10 giorni fa mezza Europa è stata bloccata da manifestazioni di protesta contro la crisi e soprattutto contro i governi che la stanno gestendo. Grecia e Spagna, come sempre più spesso, sono state al centro dell'attenzione, ma lo scontento sta salendo anche in Portogallo e, addirittura, in Francia. In Italia son tornati a manifestare gli studenti, in Gran Bretagna i sindacati hanno indetto una manifestazione che si preannuncia molto animata per le prossime settimane.
I popoli d'Europa, molto semplicemente, non ne possono più. L'austerity li sta riportando velocemente ad una miseria sconosciuta ormai da diverse generazioni. Ed ancora non basta. A Londra come a Parigi, di fronte ad un rallentamento dell'economia, quando non proprio nuovi episodi recessivi, i governi hanno deciso di stringere ancor di più la cinghia ed effettuare nuovi tagli. Tra il conservatore Cameron e il socialista Hollande esistono naturalmente notevoli differenze, ma si stanno rivelando più simili di quanto si sarebbe potuto pensare: due alfieri dell'austerità.
Gli indignados crescono di giorno in giorno di numero, ma la loro capacità di influire sulle scelte politiche è praticamente nulla. Che vinca la destra o la sinistra ufficiale fa certo qualche differenza, ma non risolve i problemi di disoccupazione ed incapacità di generare ricchezza. La politica istituzionale non li rappresenta e li sta marginalizzando, escludendo dallo spazio politico per eccellenza, che rimane quello elettorale - una situazione simile a quella sviluppatasi in America negli ultimi decenni. Siamo davanti ad un tratto distintivo del liberismo del XXI secolo, quello della riduzione degli spazi della democrazia - l'economia è in mano ai mercati e non ai cittadini. Di fronte ad una situazione del genere, molti degli scontenti rifiutano un'etichetta - destra o sinistra - come se questo fosse veramente possibile.
La protesta diventa dunque generico malcontento senza una vera coscienza politica, senza una reale trasformazione in critica del capitalismo. La mancanza di una vera sinistra d'alternativa, che sappia porre degli obiettivi concreti, rischia di regalare questo popolo a movimenti populisti e di destra. Movimenti che invece di partire da una critica del sistema economico che ha portato alla crisi identificano capri espiatori ben individuabili. E' il caso della Grecia, dove la destra anti-immigrati veleggia ormai verso il 20%. O della Catalogna, dove la crisi ha preso la forma del nazionalismo indipendentista. In forme e modalità diverse rientra in quest'ottica anche il Movimento 5 stelle che ha al centro del mirino il sistema dei partiti italiano - vergognoso, non ci sono dubbi. Ma in nessuno di questi casi si porta al centro del dibattito politico la critica del capitalismo liberista.
Critica del capitalismo liberista che è, per sua natura, di sinistra, ma di una sinistra non supina al liberismo come sono stati e sono ancora i socialisti europei. Ed è dunque indispensabile che queste proteste assumano una connotazione più politica, un movimento per cambiare la società, a Barcellona e Madrid, a Parigi e Londra, ad Atene ed a Roma. Alcuni passi in avanti sono stati fatti, da Syriza al Front de Gauche ma non può essere ancora abbastanza. Al liberismo "buono" dei socialisti ed a quello dalla faccia più crudele dei conservatori, bisogna contrapporre una vera alternativa, a livello europeo, per unire i popoli del Vecchio Continente. Ma bisogna farlo in fretta, o presto sarà troppo tardi.
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Alla base della dispersione confusa della grandissima energia sociale che raprresentano le proteste sta il fattore culturale: il liberismo ha spazzato via l'istruzione, quindi buona parte degli strumenti imprescindibili ad elaborare ogni presa di coscienza.
RispondiEliminaE' un gran bel post.