sabato 18 giugno 2011

Chi paga i conti della Grecia?


La crisi greca sembra ormai senza fine, confermando le fosche previsioni che avevamo fatto da queste pagine. Non solo il piano di salvataggio è andato completamente a vuoto, ma ora la situazione è addirittura peggiorata, costringendo Ue e Fmi ad un nuovo intervento, quantificabile in circa 80 miliardi, che però sembra creare fratture difficilmente componibili tra i vari stati membri dell’Europa. Tedeschi e paesi nordici sostengono che la Ue debba “aiutare” Atene, ma non da sola e che anche gli investitori privati debbano assumere una parte del peso finanziario di tale operazione. La Bce, sostenuta da Francia e Belgio, nega invece a priori un coinvolgimento dei privati. Il discorso di Berlino è molto semplice: se la Grecia dovesse fallire le prime a pagare sarebbero le banche che hanno comprato i titoli greci (e che sono, in maniera ormai evidente, il motivo principale per cui l’Europa tutta vuole evitare il default ellenico) e dunque, secondo la Merkel, è giusto e normale che quelle stesse banche si facciano carico di una parte degli oneri del salvataggio di Atene – in fondo si tratta di una operazione fatta nel loro interesse. A Francoforte, invece, si sostiene la tesi opposta. Coinvolgere le banche nel salvataggio (cioè obbligarle a riacquistare i titoli greci in scadenza) equivarrebbe a dichiarare un fallimento “parziale” di Atene con conseguente effetto a catena sul resto dell’area Euro. Le banche coinvolte avrebbero problemi di liquidità e, inevitabilmente, temerebbero che il pacchetto greco venisse prima o poi esteso alle altre economie europee in difficoltà, dall’Irlanda al Portogallo, in tal maniera scatenando un panico preventivo nei mercati finanziari in cui si cercherebbe di liquidare al più presto i titoli di quei paesi, aumentando i tassi di interesse, peggiorando la situazione debitoria e facendo infine crollare le economie di quei paesi. Si tratterebbe, in buona sostanza, di profezie auto-avverantisi (self-fulfilling prophecies). Secondo Draghi, la Bce e l’Europa devono assolutamente evitare che si ripeta un nuovo caso Lehman, la banca americana che fallendo generò il collasso dell’economia globale nel 2007-08. Il governatore europeo in pectore sostiene che nessuno può sapere quali sarebbero le conseguenze di un default greco, quali sarebbero le banche colpite, quali rischierebbero la paralisi e la bancarotta.
Il rischio è che davanti ad un effetto a catena sul sistema creditizio europeo, i governi dell’Unione debbano nuovamente intervenire con un altro bail-out, non avendo però questa volta abbastanza risorse a disposizione. Quello che dice Draghi è in larga misura condivisibile e rischi per la stabilità non solo delle banche, ma dei governi della Ue, sono più che reali, come avevamo anticipato già da tempo. Quello che però rimane senza risposta è come mai, a quattro anni dal fallimento di Lehman, ci si ritrovi nella stessa situazione. Ci avevano detto che l’Occidente aveva capito gli sbagli fatti, che il sistema finanziario internazionale sarebbe stato riformato, che il peso delle banche sarebbe diminuito e le loro attività meglio controllate per evitare rischi sistemici e l’obbligo di salvataggio di istituti troppo grandi per esser lasciati fallire. Nulla di tutto questo è stato fatto e Draghi dovrebbe poterci dire qualcosa a proposito, in virtù anche del suo ruolo di presidente del Financial Stability Board.
In realtà in questi anni non si è data nessuna risposta di sistema alla crisi del capitalismo finanziario. Si sono salvate le banche con modalità a dir poco discutibili, senza intervenire sulla natura del problema, il ruolo fuori controllo che gli istituti finanziari hanno nell’economia globale. Invece di ridurne le dimensioni, si è lasciato che le banche crescessero ancora. Invece di porre ferrei controlli sui movimenti di capitale e sulla speculazione, si è lasciato nuovamente che il mercato si auto-regolasse. Si è sostanzialmente lasciato che le banche ricominciassero ad investire in attività remunerative senza che portassero il rischio di tali investimenti: va bene guadagnare il 16% annuo sui bond greci, ma non va bene che gli stessi bond non vengano ripagati da un paese che è in sostanziale bancarotta. L’economia europea continua a muoversi come un pendolo, oscillando tra le perdite delle banche trasformate in debito pubblico ed i titoli del debito pubblico acquistati dalle banche e garantiti da nuove emissioni di contante degli stati europei. Nel frattempo ai cittadini è chiesto di stringere la cinghia mentre le banche sono le uniche a non aver pagato le conseguenze della crisi che hanno originato. Alla faccia del libero mercato e del rischio d’impresa, il mondo in cui viviamo rimane sempre e comunque caratterizzato da profitti privati e perdite pubbliche. Il problema è che non è rimasto più denaro per continuare con questo giochino.
Nicola Melloni (Liberazione) 

1 commento:

  1. Alla spirale perversa del salvataggio che non è soluzione e che necessita di ulteriori salvataggi (quanto tirerà avanti la Grecia con questi ultimi 12.000 milioni? Fino alla fine dell'estate? E poi?), possiamo anche unire la pagliacciata vergognosa del patto tra UE e Moody's e S&P e Fitch, in modo che i "voti" espressi dalle agenzie sulle economie a rischio dopo l'ennesima operazione salvataggio "appaiano" almeno un po' benevoli...come se alle agenzie si volesse affidare un assurdo ruolo di soluzione al problema, quando ne sono in buona misura la causa (quanti bei voti regalati allegramente ai prodotti finanziari più tossici, in altri tempi!).
    Sarà la società, sotto forma di pentola a pressione, a dare la risposta più contundente? Oggi, 19-J(unio), solo a Madrid circa 40.000 persone si sono pacificamente manifestate con lo slogan "La vostra crisi noi non la paghiamo". E con una frase di sicuro a lei cara, professor Melloni: "El pueblo, unido, jamás será vencido". Dobbiamo prepararci per la jacquerie?
    Un saluto cordiale, la leggo sempre molto volentieri,
    Nacha

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