Documento
dell’Associazione “Lavoro e Libertà” sul recente accordo tra i sindacati confederali
e la Confindustria.
L’Associazione
esprime il suo profondo dissenso con l’accordo appena siglato, dato che mette
in discussione in modo grave i valori e gli obiettivi che essa si è proposta di
difendere e raggiungere in difesa della dignità dei lavoratoriIn primo luogo
colpisce il problema dei diritti democratici dei lavoratori: il potere votare
le proprie piattaforme rivendicative e i relativi contratti, senza alcun
privilegio o distinzione tra iscritti e non iscritti nei luoghi di lavoro. Vi
è, infatti, lo spostamento conclusivo di tali diritti, alle organizzazioni e
alle loro rappresentanze secondo un principio rappresentativo maggioritario.
Si
tratta due concezioni opposte della democrazia, nell’una prevale il principio
di “una testa un voto”, nell’altra il peso delle rappresentanze e l’alchimia
delle loro possibile alleanze/convergenze.
Fa specie a tale proposito l’equiparazione progressiva, prevista
dall’articolo 5, tra RSU e RSA, cioè tra una forma rappresentativa basata su un
compromesso tra un’espressione diretta dei lavoratori, che scelgono i loro
rappresentanti e una forma di delega dei sindacati, e una di pura nomina da
parte delle organizzazioni sindacali. Vi è una differenza riconosciuta di
legittimazione a procedere, ma spetta solo alle organizzazioni decidere se si
preferisce l’una o l’altra e entrambe durano in carica tre anni. L’associazione
è nata in primo luogo per affermare un principio democratico basato sul diritto
di ogni persona che lavora di esprimere comunque la propria volontà, approvando
le piattaforme e i contratti, perché solo così si garantisce che gli atti
fondamentali che regolano, nell’ambito dei luoghi di lavoro, la vita di chi
lavora siano conformi alla loro volontà.
In
secondo luogo l’accordo può rappresentare una pietra tombale sull’esistenza di
contratti nazionali che rispondano a un principio di democrazia distributiva,
in special modo in un paese come l’Italia caratterizzato da un numero
esorbitante di piccole e piccolissime imprese. Il testo, infatti, consente
delle deroghe “al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di
investimenti significativi”, cioè quasi sempre. Se si considera tale
possibilità congiuntamente a quanto disposto dagli articoli 4 e 5 su come si
realizza un accordo aziendale, efficace verso tutti e vincolante per le
associazioni firmatarie, non è difficile comprendere che si aprono le porte a
una balcanizzazione del sistema di relazioni industriali italiano senza
precedenti. Se, infatti, il principio maggioritario vale in ogni singolo luogo
di lavoro, si avrà che un’azienda metalmeccanica in realtà emiliane, dove la
FIOM ha largamente la maggioranza assoluta, quando non talvolta il monopolio
della rappresentanza, si muoverà con linee e richieste largamente difformi da
situazioni dove la realtà della rappresentanza è opposta, a meno di non pensare
che tutta l’Italia sia sempre a rischio del ricatto FIAT in base al quale o si
accetta o l’impianto viene chiuso. La richiesta di intervento del governo per
incentivare la contrattazione di secondo livello rende infine esplicita la
volontà dei firmatari di fare di questo livello il livello reale di regolazione
del lavoro.
La
disposizione, inoltre, dell’articolo 6, in sé ineccepibile e doverosa, in base
alla quale la clausola di tregua vincola solo le associazioni firmatarie e non
i singoli lavoratori, né tantomeno quelle non firmatarie, aggiunge ulteriore
confusione. Si aprono, infatti, grazie alla combinazione con le altre norme,
varchi inimmaginabili a ogni iniziativa corporativa aziendalistica; basta,
infatti, un comitato, oppure ancora a vere e proprie strategie nazionali di
organizzazioni, che con il quorum del 5% siano comunque titolate all’azione
rivendicativa e non firmatarie di contratti in quelle specifiche aziende.
Il
risultato complessivo di tale impostazione, ossessivamente orientata alla
deroga, quindi, è un ulteriore deriva verso un sistema frammentato ed esposto a
una pressione corporativa quasi inarrestabile. Dal punto di vista di
un’associazione che considera un valore chiave il superamento della frammentazione
sociale e l’aspirazione all’eguaglianza, un tale esito appare oltre che
inaccettabile, desolante.
Per
tali ragioni l’Associazione si impegna, attraverso i suoi iscritti e i circoli
territoriali a diffondere la sua valutazione; cooperando e confrontandosi con
altre analoghe iniziative.
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