di Nicola Melloni
da Liberazione
L’analisi dei flussi elettorali è impietosa per il centro-sinistra.
Secondo tutti gli istituti di ricerca, dalla Polis di Diamati all’Ipsos,
la coalizione di Bersani-Vendola è solo terza nel voto tra gli operai,
superata sia dal Movimento 5 Stelle (primo), che dal Pdl (secondo). Un
risultato, in realtà, che non sorprende più di tanto.
Già negli scorsi anni si era parlato e discusso a lungo del voto operaio
pro-Lega. Ora la situazione è completamente degenerata, con solo un
quinto delle tute blu che hanno scelto il Pd e la sua propaggine di
sinistra, Sel – che pure candidava operai e sindacalisti. Non è una
situazione nuova nella storia e non è un problema solamente italiano –
basti pensare ai voti operai che prende Le Pen in Francia, fortissimo in
quelle che una volta erano roccaforti del Pcf – ma configura un
problema molto serio, sia per la sinistra nel suo complesso, sia per la
democrazia in generale.
Una sinistra senza classe operaia è, per sua natura, una non sinistra.
Non occorre essere marxisti per riconoscere che gli interessi del
lavoro, degli sfruttati sono da sempre il pane quotidiano di tutti i
partiti che si riconoscono nelle diverse famiglie del laburismo, dalla
socialdemocrazia alla sinistra comunista. Per dirla con Bersani, la
difesa del lavoro dovrebbe essere la ragione sociale della ditta – che
altrimenti ha davvero poca ragione d’essere. A maggior ragione in un
periodo di crisi, con la disoccupazione in preoccupante aumento e la
povertà, che pareva una volta sconfitta e che fa sentire i suoi morsi
anche tra la classe media.
Invece per anni il Pd ed i suoi predecessori hanno tentato – invano, per
altro – di accreditarsi verso mercati e alta borghesia, tutto a
discapito della difesa del lavoro. Ed ecco allora precariato e carico
fiscale, accompagnato in ultimo dall’Imu impagabile per la maggior parte
dei percettori di reddito da lavoro dipendente. Insomma, una
bastonatura continua, durata vent’anni, col risultato di trovarci ora
con una classe operaia senza sinistra che la possa rappresentare. E che
dunque cerca altre protezioni, dalla Lega a Grillo che, a torto o a
ragione, vede più vicini e meno compromessi con il potere. Da una parte
il M5S proponeva un salario sociale, dall’altra Berlusconi che
prometteva meno tasse e più reddito, in mezzo la Lega che si affida da
sempre ad una propaganda para razzista che invece di concentrarsi sulle
sperequazioni di classe punta il dito contro gli stranieri – un’arma
purtroppo sempre efficace davanti allo spettro della disoccupazione.
Insomma, gli altri partiti hanno parlato ai bisogni materiali dei
lavoratori, mentre il Pd ha continuato la sua lunga parabola di
moderatismo politico ed economico. E’ pur vero che Bersani, a parole, ha
provato a riportare il lavoro al centro del programma dei democratici,
ma è difficile essere credibili quando alle parole non seguono i fatti.
Era, in fondo, lo stesso Pd che aveva votato la riforma Fornero, si era
opposto al referendum ed aveva cercato per mesi l’accordo con Monti e i
poteri forti. Né le cose paiono essere cambiate veramente ora: Bersani e
i suoi si pentono del troppo moderatismo e fanno un parziale mea culpa
sulla campagna elettorale, ma il lavoro ed i diritti sociali sono
drammaticamente assenti dagli 8 punti di Bersani. Mentre Fassina critica
l’Europa liberista, ma rilancia l’idea di un coordinamento delle
politiche fiscali che non farebbe altro che confermare l’assurda austerity di questi anni.
Passati sembrano ormai i tempi in cui si diceva che l’interesse della
classe operaia era l’interesse generale. Una nozione che, se ci pensiamo
bene, non ha nulla di ideologico. Dire che gli interessi dei lavoratori
sono gli interessi di tutto il Paese è, in fondo, una semplice
banalità. Non esiste prosperità, non esiste ricchezza, non esiste
crescita economica e tanto meno democrazia quando la ricchezza è divisa
così iniquamente, quando non c’è futuro e speranza di una vita migliore,
quando non ci sono diritti. Tutto questo, un principio davvero basilare
per ogni persona di sinistra, è stato perso e per il Pd e soci
l’interesse generale è diventato quello dei mercati, quello delle banche
– favorite, aiutate, vezzeggiate mentre si continuava a tartassare il
lavoro. Se non si ripartirà dal lavoro, dalla crisi, dagli interessi
materiali di giovani, disoccupati, sfruttati ed emarginati non solo si
perderà inesorabilmente, non solo si abbandonerà l’idea di una società
migliore, che dovrebbe essere l’unica vera ragione della sinistra, ma si
spingeranno gli elettori verso pulsioni populiste che rischiano di
mandare a gambe all’aria la nostra democrazia.
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