di Nicola Melloni
da Liberazione
Obama ha infatti proposto una legge con cui regolarizzare gli oltre 11 milioni di immigrati illegali che ci sono in questo momento in America. Questi immigrati sono a tutti gli effetti cittadini di serie B (anzi, non cittadini!), non godono di praticamente nessun diritto e non possono neppure vedere le proprie famiglie, che non possono entrare in America mentre loro non possono uscire, se non a rischio di rimanere bloccati fuori. Una soluzione intollerabile per un paese civile e che pure ci siamo quasi abituati a considerare normale in questi ultimi tragici anni. Persone che stanno insieme a noi, lavorano, ma diventano invisibili quando si tratta di avere qualche minimo diritto. E che cerchiamo di tenere lontani in tutte le maniere possibili, affondando navi, organizzando ronde (da Bologna alla Grecia), bloccando pure il trattato di Schengen, oppure costruendo muri e reti come in America.
Obama ha detto basta e con una sola mossa ha rivoltato come un calzino la politica dominante sull’immigrazione, basata sull’esclusione del diverso.
Infatti, quello che la Casa Bianca propone di fare è di regolare la posizione degli immigrati illegali che ne abbiano diritto – cioè che non abbiano precedenti penali tali da impedire la domanda di cittadinanza. Agli immigrati verrebbe offerto un visto temporaneo di 4 anni, rinnovabile per altri 4, che dovrebbe poi portare alla famosa green card. Regolarizzazione vuol dire diritti e doveri, come per tutti gli esseri umani facenti parte di un consesso civile, e non solo obblighi e sfruttamento come è stato per gli immigrati “invisibili”.
Obama, dunque, sta rilanciando una politica kennediana che mette al centro i nuovi diritti civili e la creazione di un nuovo patto sociale. Una politica che vuole smuovere una società per anni, decenni, arroccata su se stessa e che ha perso le proprie radici. Che affondavano invece proprio nell’immigrazione e nell’inclusione. Quella che una volta era the land of the free (la terra della libertà) stava diventando una nazione che negava libertà e diritti, quello che era the home of the brave (la patria dei coraggiosi) si stava trasformando in un paese pervaso dalla paura, che erge muri contro i “barbari alle porte”. Obama invece vuole ritornare all’America che si apre, proprio mentre l’Europa si chiude e viene di nuovo pervasa da scosse nazionaliste, dal ritorno prepotente dei fascismi e dell’autoritarismo, un’Europa incapace di progettare una nuova società, in cui la politica ha abdicato in favore dei mercati e della burocrazia.
Obama inverte questa rotta. Non illudiamoci, è un percorso difficile. La stessa legge sull’immigrazione sembra aver poche possibilità di passare in un Congresso dominato dai Repubblicani. Il Presidente ha però il merito di provarci, ma soprattutto di sparigliare le carte della politica tradizionale, rinnovando – direi quasi, rivoluzionando – il dibattito, non più seguendo l’agenda dei conservatori e dei reazionari, ma obbligandoli a discutere di temi centrati sul progresso sociale. Una rivoluzione copernicana di cui l’Europa, e soprattutto l’Italia (dei Bossi, Fini e Giovanardi) avrebbe un disperato bisogno.
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