia del Paese. Monti, crocifisso dagli elettori, ucciso (leggi, sfiduciato!) politicamente dal Pdl a Dicembre, che non ha avuto la sfiducia del vecchio Parlamento solo perchè si è dimesso prima, torna ora in vita, a Pasqua, senza la fiducia delle nuove Camere, cioè degli elettori, grazie al divino intervento di Napolitano. Cose mistiche, ma che con la democrazia non hanno nulla a che fare.

mercoledì 13 marzo 2013

Il Caimano e il Presidente

Eccolo di nuovo, l'immancabile Napolitano. Davanti alla gazzarra organizzata dal PdL a Milano decide di fare il cosiddetto super partes, un colpo al cerchio e uno alla botte, tanto per non farsi mancare mai nulla. Nessun sospetto di accanimento giudiziario è possibile, ma allo stesso tempo è comprensibile la preoccupazione di Berlusconi e i suoi. E la magistratura stia attenta a non sconfinare.
In cosa abbia sconfinato, non si sa. De Gregorio ammette di aver preso soldi per cambiare casacca e sul possibile giro di prostituzione di Arcore - supportato da diverse testimonianze - pare davvero che non si possa non far luce.
Qui l'unico problema sono le minacce di B. Che potrà anche essere arrivato secondo, ma rimane un cittadino che si deve sottoporre al giudizio della magistratura e che, in ogni caso, non sarebbe neppure eleggibile - in tanti firmano su Micromega ma il PD è sordo da quell'orecchio.
Napolitano ha permesso il ritorno in campo di B. grazie al governo tecnico e ora cerca in tutte le maniere di ridargli una sedia al tavolo delle trattative politiche da cui era stato escluso. Addirittura invoca il legittimo impedimento, proprio mentre B. organizza trame e progetti eversivi e sembra davvero giunta l'ora del Caimano. Ed invece di reazioni sdegnate riceve comprensione. Napolitano non ha ancora capito che il suo ruolo non è quello di garante del sistema politico ma di garante la Costituzione, che B. e i suoi strattonano e offendono.
Prima se ne andrà Napolitano, meglio sarà per il Paese.


domenica 3 marzo 2013

Napolitano, il responsabile

Responsabile di che, però, ci sarebbe da domandarsi. 
Per i giornali, soprattutto per il Corrierone, Napolitano è l'ancora del Paese, quello che tiene ferma la rotta della governabilità. Che, non facendosi prendere da isterismi da campagna elettorale non dimentica l'interesse dell'Italia - e tantomeno i suoi impegni internazionali. 
Quello, in fondo, che ha fatto per l'ultimo anno e mezzo quando davanti allo spread galoppante e alla crisi politica del dopo-Berlusconi ha trovato una soluzione non partigiana ma che garantisse la credibilità dell'Italia. Responsabile verso il Paese, dunque.
Oppure, si potrebbe dire che proprio per questo suo intervenire, Napolitano è si responsabile, ma della attuale crisi politica. Il suo intervento ha portato ad un orribile pasticcio, un governissimo senza alcun mandato popolare che ha peggiorato l'economia e fatto incazzare gli Italiani più di quanto già non fossero - Italiani che si sono puntualmente ribellati ad una politica di palazzo che non tiene in conto i loro bisogni.
Ed ora, da vero responsabile, Napolitano potrebbe provarci ancora, negando la possibilità di un governo di minoranza a guida PD (e perché? provarci almeno si può...) e cercando di riformare, nuovamente, una maggioranza improbabile (PD-PDL), sempre in nome della governabilità, che farebbe affondare definitivamente l'Italia ed esaspererebbe i cittadini. 
Forse, da vero responsabile, potrebbe dimettersi, passare la mano, fare si che si formi una maggioranza sulla Presidenza ed avere un nuovo Capo dello Stato con pieni poteri, inclusi quello di sciogliere le Camere.

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sabato 23 febbraio 2013

Ingroia, Napolitano e il rispetto delle istituzioni

A leggere certi giornali e a sentire i discorsi dei dirigenti del PD e pure di SEL, sembra che Ingroia, Di Pietro e quelli di Rivoluzione Civile siano degli estremisti senza rispetto delle istituzioni ed è per questo che è stata chiusa loro la porta in faccia. Il nodo del problema, naturalmente, è stato il rapporto con Napolitano - intercettato dall'Ingroia magistrato e contestato da Di Pietro sia per il suo ruolo nella nascita del governo Monti, sia proprio per l'affaire intercettazioni.
In breve. Sul caso politico Di Pietro- Napolitano c'è poco da dire. A detta di tutti i commentatori Napolitano ebbe un ruolo attivissimo nella creazione del governo Monti, non a caso definito governo del Presidente anche sul Corriere della Sera, suo grande sponsor. Ruolo non anti-costituzionale ma che forza moltissimo le competenze del Presidente. E che lo mette, di fatto, al centro dell'agone politico, abbandonando il suo ruolo di super partes. Inevitabile dunque che, allo stesso tempo, la Presidenza finisca nella polemica. Ci mancherebbe pure altro!
Per quanto riguarda la vicenda giudiziaria, la cosa è più complessa. Napolitano finì casualmente e non premeditatamente nelle intercettazioni del pool anitmafia di Palermo perchè si intratteneva allegramente in conversazioni telefoniche con Nicola Mancino, già ministro dell'Interno e Presidente del Senato, indagato per la trattativa Stato-Mafia in concomitanza con le stragi di Capaci e via D'Amelio. Venuto a conoscenza del fatto Napolitano si rivolse immediatamente alla Corte Costituzionale perché le intercettazioni che lo riguardavano venissero immediatamente distrutte, altrimenti le sue prerogative sarebbero state lese. Quali prerogative non si sa, nè lo ha spiegato la Corte Costituzionale nella sua confusa e contestata sentenza con cui dava ragione al Quirinale.
Il punto però, ahimè, è un altro. E' lesa maestà contestare l'operato del Colle? E' un attacco alle istituzioni pretendere di sentire intercettazioni che possono essere importanti non per un presunto reato di Napolitano - per quello c'è ovviamente una procedura a parte - ma per il risultato del processo? A me pare una tesi davvero insostenibile. Non da giurista, da cittadino che pretende una politica trasparente ed onesta - se no diventa poi difficile contrastare chi vuole mandare tutti a casa. Il problema non può mai essere chi intercetta un politico indagato, il problema semmai è chi ci parla e perché ci parla con un politico indagato! Perchè Napolitano parlava del processo - e non di come si coltivano le mammole - con Mancino? Un Mancino accusato anche da diversi boss mafiosi ma comunque innocente fino a prova contraria, sia chiaro. Che però ha un ruolo ambiguo, che si trincera, con gli inquirenti, dietro degli assurdi non ricordo - lui Ministro dell'Interno durante le stragi.

Insomma, il comportamento di Napolitano è stato poco conveniente. Ma ancora meno conveniente è stato aprire il conflitto con la magistratura palermitana che, fino a prova contraria, è una istituzione pure essa. Un conflitto che si basa sui privilegi del Colle mentre l'interesse dell'Italia, che dovrebbe essere il solo a cuore del Presidente, è che si faccia luce completa sui rapporti Stato-Mafia. Rapporti che ci sono stati, che molti politici ormai neanche più negano, ma di cui ancora non sappiamo nulla - un segreto di Stato, un affare per pochi eletti che hanno una idea della democrazia alquanto privata.
Ed allora ben venga una rivoluzione civile non per far saltare in aria le istituzioni della Repubblica, ma anzi per ridare loro dignità, per metterle al servizio dei cittadini, per ripulire lo Stato. Ricordandosi sempre che il rispetto e la fedeltà la si deve alle istituzioni e non a chi le ricopre.


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mercoledì 20 febbraio 2013

Napolitano, il PD e lo spettro di Berlusconi




Uno spettro si aggira per l'Italia. Ha tutto da perdere e noi abbiamo tutto da guadagnarci (dalla sua sconfitta) - è lo spettro di Silvio Berlusconi. Se non uno spettro, quantomeno uno zombie. Era politicamente morto e sepolto non più di qualche mese fa. La sua maggioranza, larghissima, si era sfaldata sotto il peso di scandali sessuali, incompetenza economica, dilettantismo politico. Il Pdl era allo sbando, diviso in mille correnti. Nessuno se non una schiera di amazzoni (chiamiamole così per carità di patria...) era più disposto a difenderlo, Crosetto lo insultava al telefono, gli ex An gli facevano la faida interna, pronti a tornare a fare i fascisti senza doppio petto. Insomma, sembrava davvero game over.
In una democrazia normale si sarebbe votato alla caduta di quel malaugurato governo, come si è fatto in Spagna, in Portogallo, in Irlanda e, pensate un po', persino in Grecia, due volte. Ma no, lo spread era troppo alto. Era alto anche in quegli altri paesi però. Col senno di poi si può dire che i tassi di interesse sono scesi col governo Monti, vero, ma sono scesi pure in tutti gli altri PIGS, anche con maggioranze instabili, con elezioni bis, con scandali politici. Insomma, se non è crollata la Grecia, se la Spagna sopravvive, se il Portogallo è ancora nell'Euro si può con certezza dire che non sia per merito di Monti, ma forse, invece di Draghi. Col senno di poi sono capaci tutti. Ma in tanti eravamo capaci anche col senno di prima. Votare si poteva - è incontestabile, ora - e si doveva. Si doveva per rispetto degli elettori e della democrazia. E si doveva perché bisognava sbarazzarsi di Berlusconi. Soprattutto se si va in giro a dire che la crisi italiana è figlia di Silvio B. Ed allora non si poteva governare con lui. E non si poteva dargli l'occasione di riorganizzare le truppe, stare al coperto per un anno e poi tornare alla carica come unica e vera opposizione dell'assai impopolare governo Monti. Opposizione che non è mai stata fatta, ma tant'è. 
Come diceva Mao, bastonare il cane che affoga. Analogia un pò dura, ma decisamente a proposito. Peccato che invece s sia messo di mezzo Re Giorgio con i suoi intrighi e colpi di palazzo. Il governo del Presidente, per passare alla storia come il salvatore dell'Italia. Mentre rischia di essere quello che ha permesso il ritorno del morto vivente, di Berlusconi, del padre di tutti i mali del Paese - anche se è davvero conveniente dimenticare come in questi 19 anni al governo ci sia stato anche il PD e i suoi antenati che qualche colpa dovrebbero pur prendersela e qualche autocritica dovrebbero pur farla. 
Invece ora, dopo aver rianimato, per l'ennesima volta, Berlusconi con una respirazione bocca a bocca, manco fossero una delle olgettine, dopo aver votato leggi orribili d'accordo con Monti e con B. stesso, dopo aver buttato l'Italia in recessione, ecco, dopo tutto questo ci chiedono di nuovo un voto basato solo sulla fiducia e sulla paura dello zombie.
Ma siamo seri. L'unico vero voto utile è contro chi ha permesso questo sfacelo. Votare per chi non voleva Monti, per chi non ha mai fatto inciuci con Berlusconi, per chi le cose le vuole cambiare davvero. Votare non per paura, ma per speranza. 


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venerdì 21 dicembre 2012

Il senso degli italiani per il ridicolo: Monti tra gli operai e la farsa di fine regime

Lo diceva già Marx, la storia si ripete sempre, prima come tragedia e poi come farsa. E l'Italia di fine 2012 sembra una patetica, farsesca copia di un paese socialista degli anni 70. 
Le ultime uscite della politica italiana sconfinano nel ridicolo, se non peggio. Aveva iniziato il popolo della libertà con finte convention in cui venivano deportati anziani ignari in giro per funghi, alla moda dei pionieri sovietici. Ma Monti ha fatto, se possibile, anche peggio. Per annunciare il suo ingresso in politica è addirittura sceso a parlare tra gli operai ammaestrati di Pomigliano, scene che ricordano da vicino Honecker e la nomenklatura della vecchia DDR, accolta in fabbriche festanti presidiata da polizie e spie del regime. Andare a Pomigliano è il massimo di cattivo gusto possibile, in una fabbrica dove sono stati negati i diritti sindacali di chi non è d'accordo, dove si impose un referendum ricattatorio per demolire i sindacati recalcitranti, dove Marchionne ha cercato di riassumere solo gli operai a lui fedeli, quelli che ieri, bravi bravi, si son messi come tanti soldatini ad applaudire Monti. La claque organizzata dal capo-fabbrica per applaudire il segretario generale in visita, robe da oltre-cortina (di ferro, anche se Monti è più abituato alle Alpi). 
E d'altronde il trend di regressione prosegue: i leader politici girano circospetti, paurosi del popolo. E per chi protesta ormai ci son solo botte. Qualsiasi forma di contestazione viene vissuta come eversione, come attentato allo Stato. E tutto ciò in fondo ha senso: la nostra Costituzione è stata riscritta per imporre una certa visione del mondo, non diversamente dalle Costituzioni socialiste. Allora il socialismo, qui ed ora il liberismo. E quindi chiunque non sia liberale è contro la Costituzione! Non basta: anche noi ormai siamo diventati un Paese a sovranità limitata, come l'Ungheria di un tempo: una volta le decisioni si prendevano a Mosca, oggi a Bruxelles e Berlino.
Ed infine abbiamo Napolitano che ormai si crede Ceaucescu (per fortuna al netto della Securitate, appunto più farsa che tragedia), una sorta di sovrano intoccabile, al di sopra della legge come lo erano, una volta, i leader comunisti. Lui è immune dalle leggi tradizionali e chi parla con Lui, anche se sotto indagine e con i telefoni controllati, non può essere ascoltato. Trattasi, se capiamo bene, di cittadino al di sopra di ogni sospetto, e quindi di ogni legge. E per di più amante di intrighi e segreti, invece di spingere per la verità sulla trattativa Stato-Mafia, si intrattiene al telefono con un indagato.
Il tutto puzza di vecchio, marcio, decomposto. Come lo erano quei regimi, che fecero una fine ingloriosa. Occhio.


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giovedì 22 marzo 2012

Il presidente carrista che demolisce la Costituzione

Napolitano è il principale protagonista di questi ultimi mesi di governo. Lo riconoscono in molti, spesso con peana di elogio. Lo si è sostenuto a lungo anche a sinistra, grazie all'attivismo del Presidente si è tenuto in piedi il paese durante gli ultimi patetici mesi del governo Berlusconi, in piena emergenza spread.
Napolitano di fatto ha costretto Berlusconi alle dimissioni, facendogli le scarpe, parlando con i suoi ministri (Tremonti) all'insaputa del premier, nominando Monti senatore a vita per spianargli la strada per Palazzo Chigi. Possiamo solo immaginare lo scandalo l'avesse fatto un Presidente di altro colore politico.
Con la sua moral suasion e il suo potere ha di fatto costretto il PD a digerire il governo tecnico e a rinunciare alle elezioni. Il tutto con la scusa che non ci potevamo permettere le elezioni nel bel mezzo di un attacco speculativo, mentre in Spagna si andava con tutta tranquillità al voto. 
In realtà, era un disegno ben preciso, teso ad esautorare il corpo elettorale, da sempre considerato dall'aristocratico Napolitano come incapace di scegliere bene. D'altronde la sua ala migliorista era quella che se ne infischiava delle piazze, e puntava agli accordi di palazzo, anche con i peggio personaggi della prima Repubblica, a cominciare da Craxi. 
Ed ecco, finalmente, l'occasione di coronare il sogno di gioventù, un governo non tecnico ma super politico, frutto di un abile compromesso politico e supportato da una solida maggioranza in quanto tutti i partiti sono stati costretti dalle circostanze ad accettare il diktat del Quirinale.
Napolitano si è auto-eletto dominus dell'agone politico e non ha perso occasione per intervenire. Si è rifiutato di ricevere i sindaci della Val di Susa, non essendo sua compentenza, ma ha trovato il tempo di dire la sua sulla necessità di raggiungere un accordo sulla riforma del mercato del lavoro, un chiaro segnale alla CGIL di firmare, perchè altrimenti il governo andava avanti anche solo. Detto, fatto.
Il Presidente si è evidentmente dimenticato che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e non sul licenziamento, e mentre Monti&Fornero uccidevano l'art.18, lui spiegava che l'austerità è l'unica via per uscire dalla crisi. Naturalmente austerità per tutti, non per lui. Gonfio e tronfio di aver ridotto di pochi milioni il bilancio del Quirinale, dimentica di dirci che il suo bel Palazzo costa il doppio dell'Eliseo, che ha ben più funzoni, e 10 volte tanto la Presidenza della Repubblica tedesca.
Ma sono, in fondo, peccati di poco conto. Che volgarità rinfacciarglieli quando promuove ed avvalla riforme sulla pelle dei lavoratori. Quel che più turba è altro. Insieme al suo appello per l'austerità altrui, e il suo supporto tutto politico ad una riforma reazionaria del mercato del lavoro, il buon Napolitano ha garantito che l'Italia adotterà il pareggio di bilancio in Costituzione, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 
In realtà si tratta di un gravissimo attacco alla Costituzione democratica, assai peggiore di qualsiasi tentativo di riforma dei berluscones e che fa addirittura rimpiangere le picconate di Cossiga. La Carta non è e non può essere una camicia di forza che obbliga l'Italia presente e futura ad adottare politiche economiche neo-liberiste. Queste possono essere legittimamente attuate da governi, possibilmente eletti e non nominati dal Presidente. Ma non possono essere imposte ad esecutivi che, altrettanto legittimamente, vogliono intraprendere politiche economiche di altro stampo. Quella è, o almeno dovrebbe essere, una scelta che spetta agli elettori.
Napolitano invece vuole una Costituzione a sovranità limitata, che tanto gli ricorda la sua gioventù, in cui è già tutto deciso, in cui non c'è spazio per la concorrenza di idee e di programmi. A Novembre ha deciso lui, ben al di là di qualsiasi potere gli assegna la Costituzione. Ora avvelena i pozzi, per attrezzarsi al dopo Monti, quando il suo governo, forse, non ci sarà più, e si tornerà a votare. Ma senza aver la possibilità di scegliere. Ha già scelto lui per tutti, manco fosse a Budapest nel '56.
In un paese normale, questo sarebbe attentato alla Costituzione. 


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