Le nubi continuano ad
addensarsi su Atene. L’anno scorso ci era stato detto che adottando il
pacchetto di Fmi ed Ue la Grecia se la sarebbe cavata, certo a caro prezzo, ma
sarebbe comunque riuscita ad uscire dalla crisi. Licenziamenti, salari più
bassi, riduzione di servizi sociali sarebbero serviti a ridurre il debito e a
rilanciare il paese. Ovviamente non è successo, la crisi si avvita su se
stessa, i salari più bassi non hanno rilanciato la competitività del paese, ma
ridotto i consumi e accentuato la spirale recessiva, rendendo in tale maniera
ancora più drammatica la dinamica del debito. Ed allora Ue e Fondo stanno
intervenendo una seconda volta. I tedeschi sono una volta di più in prima linea
nel fare richieste: si lavori di più, meno vacanze, innalzamento dell’età
pensionabile. Ed intanto l’Ue costringe Atene a vendere le lotterie e le
autostrade per fare cassa. Una follia: per avere un minimo di liquidità una
tantum si prosciugano le fonti di entrata future – come se una azienda vendesse
i suoi rami più produttivi per venire incontro ai creditori. I conti verranno
pagati inizialmente, ma nel medio periodo la situazione sarà ancora più
disastrosa. Il tutto peggiorato dall’archittettura istituzionale europea che
impedisce ogni approccio flessibile e costringe l’economia greca alla
deflazione interna. Come abbiamo detto più volte, però, queste scelte di
politica economica comportano prezzi sociali esorbitanti e conseguenze
politiche facilmente prevedibili, alimentando lo scontro sociale e la
delegittimazione della classe politica greca. Non è allora un caso che il Fondo
Monetario richieda all’intero arco costituzionale greco di accettare le
condizioni capestro poste dagli organismi internazionali, nell’evidente timore
che la popolazione greca rigetti i ricatti e decida di denunciare tali accordi.
Si tratta di una riedizione liberale della dottrina della sovranità limitata di
brezneviana memoria: in Grecia si può votare, ma le decisioni si prendono
altrove.
E’ la logica del ricatto
che caratterizza il capitalismo del XXI secolo, da Mirafiori ad Atene.
Ma anche questi ricatti hanno vita breve, specialmente se basati su un approccio economico completamente irrealistico. L’aggravarsi della situazione del debito ha aumentato i tassi di interesse che il mercato richiede per rifinanziare il governo greco, dando ormai per scontato che sarà impossibile ripagarlo in toto, e questo sta scatenando il panico a Francoforte e Bruxelles. Bini Smaghi, rappresentante italiano nel board della Bce è particolarmente duro: la ristrutturazione del debito sarebbe un suicidio economico e politico. Il punto è capire per chi sarebbe un suicidio.
Ma anche questi ricatti hanno vita breve, specialmente se basati su un approccio economico completamente irrealistico. L’aggravarsi della situazione del debito ha aumentato i tassi di interesse che il mercato richiede per rifinanziare il governo greco, dando ormai per scontato che sarà impossibile ripagarlo in toto, e questo sta scatenando il panico a Francoforte e Bruxelles. Bini Smaghi, rappresentante italiano nel board della Bce è particolarmente duro: la ristrutturazione del debito sarebbe un suicidio economico e politico. Il punto è capire per chi sarebbe un suicidio.
Se Atene deciderà di non pagare il debito, in tutto o in parte, a soffrire saranno essenzialmente le banche tedesche con conseguenze pesanti per il governo di Berlino. Ma non sarebbe solo Berlino a patirne le conseguenze. I mercati finanziari, specialmente quelli europei, sono ormai fortemente integrati e sono essenzialmente governati da quelli che Keynes definiva animal spirits. Cosa vuol dire, in concreto? Da un lato le banche tedesche, a seguito di forti perdite, sarebbero costrette a rivedere il proprio portafoglio, diminuendo il rischio e quindi disinvestendo in altri paesi in difficoltà, a cominciare da Portogallo, Irlanda e, in prospettiva, Spagna ed Italia. Dall’altra gli investitori privati sarebbero assaliti dal panico ed i paesi sotto attacco sarebbero esattamente gli stessi, il che inevitabilmente li costringerebbe a seguire la via greca. Sarebbe la fine dell’Euro, e quindi Bini Smaghi ha perfettamente ragione a temere il deafult greco, ma sembra arrivato fuori tempo massimo.
Per scongiurare tale possibilità si sarebbero dovute scegliere politiche economiche diverse, che non uccidessero l’economia reale e non punitive per la popolazione. In democrazia si ricerca il consenso e certo si possono anche richiedere sacrifici, ma non li si possono imporre. Soprattutto non si può far pagare ai soli lavoratori il costo di una crisi che ha ben altri padri. Ue e Fmi si sono distinti ancora una volta come organismi tecnocratici e pre-democratici ed è stato questo approccio ad esacerbare gli animi e a peggiorare la situazione economica greca. Ma questo errore non è stato compreso ed anzi viene ripetuto in queste ore, rilanciando politiche economiche miopi, a partire dalle privatizzazione forzate, che creereanno solamente maggiore malconento. Per salvare l’Ue è necessario salvare la Grecia, ma quello che è stato fatto finora è spingerla verso il baratro, replicando in parte le scelte folli che il Fondo aveva imposto quasi quindici anni fa in Asia, con risultati disastrosi. Storia ed esperienza, purtroppo, non sembrano avere insegnato nulla ed i prezzi di questi errori rischiano di trascinare tutta l’Europa, e non solo la Grecia, in un futuro di miseria.
di Nicola Melloni
Liberazione
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