di Nicola Melloni
da Liberazione
Appena avuta la fiducia dal Parlamento, il neo Primo Ministro Letta si è
imbarcato in un giro delle capitali europee che lo ha portato a
Berlino, Parigi, Madrid. Una mossa non casuale e quanto mai opportuna:
la crisi che attanaglia il Paese è, lo sappiamo benissimo, una crisi
europea e solo a livello europeo può essere risolta. Giusto dunque
andare a parlare con gli altri governi per trovare una soluzione.
Metodo giusto, ma inutile se non si hanno veri argomenti e vere proposte
su come uscire dalla crisi. Gli unici ad avere una posizione ferma e
stabile sono i tedeschi: la ripresa può avvenire solo con la deflazione
interna, la disoccupazione, i salari più bassi così da rilanciare le
esportazioni e, di seguito, la crescita. Il modello tedesco di dieci
anni fa, dicono a Berlino. Dimenticando qualche particolare, come
ricordato da Martin Wolf sul Financial Times: la Germania ha
potuto attuare la famosa ristrutturazione della sua economia grazie alla
presenza di una forte e moderna industria manifatturiera; e lo ha fatto
in una situazione macroeconomica mondiale totalmente diversa dalla
presente, con la domanda molto elevata, finanziata soprattutto dai
crediti dei paesi esportatori, la Cina, in primo luogo, e poi la
Germania stessa. Semplificando, così come i cinesi prestavano dollari
agli americani per comprare beni cinesi, così gli euro tedeschi
finanziavano le spese spagnole, irlandesi, etc… rivolte soprattutto
verso l’acquisto di beni prodotti in Germania.
Una situazione non replicabile: per prima cosa in molti paesi europei
l’industria manifatturiera è debole, impreparata, o marginale. Solo
l’Italia, con un ritardo decennale in termini di produttività ed
innovazione, e parzialmente la Francia, hanno settori industriali di un
certo spessore. Ma anche in questo caso la ricetta tedesca è
inapplicabile. Il punto fondamentale è che per vendere c’è bisogno di
avere compratori, cosa di cui c’è assoluta carenza in una situazione di
crisi internazionale. Per di più i tedeschi, invece di fare la loro
parte, cioè i compratori, in questo caso, spingono loro stessi sul
pedale dell’austerity comprimendo artificialmente la propria economia e le loro importazioni.
Puntare sull’export, dunque, è una strategia perdente, che prolungherà
la crisi, che comprimerà i salari e aumenterà (ancora) la disoccupazione
senza riuscire a rilanciare la crescita. Su questo si dovrebbero
concentrare Italia, Spagna ed anche Francia. Che dovrebbero formare
esattamente quello che Letta ha accuratamente escluso, una lega
anti-tedesca per ristabilire un ordine economico alternativo a livello
europeo. Invece il nostro Primo Ministro continua a predicare la
parabola dei conti in ordine, quando ormai è chiaro a tutti che è la
crisi ad aumentare il debito, e non il debito a causare la crisi – anche
se è ovviamente vero che il debito accumulato nel passato rappresenta
comunque un macigno per l’economia italiana. Che va però affrontato a
tempo “debito” e non nel mezzo della recessione.
Quello di cui c’è bisogno è un rilancio della domanda interna, sia
pubblica che privata. Letta a Parigi e Madrid ha parlato di crescita ma
non ha capito che questa crescita può avvenire solo abbandonando tout court l’austerity
che invece ha riaffermato a Berlino: una vera e propria contraddizione
in termini. Sia chiaro che Letta non è il solo colpevole, il governo
spagnolo è sordo e muto davanti alla crisi e anche Hollande, che pure
chiede (e ottiene) più tempo per abbassare il deficit, adotta nella
sostanza il modello tedesco flessibilizzando il mercato del lavoro per
diminuire i salari.
Il tour europeo è stata una perdita di tempo. A Berlino si è ammiccato
ai tedeschi, a Parigi si è brindato con i francesi: per gli italiani,
tante parole e nessun fatto.
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