lunedì 17 ottobre 2011

La piazza, la violenza e la politica
Di Nicola Melloni

Gli incidenti di Sabato sono stati stigmatizzati in tutte le salse e certamente rimangono un brutto contorno ad una giornata altrimenti di grande mobilitazione, anche al di sopra delle aspettative. Ma se da una parte è giusto e imprescindibile partire proprio dal successo del corteo e dal numero imponente di indignados che lo hanno composto, dall’altro bisogna anche domandarsi come mai, dieci anni dopo Genova, siamo ancora nelle stesse condizioni di ordine pubblico.

Ovviamente una parte della risposta và cercata nella gestione dilettantesca (o forse, pure troppo professionale...) della piazza da parte delle forze dell’ordine. Che polizia e carabinieri abbiano lasciato sfogare i black block ad uso telecamere, come nel 2001, o che si siano fatti semplicemente trovare impreparati (come a Dicembre dello scorso anno), in realtà, poco importa. Il problema da mettere a fuoco, come tentava di fare Calabresi sulla Stampa di ieri, è la relazione tra politica e violenza. Politica vera, quella con la P maiuscola, non quella rinchiusa nei palazzi, quella fatta da centinaia di migliaia di persone in piazza sabato, quella che parla dei problemi del reale, che non sono le alleanze o le leggi elettorali, e nemmeno le intercettazioni e le escort. Ecco, quella politica, bella, nasconde anche un volto oscuro, fatto di violenza? Inutile negarlo, a mio parere, una vicinanza, pure nella distinzione, esiste.

Questo non ci deve soprendere nè scandalizzare. La violenza è grandissima parte della società in cui viviamo oggi. Sbaglia infatti Calabresi quando parla di anomalia italiana. La violenza, proprio in stile black block, esiste in tutto il mondo occidentale. E’ iniziata a Los Angeles dopo Rodney King, è passata per le banlieues di Parigi e quest’estate ha sconvolto Londra. Possiamo forse pensare che sia violenza diversa perchè non avviene nel contesto di manifestazioni organizzate? A mio parere assolutamente no. Si tratta, in tutti questi casi, di violenza “politica” perchè esprime un forte disagio politico. E qui la seconda parte della risposta data da Calabresi è più pregnante.
Parliamo di generazioni “perse”, senza speranza nel futuro e, soprattutto, senza rappresentanza politica. L’impossibilità di dare voce a questo disagio, porta inevitabilmente all’uscita dal sistema –basterebbe ricordare e riadattare Hirschman, se qualcuno da noi lo avesse letto. L’uscita dal sistema vuol dire la rottura delle regole di questo mondo, innanzittutto quindi, la violenza, l’atto con più evidenza appariscente di rottura.

Ma la politica, in Italia come in Inghilterra o in Francia, non si pone nessuna domanda riguardo a questo fenomeno, pensa solo a condannare. Soprattutto la sinistra, o meglio, quella che una volta era tale, non ha la capacità di capire e la volontà di rappresentare i movimenti della società. E’ una sinistra, ovunque, interessata alle poltrone, composta da uomini modesti e mediocri, che non hanno capito quello che invece i manifestanti di sabato, tutti, violenti e non, hanno invece compreso: il capitalismo occidentale è in crisi, la crisi, se non risolta, porta al conflitto.

L’incapacità di dare voce ed organizzazione a questo disagio porta diritti ad una piazza incontrollabile. Incontrollabile perchè frustrata, incontrollabile perchè disorganizzata. Non è una giustificazione, piuttosto un atto di accusa. Come d’altronde si può definire di sinistra dei partiti che non stanno in piazza con gli oppressi e gli sconfitti della società? E che magari sta a giocare a scopone con i grandi capitalisti (vedi Chiamaparino), che si interessa di scalate bancarie e di privatizzazioni, ma non si cura della ragione sociale della sinistra – eguaglianza vuol dire star dalla parte dei meno uguali, non dei più forti. Questo, per quanto riguarda i vari PD, Labour, etc..mentre

Il resto della sinistra, non solo in Italia,è diviso in dispute personalistiche e di lana caprina. La piazzaè lasciata a sè stessa. E poi ci soprendiamo della violenza. Forse ha ragione Calabresi, una anomalia italiana c’è. Ed è nella maturità politica di un movimento che sceglie, in stragrande maggioranza, la non-violenza.

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