di Francesca Congiu
Il caso del referendum bolognese per abolire il finanziamento alle paritarie, in calendario per il 26 maggio, colloca il problema della scuola pubblica tra le incertezze programmatiche del PD. Una strategia, quella del PD bolognese, che si proietta inevitabilmente a livello nazionale e chiama ad un pronunciamento drastico e finalmente controcorrente rispetto alle logiche di ispirazione classista che hanno portato alla distruzione dei fondamenti costituzionali del sistema scolastico. (Tali politiche vengono da lontano, ma l’approvazione alla Camera del disegno ex-Aprea, con la maggioranza PD PDL-UDC è stata un’ulteriore spinta verso la privatizzazione del sistema, che minaccia così di perdere la sua ispirazione pluralista idealmente avversa ad ogni ingerenza confessionale e ogni forma di discriminazione).
Altro inquietante segnale dell’allontanamento della scuola pubblica dal solco costituzionale è la notizia dell’avvio dei test di selezione per garantire o impedire agli studenti medi l’accesso ai licei.
La giustificazione dei presidi che hanno adottato questo provvedimento nelle loro scuole oscilla fra una supposta idea di “meritocrazia” (classi omogenee e maggiore motivazione) e una più pragmatica idea di recupero degli spazi scolastici per far fronte al boom delle iscrizioni.
I rischi connessi ad iniziative di questo tipo riguardano ancora una volta la perdita della dimensione democratica e pluralista della scuola. Infatti, l'uso della parola "meritocrazia" per definire le competenze dei ragazzi che escono dalle medie o addirittura dei bambini che provengono dalle elementari, suona profondamente ingiusto. Ingiusto come "fare parti uguali fra diseguali", direbbe Don Milani. Perché - e scuserete il "populismo" d'accatto - un "4" o un “6” del figlio del pastore o dell'operaio non è un "4" o un “6”del figlio del professore o dell’imprenditore. Gli indicatori della valutazione registrano i deficit e servono a fotografare la situazione dell’apprendimento, ma la politica (anche quella scolastica) se vuole essere democratica non può fermarsi a questo livello e fare mera selezione sulla base dei dati. Se ne dovrebbe servire per tentare di attenuare o ridimensionare le forbici formative. I dati invece sono più semplicemente usati come pretesti: "Che i tagli alla scuola e all'educazione non fossero necessità economica ma politica, non una misura di risparmio ma di controllo della mobilità sociale, non principio di razionalità ma ideologia, è ormai un fatto" (così nel commento del Manifesto).
I numeri della situazione scolastica italiana bene si leggono nel Rapporto Bes 2013 e, precisamente, nel Capitolo 2 su Istruzione e Formazione, dove ad esempio alla voce "rapporto fra livello culturale dei genitori e l'istruzione dei figli" i numeri dicono che “la scuola non riesce a riequilibrare lo svantaggio familiare di partenza”; dati questi che vanno accostati ai carotaggi sulle disarmonie geografiche che rivelano una “questione meridionale” della scuola, che trasferisce quasi naturalmente i deficit dalla formazione superiore a quella universitaria, concentrandoli soprattutto nelle regioni del sud. E questo per rimanere dentro il territorio nazionale, perché il confronto a livello europeo e in area OCSE è mortificante con livelli di literacy per noi imbarazzanti. Dopo il fallimento delle strategie di Lisbona in materia di istruzione e formazione (2010) l’Italia si prepara forse a disattendere il piano “Education and training 2020”, piano basato su tre priorità fondamentali: una crescita intelligente (fondare un’economia basata su conoscenza e innovazione), sostenibile e soprattutto inclusiva, tesa cioè a valorizzare la coesione economica, sociale e territoriale e ad omologare (democratizzare) a livello europeo le competenze (attraverso il dispositivo di traduzione denominato EQF- European Qualification Framework).
Come possiamo in Italia essere competitivi a livello europeo dove si chiede alla scuola di “lottare contro la povertà” (e queste parole vengono realmente usate nelle varie disposizioni), se il nostro sistema al suo interno, per la costante disattenzione ai contesti e alle provenienze, promuove e giustifica il privilegio, la disuguaglianza, la marginalizzazione territoriale e sociale? Quali le risposte dei partiti che si definiscono realmente democratici?
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