di Nicola Melloni
da Lettere Internazionali, Il Mulino
I problemi di Cipro, come capitato spesso ultimamente in Europa, sono largamente dovuti al suo sistema bancario. In questi anni l’isola è diventata una sorta di paradiso off-shore con il livello di tassazione più basso d’Europa, attirando un interrotto flusso di capitali che ha gonfiato fuori proporzione il sistema bancario, le cui passività sono calcolate tra 7 e 8 volte il Pil del Paese. Cipro è soprattutto diventata la sede preferita per i capitali degli oligarchi russi che usano l’isola per evadere le tasse e poi rimpatriare i capitali a tassi agevolati. Basti pensare che la Banca centrale russa lista Cipro come la fonte principale di Fdi in Russia.
Tale situazione ha chiaramente aperto un problema economico e uno politico riguardo al salvataggio di Cipro. Da una parte, i tagli fiscali – la classica maniera in cui l'Unione europea ha finora cercato di rimettere in sesto i conti dei Paesi in crisi – non sono percorribili, in quanto il sistema bancario, come detto, è troppo grande per le povere finanze di Nicosia. Giusto per capire, il contributo chiesto dalla Ue a Cipro per il bail out è di 5,8 miliardi di euro, equivalenti a circa un terzo del Pil complessivo del Paese (17,9 miliardi). Allo stesso tempo, per quanto riguarda l’Europa, lo sforzo per salvare le banche cipriote sarebbe invece minimo, ma sia la Germania sia i Paesi del Nord hanno chiarito da subito che non intendono utilizzare i soldi dei loro contribuenti per salvare le finanze degli oligarchi russi.
La prima soluzione trovata è stata però infelice sotto tutti i punti di vista. La Ue ha chiesto a Cipro di trovare la sua parte di contributi mettendo una tassa del 9,75% sui depositi sopra i 100 mila euro e del 6,5% su quelli fino a 100 mila, nonostante questi siano coperti all’interno della Unione da una garanzia totale.
La seconda parte della richiesta, cioè colpire anche i piccoli risparmiatori, ha scatenato una ondata di proteste. Da una parte andare a prendere i soldi da chi ne ha pochi per salvare, a tutti gli effetti, chi ne ha tanti – cioè, in primis, gli oligarchi russi – è una misura che trasuda ingiustizia e mai avrebbe potuto trovare l’appoggio del Parlamento cipriota. In secondo luogo, coinvolgere i piccoli risparmiatori rischia di avere effetti esplosivi su tutta l’Eurozona. Il messaggio che viene mandato da Cipro ai titolari di depositi in Grecia, Spagna, Portogallo e anche Italia (soprattutto se si ha un conto, ad esempio, a Mps) è che in caso di aggravarsi della crisi i soldi per il bail out potrebbero essere presi direttamente dai conti correnti. Il rischio, ovviamente, è che questo scateni una fuga di capitali verso Paesi “sicuri” e un conseguente bank run, a maggior ragione data la mancanza di una garanzia europea sui depositi bancari – cioè di una vera unione bancaria cui tuttora la Germania continua a opporsi. Allo stesso tempo, una mossa di questo genere non fa altro che alimentare i sentimenti anti-europei e screditare le istituzioni comunitarie, basti pensare al significativo titolo del "Daily Mail" su the great EU bank robbery.
La soluzione trovata in extremis è stata dunque quella, un po’ all’islandese, di tassare solo i depositi sopra i 100 mila euro (ancora non si sa di quanto, si parla di un prelievo fino al 40%). Una soluzione più equa ma che crea altri problemi di non facile risoluzione. In primis, Cipro vedrà il suo sistema bancario distrutto e il suo ruolo di off shore cancellato – un risultato anche positivo se all’interno della Ue non vi fossero altri paradisi fiscali con sistemi bancari ipertrofici, tipo il Lussemburgo, ma anche la City di Londra. In secondo luogo, molte piccole e medie imprese – il centro nevralgico dell’economia cipriota – rischiano di fallire dopo che il prelievo sui depositi intaccherà sostanzialmente la loro liquidità. I rapporti tra Cipro e Russia e, più in generale, tra Unione europea e Russia rischiano inoltre di peggiorare notevolmente. Infine, il prelievo forzoso sui conti correnti, anche se solo sui più alti, è un precedente problematico, e le parole del presidente dell’eurogruppo Jeroen Dijsselbloem (“Cipro sarà il nuovo modello di bail out da qui in avanti”) hanno confermato questa paura, che rischia di incentivare una fuga di capitali e destabilizzare ulteriormente le banche del Sud Europa.
Indubbiamente la crisi di Cipro dovrebbe portare aì una riflessione approfondita sull’urgenza di una seria riforma del sistema finanziario, a cominciare dalla mobilità dei capitali, che più che portare capitali freschi sembra creare bolle e traumatizzare tanto l’economia reale quanto il sistema bancario. E anche la garanzia statale sui depositi stabilizza solo parzialmente il settore finanziario e, al contempo, crea un sistema di incentivi malato che per salvare i cittadini de-responsabilizza le banche. Cipro, insomma, sembra essere solo la punta di un iceberg che mette a rischio la sopravvivenza dell’Europa tutta.
fonte: http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:2108
da Lettere Internazionali, Il Mulino
I problemi di Cipro, come capitato spesso ultimamente in Europa, sono largamente dovuti al suo sistema bancario. In questi anni l’isola è diventata una sorta di paradiso off-shore con il livello di tassazione più basso d’Europa, attirando un interrotto flusso di capitali che ha gonfiato fuori proporzione il sistema bancario, le cui passività sono calcolate tra 7 e 8 volte il Pil del Paese. Cipro è soprattutto diventata la sede preferita per i capitali degli oligarchi russi che usano l’isola per evadere le tasse e poi rimpatriare i capitali a tassi agevolati. Basti pensare che la Banca centrale russa lista Cipro come la fonte principale di Fdi in Russia.
Tale situazione ha chiaramente aperto un problema economico e uno politico riguardo al salvataggio di Cipro. Da una parte, i tagli fiscali – la classica maniera in cui l'Unione europea ha finora cercato di rimettere in sesto i conti dei Paesi in crisi – non sono percorribili, in quanto il sistema bancario, come detto, è troppo grande per le povere finanze di Nicosia. Giusto per capire, il contributo chiesto dalla Ue a Cipro per il bail out è di 5,8 miliardi di euro, equivalenti a circa un terzo del Pil complessivo del Paese (17,9 miliardi). Allo stesso tempo, per quanto riguarda l’Europa, lo sforzo per salvare le banche cipriote sarebbe invece minimo, ma sia la Germania sia i Paesi del Nord hanno chiarito da subito che non intendono utilizzare i soldi dei loro contribuenti per salvare le finanze degli oligarchi russi.
La prima soluzione trovata è stata però infelice sotto tutti i punti di vista. La Ue ha chiesto a Cipro di trovare la sua parte di contributi mettendo una tassa del 9,75% sui depositi sopra i 100 mila euro e del 6,5% su quelli fino a 100 mila, nonostante questi siano coperti all’interno della Unione da una garanzia totale.
La seconda parte della richiesta, cioè colpire anche i piccoli risparmiatori, ha scatenato una ondata di proteste. Da una parte andare a prendere i soldi da chi ne ha pochi per salvare, a tutti gli effetti, chi ne ha tanti – cioè, in primis, gli oligarchi russi – è una misura che trasuda ingiustizia e mai avrebbe potuto trovare l’appoggio del Parlamento cipriota. In secondo luogo, coinvolgere i piccoli risparmiatori rischia di avere effetti esplosivi su tutta l’Eurozona. Il messaggio che viene mandato da Cipro ai titolari di depositi in Grecia, Spagna, Portogallo e anche Italia (soprattutto se si ha un conto, ad esempio, a Mps) è che in caso di aggravarsi della crisi i soldi per il bail out potrebbero essere presi direttamente dai conti correnti. Il rischio, ovviamente, è che questo scateni una fuga di capitali verso Paesi “sicuri” e un conseguente bank run, a maggior ragione data la mancanza di una garanzia europea sui depositi bancari – cioè di una vera unione bancaria cui tuttora la Germania continua a opporsi. Allo stesso tempo, una mossa di questo genere non fa altro che alimentare i sentimenti anti-europei e screditare le istituzioni comunitarie, basti pensare al significativo titolo del "Daily Mail" su the great EU bank robbery.
La soluzione trovata in extremis è stata dunque quella, un po’ all’islandese, di tassare solo i depositi sopra i 100 mila euro (ancora non si sa di quanto, si parla di un prelievo fino al 40%). Una soluzione più equa ma che crea altri problemi di non facile risoluzione. In primis, Cipro vedrà il suo sistema bancario distrutto e il suo ruolo di off shore cancellato – un risultato anche positivo se all’interno della Ue non vi fossero altri paradisi fiscali con sistemi bancari ipertrofici, tipo il Lussemburgo, ma anche la City di Londra. In secondo luogo, molte piccole e medie imprese – il centro nevralgico dell’economia cipriota – rischiano di fallire dopo che il prelievo sui depositi intaccherà sostanzialmente la loro liquidità. I rapporti tra Cipro e Russia e, più in generale, tra Unione europea e Russia rischiano inoltre di peggiorare notevolmente. Infine, il prelievo forzoso sui conti correnti, anche se solo sui più alti, è un precedente problematico, e le parole del presidente dell’eurogruppo Jeroen Dijsselbloem (“Cipro sarà il nuovo modello di bail out da qui in avanti”) hanno confermato questa paura, che rischia di incentivare una fuga di capitali e destabilizzare ulteriormente le banche del Sud Europa.
Indubbiamente la crisi di Cipro dovrebbe portare aì una riflessione approfondita sull’urgenza di una seria riforma del sistema finanziario, a cominciare dalla mobilità dei capitali, che più che portare capitali freschi sembra creare bolle e traumatizzare tanto l’economia reale quanto il sistema bancario. E anche la garanzia statale sui depositi stabilizza solo parzialmente il settore finanziario e, al contempo, crea un sistema di incentivi malato che per salvare i cittadini de-responsabilizza le banche. Cipro, insomma, sembra essere solo la punta di un iceberg che mette a rischio la sopravvivenza dell’Europa tutta.
fonte: http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:2108
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