martedì 16 ottobre 2012

Regno (Dis)Unito

di Nicola Melloni

Dopo due anni e mezzo di governo di coalizione i nodi stanno venendo tutti al pettine. C’era da aspettarselo d’altronde. Il programma dei Conservatori era chiaro fin dall’inizio: tagli, tagli, ancora tagli. E licenziamenti di massa nel settore pubblico. L’obiettivo era (ed è) ridurre deficit e debito con la speranza che il settore privato crescesse e rilanciasse, allo stesso tempo, l’occupazione. La spiegazione: accrescere la fiducia dei mercati con comportamenti di spesa pubblica virtuosi.
Ma si tratta di un classico esempiO di voo-doo economics. I tagli, l’austerity, riducono il Pil, ci sono meno soldi in circolazione, i licenziati riducono il proprio consumo ed il paese entra in recessione. Il settore privato si comporta esattamente all’opposto di quello predetto dagli apprendisti stregoni conservatori, invece di investire rallenta, giustamente preoccupato da consumi troppo bassi. Non si tratta nemmeno di crisi di liquidità del settore finanziario: semplicemente le aspettative degli imprenditori sono negative, grazie soprattutto alla cura di Cameron e Osborne. E’ una storia che, ovviamente, in Europa abbiamo già visto diverse volte, dalla Grecia, alla Spagna all’Italia. Ma sotto molti aspetti la situazione britannica è ancora più grottesca e paradossale. Infatti, grazie all’esistenza della Banca d’Inghilterra e al suo costante interventismo, i tassi di interesse inglesi non sono mai stati sotto pressione. Questo avrebbe ovviamente permesso al governo una ben maggiore libertà di manovra nella politica fiscale. Che non c’è stata, confermando in maniera inequivocabile che l’austerity non è una coincidenza, ma un programma ideologico. La cosa preoccupante è però il totale distacco dalla realtà di cui sono vittime questi pseudo-liberali. Uno può anche essere convinto dell’importanza del mercato, ma dovrebbe avere almeno l’umiltà di confrontarsi con i dati di fatto. L’austerity contraddice qualsiasi rispettabile dottrina economica della crisi – i tentativi di dare una spiegazione teorica coerente ai tagli si sono rivelati infruttuosi nel migliore dei casi. Ma non è certo quello il problema. Quando i Conservatori hanno preso il potere a Downing Street l’economia era in flebile risalita dopo il tracollo del 2008 e 2009. A forza di tagli invece il governo è riuscito a rimettere il paese in recessione già alla fine del 2010 e, dopo un breve rimbalzo, di nuovo da fine 2011 fino ad oggi. Qui non ci sono idee o ideologie che tengano, ma solo la dura realtà dei fatti. Ed invece, nulla. Si continua ad andare avanti come nulla fosse, anzi, si raddoppia. Perché ovviamente, nonostante i tagli, deficit e debito non diminuiscono, anzi proprio a causa della recessione indotta da quei tagli, la raccolta fiscale si riduce col bel risultato che l’economia reale va in malora insieme ai conti pubblici. Un disastro totale che va avanti ad oltranza. E’ di pochi giorni fa, infatti, l’annuncio di Cameron che il governo inasprirà i tagli, cominciando ad attaccare direttamente il welfare. D’altronde, in questa logica perversa, bisogna continuare a tagliare le uscite se le entrate scendono. Peccato che poi le entrare, a causa dei tagli, scenderanno ancora, in un infinito circolo vizioso. In realtà ci troviamo di fronte ad un articolato piano di lotta di classe, come non era successo neanche ai tempi della Thatcher. Iva più alta, tagli agli aiuti alle famiglie con figli a carico, ristrutturazione della spesa sanitaria, tasse universitarie triplicate, mentre l’anno scorso si sono ridotte le tasse per i più ricchi («erano inutili, davano poche entrate» - ed allora perché cancellarle?) e quest’anno non si prende nemmeno in considerazione la timida richiesta dei LiberalDemocratici di mettere una tassa sulle case di più alto valore, la cosiddetta “mansion tax” («una tassa figlia di una logica di risentimento sociale» – che faccia tosta!). Giù le mani dai soldi dei ricchi, ma facciamo pagare tutto e di più ai poveri.

Lotta di classe condita con un po’ di sciovinismo dal sapore razzista. Prima l’inverecondo attacco agli studenti stranieri che ha scandalizzato anche l’Economist, quando a settembre l’agenzia di frontiera ha revocato il permesso alla più grande università del paese, LondonMet, di rilasciare visti per studenti extra-europei, minacciando di deportare di forza giovani di tutto il mondo magari al terzo anno di studio e vicini alla laurea, dopo aver pagato fior fiore di tasse. Ed ora Cameron che chiede di rivedere la libertà di movimento dei lavoratori dentro la Ue, unica vera maniera per ridurre gli immigrati a Londra – in barba a tanto supposto liberalismo. Un vecchio classico, in fondo: guerra tra poveri, identificazione di un supposto nemico esterno (gli immigrati), e spostamento delle risorse dal lavoro al capitale. Purtroppo, davanti a cotanto accanimento di classe, l’opposizione rimane prevalentemente muta. I laburisti, privi di un vero programma alternativo, si accontentano di proporre palliativi. I sindacati hanno finalmente deciso di organizzare una manifestazione di protesta per il 20 ottobre, ma non hanno ancora indetto uno sciopero generale, anzi nel corso di questi anni hanno organizzato solo rari scioperi settoriali con il bell’effetto di dividere invece che unire i lavoratori. Ancora non ci si rende conto che quella dei conservatori è una vera e propria battaglia di (in)civiltà cui non si può continuare a contrapporre una versione ammorbidita, delle loro politiche, un liberal-socialismo che proprio a Londra ha visto le sue pagine più buie, le sue sconfitte più crude. I laburisti potranno anche vincere, forse, le prossime elezioni, grazie alla barbarie, la superficialità e l’incompetenza dei Tories. Ma non basterà quello per voltare pagina ed uscire da una crisi che sta ridefinendo l’intero volto del capitalismo del XXI secolo.

Fonte: Ombre Rosse, n.15
http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2012/10/13/27132-finestra-internazionale-regno-disunito/

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