Stretto nell'angolo, senza direzione, senza idee, il PD ha trovato l'unico nome che potesse, in qualche maniera, ricompattare il partito. Quello di Romano Prodi.
Prodi è persona per bene, il suo nome non nasce da un patto col diavolo, ma è anzi il numero uno degli antiberlusconiani. Niente da dire.
Rimane però una candidatura debole. Intanto è una candidatura decisamente di parte, che non solo aliena il PDL ma difficilmente prenderà i voti grillini. Votare il proprio candidato è legittimo, ma vuol dire condannarsi all'isolamento. Meglio soli che male accompagnati, si dirà. Ma il messaggio del PD nei giorni scorsi è stato sempre l'opposto di questo. Una volta che il partito è andato in pezzi, una volta che la protesta è dilagata (e fino a ieri veniva ignorata, addirittura dileggiata da esponenti del PD che non "sentivano" la voce della base...), si è dovuto cambiare tattica e strategia in fretta e furia. Ma si rimane, comunque, un partito allo sbando, senza una idea precisa di quel che fare, trascinato dagli eventi invece che trascinatore.
Prodi inoltre, nonostante sia una persona per bene, è l'emblema, insieme a Berlusconi, della seconda Repubblica. Quella seconda Repubblica fallimentare, ormai marcia, che gli italiani ormai non sopportano più. E dunque Prodi non è proprio un segnale di rottura e cambiamento, tutt'altro.
Ma stava andando peggio, poteva andare peggio.
Il PD ha comunque perso un'occasione storica, ripartire da Rodotà per aprire una nuova stagione politica, e forse per tirare Grillo dentro il governo sulla base dei fatti, del cambiamento. Ma Rodotà è personaggio scomodo, troppo di sinistra, firmatario dell'appello per il voto al referendum bolognese che vuol togliere i soldi alla scuola privata, padre nobile dei movimenti per i beni pubblici. Tutte cose di sinistra. Troppo di sinistra per il PD.
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