Di Monica Bedana
In Spagna la democrazia inizia a bruciare come in Grecia.
Barcellona e Valencia come Atene.
Una riduzione di oltre 3000 milioni di euro per la scuola e l'università negli ultimi due anni ha acceso la fiamma della protesta di studenti e corpo docente. Oltre 800 milioni di quei tagli all'istruzione si concentrano in Catalogna; a Valencia i soldi che si spendono per la Formula 1 potrebbero mantenere 26 scuole. E nonostante si comprima ferocemente la spesa pubblica, il debito di queste regioni si abbassa in modo assolutamente insignificante oppure continua a crescere. Il mondo della scuola e dell'università paga ormai da due anni un pizzo sanguinoso alla finanza, che si traduce non solo nella riduzione degli stipendi e del numero dei docenti, ma anche e soprattutto nella perdita definitiva di ore di lezione ed interi programmi.
Se però dopo due anni di scrupolosa obbedienza all'austerità cieca imposta dall'Europa la notizia di oggi è che i dati della disoccupazione del mese di febbraio sono i peggiori degli ultimi tre anni e la notizia di ieri era che la banca spagnola ha sollecitato ben il 28% di quei 530.000 milioni di euro di liquidità che la BCE ha reso disponibili, vuol dire che nessun sacrificio pagato finora dai cittadini ha avuto senso. E ce ne siamo accorti.
E se Rajoy ieri chiedeva agli spagnoli di “capire che le cose non sono facili” e oggi dice che “con le manifestazioni non si ottiene nulla” mentre al tempo stesso destituisce buona parte della squadra dell'Agenzia delle Entrate che ha scoperto la vastissima rete di corruzione della regione di Valencia, feudo del Partito Popolare che ci è dentro fino al collo, è inevitabile che cassonetti e democrazia brucino insieme.
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