da Liberazione
La discesa di Monti nella politica elettorale può essere vista come una svolta positiva. Ora le politiche tecnocratiche saranno sottoposte al giudizio dei cittadini, che, in fondo, rappresenta, l’alfa e l’omega di ogni vera democrazia. Peccato solo che, come quasi sempre, soprattutto in Italia, la campagna elettorale diventi un calderone di promesse vaghe in cui far entrare di tutto e di più. Aveva già iniziato il PD con il manifesto progressista che dovrebbe tenere dentro Vendola e Galli (iperliberista già direttore generale di Confindustria), proclamando contemporaneamente grande attenzione per il lavoro e, almeno da parte di Bersani, un netto rifiuto al referendum sulla riforma del lavoro.
Monti si pone su una linea ovviamente più moderata rispetto al PD ma non particolarmente diversa nella sostanza. Non è un caso se i democratici, anche nella tensione della competizione, continuino un giorno si e l’altro pure a parlare di accordo post-elettorale. Tant’è che comunque Monti si descrive addirittura come “progressista” in contrapposizione ai conservatori, tipo la FIOM e la CGIL, anche se forse sarebbe meglio descriverlo come “regressista” perché il cambiamento che propone è un ritorno indietro a periodi solo parzialmente democratici, con meno diritti e meno spazi cittadinanza.
Qualche sorpresa la riserva comunque anche l’agenda Monti, almeno
nella sua ultima versione, con una rivisitazione di IMU e IRPEF (non si
sa bene cosa sia cambiato nell’economia italiana da quando Monti si è
dimesso, ma tant’è) e l’introduzione di un reddito di cittadinanza
(ottima enunciazione, il problema però è come la si declina nel reale).
Anche sull’Europa (che per ora è clamorosamente assente dal
dibattito politico) Monti sembra, a parole, voler andare oltre quello
che abbiamo visto in un anno di governo. Anno di governo, ricordiamolo,
all’insegna del famoso “podestà straniero”, con le riforme che le vuole
l’Europa, col fiscal compact che vuole l’Europa, col pareggio di
bilancio in costituzione che, ci mancherebbe, ce lo ha chiesto l’Europa.
Ma ora scopriamo che anche noi siamo parte della UE e quindi dovremmo
avere qualcosa da dire. Meglio tardi che mai. Cosa dovremmo dire rimane
però piuttosto nebuloso. Si parla di crescita, questa sconosciuta, ma
senza dire come la si possa ottenere in un contesto di rigore e
austerity. Si chiede un’Europa più integrata (unione bancaria e fiscale)
ma non si capisce come la si possa fare se non sottraendo altre quote
di sovranità a discapito della democrazia. Non si parla, invece, dei
problemi strutturali dell’Unione Europea che sono quelli che hanno
causato la recente crisi italiana, al di là delle criticità di fondo
della nostra economia. Non si citano, ad esempio, lo sbilanciamento
della competitività tra Sud e Nord Europa che non può essere risolto
semplicemente con una svalutazione interna dei PIIGS. Né si comincia a
discutere di cambiamenti drastici nella governance istituzionale della
UE, a cominciare dalla concertazione delle politiche economiche e del
controllo politico della banca centrale, cosa che anche il
conservatorissimo nuovo governo giapponese si propone di fare. E dunque
alla fine rimaniamo con l’unica vera agenda che conti, quella di
Schauble, che esautora i parlamenti nazionali europei a favore di quello
tedesco che dovrebbe approvare i piani di salvataggio (e le coseguenti
politiche economiche) mentre gli stati in difficoltà dovrebbero
accettare il tutto senza fiatare. E che dunque rende ridondanti i
programmi elettorali, perché le decisioni fondamentali verranno prese
sotto dettatura di Bruxelles e soprattutto di Berlino. Ma in fondo,
perché sorprendersi del silenzio di Monti su questo punto? Senza
l’agenda Schauble lui sarebbe ancora alla Bocconi.fonte: http://www.liberazione.it/rubrica-file/Agenda-Monti-o-agenda--Schauble-.htm
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