martedì 19 febbraio 2013

Flessibilità e produttività in Italia

Riportiamo qui un interessante post apparso su Keynesblog che mette in relazione flessibilità e produttività del lavoro. Per anni, dai tempi del primo governo Prodi, si è insistito sulla necessità di flessibilizzare il mercato del lavoro per rendere le industrie più competitive. Peccato sia successo l'esatto opposto, la produttività è diminuita. Forse perché in una industria caratterizzata da aziende medio-piccole questa flessibilità è stata usata per competere nel mondo puntando su costi (e dunque, salari) più bassi invece che puntare sullo sviluppo tecnologico. Chissà se la Fornero, dall'alto della sua cattedra, è capace di guardare e interpretare i grafici. E chissà cosa ne pensa il PD che quella riforma ha appoggiato (oltre ad aver inaugurato quelle trasformazioni con il pacchetto Treu).


La flessibilità non fa crescere la produttività   





produttività-flessibilità
Capita spesso di leggere che le cosiddette “riforme strutturali“, tra cui quella del mercato del lavoro, siano necessarie per accrescere la produttività stagnante delle nostre imprese. In base a questo assunto e all’idea (facilmente falsificabile) che maggiore flessibilità porti a maggiore occupazione, negli anni si sono susseguite diverse modifiche del diritto del lavoro, sia da parte di governi di centrosinistra che di centrodestra.

Il risultato è che per il nostro Paese l’indice di protezione del lavoro (EPL), calcolato dall’OCSE, è precipitato da 3,57 (prima del “pacchetto Treu“) a 1,82 nel 2003. Nel 2008, ultimo anno di rilevazione, è risalito appena ad 1,89. Come ammette la stessa OCSE, siamo il paese che ha liberalizzato di più il mercato del lavoro relativamente alla posizione abbastanza rigida del passato.
Eppure se si giudicano i risultati della flessibilità, sembrano essere piuttosto deludenti. Non solo la produttività non è aumentata, ma la sua crescita è rallentata fino a diventare sostanzialmente nulla nell’ultimo decennio (si veda il grafico su riportato). Non necessariamente questo risultato negativo deve attribuirsi alla crescente flessibilità. Tuttavia i dati sembrano dire con chiarezza che la liberalizzazione del mercato del lavoro non ha prodotto effetti positivi misurabili sulla produttività.
Nonostante ciò, la convinzione che maggiore flessibilità porti a maggiore produttività è rintracciabile nel dibattito pubblico, quasi che un lavoratore precario sia più propenso a “impegnarsi” per il timore di perdere il posto di lavoro. Se ciò non bastasse, in un recente documento della stessa OCSE si afferma che la “dualità” tra lavoratori garantiti e non garantiti porta a inefficienze nella distribuzione delle risorse umane disponibili. Non si capisce tuttavia come rendere precario anche l’attuale “posto fisso” possa dare risultati migliori della precarietà sinora introdotta, così pesantemente, nel mercato del lavoro italiano.

fonte: http://keynesblog.com/2013/02/19/la-flessibilita-non-fa-crescere-la-produttivita/


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