Bisognerebbe spargerla e propagarla con forza fino a farla diventare realtà quell’idea appena sussurrata di candidare Taranto a capitale europea della cultura per il 2019.
Sarebbe tardi forse, non tanto per la sfilza di città che alla candidatura già ci hanno pensato, ma perchè il respiro di Taranto potrebbe essere infinitamente più corto di quella data.
Eppure nessuna città rappresenterebbe meglio la cultura industriale, quella che in Italia manca totalmente, che non si sa più cosa sia; che non si riesce più a pensare (anche perchè i migliori cervelli scappano altrove); che si impone per decreto; che snatura i diritti opponendo alla salute quello al lavoro; che intossica il territorio tanto che non è più possibile nemmeno seppellirvi i morti.
Taranto prima portavoce dell’esigenza immediata di un piano industriale nazionale che sovverta quella cultura d’azienda disposta solo a guardare l’ombelico del profitto del padrone attraverso il foraggiamento della politica. Ma se un Governo composto da fior di tecnici bocconiani non ha saputo nemmeno abbozzare soluzioni macroeconomiche che riguardassero l’industria, possiamo forse attendere fiduciosi che possano farlo gli esponenti della nuova politica virtuale, evidentemente spaesati nei meandri delle istituzioni e a malapena dotati di un Bignami di economia?
E a una manciata di chilometri dal martirio dell’Ilva, le promesse mai mantenute di Fiat a Melfi e la Bridgestone libera di prendere il volo senza zavorre, mentre 950 famiglie rimangono a terra.
C’è materiale sufficiente per vincere qualsiasi candidatura, a Taranto.
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