Riproduciamo qui, pur con ritardo, un articolo di Angelo D'Orsi comparso su Micromega che segna alcuni importanti punti di orientamento per l'alternativa a sinistra. Una rotta da seguire per le prossime elezioni, ma soprattutto per i prossimi anni.
di Angelo d’Orsi
Non
sono stato invitato ai grandi appuntamenti nazionali di Luigi De
Magistris e di “Cambiare si può”: ho partecipato, domenica 16 dicembre, a
Torino, all’assemblea provinciale di questo movimento, e sono in
contatto con De Magistris e i suoi collaboratori. Sto a guardare,
ascolto, rifletto, pronto a intervenire se capisco di poter essere
utile. Se mi si chiederà (non si sa mai!) quali siano le idee che
intendo portare avanti, sul piano dei contenuti, delle modalità
operative, e della strategia in vista della partecipazione alle
imminenti elezioni dell’auspicata Lista Civica Nazionale (d’ora in poi
LCN), ecco un promemoria, in 21 punti, nella fiduciosa (ma anche
preoccupata) attesa della contesa elettorale, prevista esattamente tra
due mesi, il 17 febbraio 2013 (se il combinato disposto tra governo e
Presidenza della Repubblica confermerà) alla quale ritengo occorra
assolutamente andare uniti.
1. Non è vero che ci sia
disaffezione verso la politica. C’è verso questa politica. C’è anzi un
accresciuto bisogno e una conclamata richiesta di politica, ma
radicalmente rinnovata. V’è altresì un rifiuto verso tutte le forme e le
istituzioni che tradizionalmente identificano la politica. Si
riffaccia la democrazia diretta, assembleare, e diffusa, fondata sulla
partecipazione dei singoli, e la loro volontà di autorganizzarsi e
associarsi. I referendum del 2011 sono stati un esempio straordinario
in tal senso: devono essere un modello a cui guardare.
2.
Tuttavia, la polemica verso la “politica politicante”, che unisce in un
solo flusso di disprezzo, i politici professionali e i mestatori, gli
onesti dirigenti con i malfattori che hanno usato i partiti, si è
trasformata in un flusso oscuro di risentimento: l’odio per la “casta” è
diventato un torrente fangoso, che insieme con una critica sacrosanta,
porta confusione qualunquista, certo pericolosa. Eppure non si può
chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, lanciando anatemi:
“populismo”, “qualunquismo”, “antipolitica”. Proprio nelle pieghe dell’
“antipolitica”, a ben vedere, sta generandosi una politica alternativa,
che la LCN deve esprimere: una politica che realizzi quattro
cambiamenti basilari: forme organizzative (con riduzione drastica dei
costi), modalità (ossia le procedure, democratiche, diffuse, dal basso;
e soprattutto trasparenti), linguaggi, volti, ossia il nuovo personale
politico, le “candidature” per la Lista elettorale. Non è questione
semplicemente generazionale, o di genere, anche se sono due elementi da
tenere ben presenti, nelle pratiche di rinnovamento.
3. Si
tratta però di rivolgersi non solo al “popolo della sinistra”, ma di
fuoruscirne, allargando la platea a coloro che possono condividere
contenuti “di sinistra”, senza provare ripulsa verso l’idea che tanti si
sono fatta della “sinistra”, anche con l’aura di eterni sconfitti ed
eterni divisi che alla sinistra si attribuisce. Anche in questo senso, i
quattro referendum vittoriosi sono un esempio fondamentale: chi li ha
votati non sempre, non necessariamente, era “di sinistra”, ma quei
contenuti che il “sì” ha portato avanti erano precisamente di sinistra.
Al popolo dei referendum, più che al popolo di sinistra, occorre
rivolgersi.
4. Valorizzando i referendum, occorre insistere sulla
tutela dei cosiddetti “beni comuni” (anche se è tempo forse di lasciar
cadere questa etichetta troppo generica e onnicomprensiva, e in fondo
un po’ usurata), a cominciare da quelli più elementari, il che
significa il ricupero di interessi generali; quindi, il lavoro, innanzi
tutto, con i diritti che gli sono connessi; e poi tutti i servizi per
la collettività che corrispondono non solo a beni ma anche a valori di
cui occorre dimostrare il carattere “dato” e irrinunciabile: ambiente,
paesaggio, sanità, risorse naturali (aria, acqua, terra). Ma anche
scuola (di ogni ordine e grado), trasporti, comunicazione, cultura. I
beni sono spesso diritti, di cui abbiamo goduto nel corso della storia
repubblicana, e che stanno tentando di sottrarci o di ridurre
drasticamente. Questi servizi, beni, valori, diritti non possono esser
considerati in termini di mercato: la logica costo/beneficio non può
valere quando si tratta della salute dei cittadini, della loro
istruzione, della loro mobilità, e di tutti i loro diritti fondamentali.
5. Un LCN che voglia proporre un’azione coerente con questi punti deve concentrare la sua attività progettuale su di un Programma base essenziale concentrato
su queste aree: I) Legalità; II) Lavoro, sviluppo, fisco; III)
Ambiente, territorio e paesaggio; IV) Salute; V) Educazione, cultura,
informazione.
6. La premessa indispensabile di ogni politica
rinnovata è la difesa della Costituzione, che si tratta di proteggere da
manomissioni (inaccettabile l’inserimento del pareggio di bilancio nel
testo costituzionale), ma anche da una sua interpretazione
“disinvolta”, come si è visto nell’ultimo anno; infine la Costituzione
non può essere relegata su un piano formale, e affiancata, di fatto, da
pratiche alternative, che sono state chiamate “Costituzione
materiale”.
7. Né si può dimenticare che il lavoro è menzionato
nell’art. 1 della Costituzione. Esso deve essere al centro di ogni
politica, perché è sul tema lavoro che si possono intrecciare una
molteplicità di problemi, di carattere economico, sociale, giuridico,
culturale. Occuparsi del lavoro significa battersi per il rispetto
delle leggi (assunzioni regolari e non in nero, non attraverso il
caporalato; protezione fisica e giuridica dei lavoratori, monitoraggio
antimafia su imprese, e ciclo rifiuti); e battersi, in parallelo,
contro i tentativi di smantellare il sistema di garanzie conquistato
con lotte durissime, nel corso dei decenni, a cominciare dall’art. 18
dello Statuto dei lavoratori.
8. La tutela del lavoro e
dei lavoratori, ma anche dei pensionati, spesso collocati nei gradini
più bassi dell’umiliazione sociale, implica un riequilibrio sostanziale
nella distribuzione della ricchezza sociale: il che vuol dire,
semplicemente, restituire una parte cospicua del prelievo fiscale alle
categorie che hanno subito, negli ultimi venti-trent’anni, un vistoso
squilibrio a loro danno, e, con ogni mezzo possibile, dall’aumento di
imposte, fino alla minaccia della nazionalizzazione, far pagare la
crisi in atto, e lo sviluppo reclamato da tutti, a grandi imprese, e
grandi gruppi finanziari, a cominciare dalle banche, alle quali lo
Stato deve chiedere la restituzione di una quota cospicua di quanto
esso ha loro erogato almeno dal 2008 in avanti. E la lotta all’evasione
ed elusione fiscale deve concentrarsi su questi settori. L’equità
fiscale è il primo parametro della civiltà di un Paese, ma anche il
primo strumento per l’efficienza della Pubblica amministrazione.
9.
Ma difendere il lavoro implica battersi per il rispetto ambientale e
della salute dei lavoratori e della cittadinanza. Mai più si deve
accettare il ricatto della contrapposizione lavoro/ambiente,
lavoro/salute, lavoro stabile/salario decente. In realtà oggi non si
tratta neppure più di contrapposizioni alternative, ma di endiadi:
lavoro precario, basso salario; lavoro precario e in condizioni di
ridotte tutele sulla salute; eccetera.
10. In tal senso le
“grandi opere” appaiono quasi sempre grandi inganni, grandi
devastazioni, e grandi speculazioni per pochi, spesso al di fuori della
legalità: l’Italia, nel suo complesso, ha bisogno urgente, drammatico,
invece che di poche grandi opere, di innumerevoli “piccole opere”, che
si occupino dei fiumi pulendone i greti, e evitando la
cementificazione; la montagna, bloccando il disboscamento; la
costruzione in zone a rischio, di edifici antisismici; il potenziamento
del servizio di monitoraggio idrogeologico; le troppe sedi scolastiche
pericolanti, mettendole a norma; le comunicazioni (su rotaia e su
gomma) locali, da salvare e ripristinare… E gli esempi possono
continuare all’infinito.
11. Quando si parla di lavoro, dobbiamo
pensare tuttavia oggi, anche, e soprattutto, al NON lavoro: precario,
in nero, sotterraneo; alle attese di chi il lavoro non trova, e
presumibilmente non troverà; alla disperazione di chi il lavoro aveva
ed è stato da un giorno all’altro licenziato, esodato, cassintegrato,
provvisoriamente. Al lavoro semischiavile degli immigrati, al lavoro
svolto dai precari della ricerca, non solo senza stipendio, ma
ricattati, senza prospettive: privati della dignità gli uni come gli
altri.
12. Esiste, va ricordata, la questione meridionale.
Tutti presi negli ultimi vent’anni dalla “questione settentrionale”,
abbiamo sottovalutato, o addirittura negletto il Sud, con tutto quanto
la parola implica e significa. Occorre invece porre di nuovo, più che
mai, davanti al divario che in ogni settore è andato crescendo tra
Settentrione e Mezzogiorno, la questione meridionale al centro
dell’agenda politica e anche di quella culturale¸ perché è sempre dalla
cultura, dal “fattore C”, come “Cultura”, che occorre partire.
13.
Più in generale, va sottolineata l’importanza dei settori formazione,
ricerca, cultura. Soprattutto occorre sviluppare, difendere, e
rilanciare il sistema educativo: dalle Elementari all’Università. La
“riforma della scuola” unico frutto del Governo Berlusconi Non a caso.
Occorre un impegno a cancellarla. E a occuparsi seriamente, in ogni
senso, della scuola, fondamento primo della società. Il sistema
educativo nel suo insieme deve essere restituito alla sua missione di
formazione del pensiero critico. Non una scuola azienda, non una
università piegata al mercato, ma una educazione funzionale soltanto
alla formazione dei cittadini, a far loro ricuperare un ruolo di
cittadinanza attiva, partecipe dei problemi della collettività.
Valorizzare il lavoro degli insegnanti, formarli meglio, restituire il
giusto posto all’educazione musicale e all’istruzione artistica.
14.
Il precariato nell’università e nella scuola rappresenta oggi una vera
emergenza nazionale. Stiamo assistendo inerti a una vera e propria
guerra contro una intera generazione: la fuga dei cervelli all’estero è
una realtà drammatica a cui occorre porre rimedio subito. Occorre
programmare concorsi, assunzioni di chi è dentro ma in modo instabile,
o, nell’università e nei centri di ricerca, senza alcun contratto,
senza stipendio. Si tratta di decine e decine di migliaia di giovani ed
ex giovani che dovrebbero rappresentare la futura classe dirigente. E
li umiliamo, e li costringiamo a fuggire lontano, per poter ottenere
quel riconoscimento morale e materiale che qui non trovano.
15.
Di questo si parla poco, come di tanti altri temi, nel dibattito
pubblico, perché una informazione che è corriva al potere, che è
intricata in esso, ha fatto in modo che al dominio dei padroni delle
imprese, ha corrisposto una loro egemonia, attraverso un’opera costante
e consapevole di menzogna, o di occultamento della verità, in
particolare di tutte le verità che potevano suscitare problemi seri nel
blocco sociale al potere.
16. Parlando di lavoro, occorre, far
cadere il pregiudizio lavorista/industrialista/sviluppista. Occorre
seriamente porsi il problema di uno sviluppo sostenibile se non di una
“decrescita felice”. In ogni caso, esiste un lavoro altro, al di là dei
settori meccanico, tessile, chimico e così via. In Italia è il
patrimonio paesaggistico, artistico, culturale il vero giacimento da
sfruttare: questo ambito implica protezione, ricupero, valorizzazione,
ma può dar vita a nuove professioni, alla creazione di lavoro utile e
prezioso.
17. Oggi e tanto più in prospettiva questi sono i
comparti sono decisivi per aiutare tutti noi a difenderci. Si pensi
all’importanza delle occupazioni dei luoghi della cultura destinati ad
essere snaturati, scempiati, distrutti: il Teatro Valle a Roma, il
Teatro Garibaldi e i Cantieri della Zisa a Palermo, il teatro Marinoni a
Venezia, il Teatro Coppola a Catania, il Macao a Milano, la Verdi 15 a
Torino… Da questi luoghi giunge un messaggio forte che va raccolto e
rilanciato con altrettanto vigore se se si riuscirà e anche se non si
riuscirà a portare in Parlamento rappresentanti della LCN: la cultura è
il luogo e lo strumento possibile di un nuovo Risorgimento, capace di
aiutare nella ricostruzione di un tessuto morale collettivo, di
combattere la disgregazione sociale. Oltre a mettere in moto economie, è
attraverso il lavoro culturale che si può riattivare senso civico,
offrendo intrattenimento di alto profilo. Si è parlato giustamente di
“rinascita culturale”, come volano della rinascita dell’intero Paese.
“La cultura non si mangia”, aveva sentenziato un ex ministro. È vero,
non si mangia, ma la cultura fa mangiare. E senza cultura non ci può
essere economia. Né politica.
18. Una nuova politica deve
tesaurizzare l’esperienza dei movimenti, senza apologie dello
spontaneismo, ma deve essere anzi consapevole che le forme organizzate
sono essenziali, l che non deve riportarci al verticismo, a procedure
nascoste, a decisioni assunte da tre persone rinchiuse in una stanza,
in segreto.
19. Occorre, però, lavorare per mettere da parte
preclusioni, esclusioni, pregiudiziali; l’unità di chi condivide i
punti fondamentali sopraindicati, e i tanti altri possibili ad essi
connessi, deve essere un obiettivo in grado di impedire che le
differenze (di esperienze individuali, collettive, associazionistiche,
sindacali, partitiche, di movimento…) siano vissute come ostacoli
invece che arricchimento reciproco. I partiti ancora vigenti, che hanno
in questi anni respinto prima il berlusconismo e il leghismo, e quindi
il montismo, devono uscire dalla loro autoreferenzialità e lavorare in
rete, con i movimenti territoriali e non: devono dialogare con gruppi e
gruppetti, con le miriadi di forze sparse, spontanee, creative:
apprendendo da loro, per rinnovarsi. Non è richiesto che si sciolgano,
ma devono rinunciare alle loro “identità”, almeno ai fini di una
presenza forte nelle liste elettorali, senza rinnegare il proprio
patrimonio ideale, il proprio bagaglio storico, e anche il proprio
orgoglio, per diventare parte integrante della LCN.
20. Infine,
come dovrà essere impostata la “nuova politica” per la LCN? Essa deve
passare certo per l’uso massiccio della Rete, ma senza farne un
feticcio. Non dimentichiamo che esistono gli individui, donne e uomini,
vecchi e giovani, “in carne ed ossa”. Accanto alla piazza virtuale,
non si trascuri la piazza fisica, non si dimentichi, parlando ad avatar
nell’etere, la dura (e meravigliosa) materialità delle persone. Le
pratiche referendarie hanno ridato fiato e centralità all’agorà:
abbiamo assistito a un vero “ritorno della piazza”, e occorre
conservare questo come un dato irrinunciabile. La piazza ha significato
certo anche violenze inutili e dannose da parte di qualcuno, ma
soprattutto un altrettanto intollerabile esercizio di violenza da parte
delle “forze dell’ordine”, che come in anni lontani sono apparse forze
dell’ordine capitalistico, cancellando decenni di lotte per la
democratizzazione dei corpi armati.
21. La politica degli ultimi
anni ha sofferto di scarsa capacità di ascolto. E di modesta capacità
prospettica. La politica è invece l’arte di guardare lontano, e se si
crede in un progetto come quello della LCN bisogna lavorare pensando di
continuare anche dopo le elezioni, quale che sia il loro esito. Una
forza collettiva, che superi le tentazioni identitarie e rompa antichi e
nuovi steccati, e unisca le diverse componenti di coloro che non ci
stanno a chinare la schiena davanti alla politica che coniuga austerità
e autoritarismo (la politica “austeritaria”), e che vogliono lottare
contro le disuguaglianze, e in difesa della Costituzione,
dell’ambiente, dei beni culturali, del tessuto economico sano; una
forza che voglia rappresentare i “subalterni”, gli schiacciati dai
grandi potentati economici, gli umiliati ed offesi, deve sapere fare
questo: guardare negli occhi le persone, e ascoltare la loro voce.
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