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martedì 28 maggio 2013

A Bologna il PD dà i numeri

A Bologna si è votato per il referendum sui soldi alle scuole private. Un netto successo di coloro che li vogliono togliere (quasi il 60%) ma l'affluenza è stata bassa, poco sotto il 30%. Ed allora, tutti a parlare di affluenza bassa, bassissima. Addirittura di soldi buttati via per il referendum che non ha avuto seguito. Ma è andata davvero così?
Certo l'affluenza non è stata lusinghiera, ma le cose andrebbero messe nel giusto contesto. Per prima cosa guardiamo le forze in campo. Per l'opzione B, quella perdente, sono scesi in campo il Sindaco, il PD, il PDL, il Governo, la CEI, le associazioni industriali e commerciali, la CISL. Eppure non sono riusciti a motivare il loro blocco sociale di riferimento, che è rimasto a casa. Dall'altra parte c'erano il comitato referendario, SEL, Rifondazione, la FIOM. Il risultato dell'A (il 16% circa dei voti assoluti, tra il 22 ed il 25% se traslati sulle elezioni amministrative) va ben oltre la forza elettorale di quei soggetti. Dunque, se i numeri assoluti sono deludenti, lo sono quasi soltanto per il PD, il Sindaco e chi sosteneva che il modello Bologna funzionasse benissimo.
Per nascondere questo smacco, e per cercare di defraudare i referendari di una chiara vittoria, si tenta allora di concentrarsi sull'affluenza assoluta. Dimenticandosi però che a Bologna si votava per un referendum consultivo, con il Sindaco che aveva già detto a chiare lettere che se ne sarebbe comunque infischiato del risultato. In generale, poi, c'è una grande disaffezione per le tornate elettorali, giudicate a torto o ragioni inutili (e certo le parole del Sindaco Merola non migliorano la situazione). A Roma hanno votato a malapena il 50% degli aventi diritto, ma per il sindaco, una campagna che ha avuto una risonanza nazionale ben superiore alla consultazione bolognese. E nelle sedi del PD si canta vittoria per il risultato di Marino, pure con un crollo di voti rispetto a quelli presi da Rutelli (!!!!). Ma la partecipazione, si sa, conta solo quando si perde.
Ed infatti nel PD ci si dimentica che alle primarie - quelle che hanno mobilitato il popolo del centrosinistra, quello impegnato, quello attivo - a Bologna votarono 28 mila persone, 1/3 di quelle che hanno votato per il referendum. In entrambi i casi si tratta di partecipazione civica. In un caso è un successo, nell'altro un flop. Mah...
Ma la prova del nove arriva quando il segretario bolognese del PD sostiene che trattandosi solo di una piccola minoranza, il risultato non è significativo e dunque non vincola il Comune. Eppure a livello nazionale si è sostenuto che non si poteva non tenere conto del 22% di Berlusconi (che sul totale avente diritto, era circa il 16%...pensa un po', circa la % presa dai promotori del referendum!). E proprio su questa base si è cercato prima di votare Marini e si è poi scelto Napolitano e le larghe intese. A Roma, un 16% così importante da affondare 20 anni di pseudo-contrapposizione. A Bologna, un 16% che disturba l'oligarchia al comando.

domenica 26 maggio 2013

Il referendum di Bologna per una scuola di serie A

La fortuna è di essere bolognese, anche se emigrato. Così, preso un aereo, posso tornare per votare al referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie. Una scelta che posso così sintetizzare: da una parte le ragioni della logica, del diritto, della Costituzione e pure del buon senso. Dall'altra una campagna scorretta, sguaiata, da anni 50. Il Comune invita a votare B come bambini come se i promotori del referendum volessero male ai bambini. Li vogliono lasciare in mezzo alla strada, dicono. E quando mai?
Il Comune finanzia ogni anno le scuole private paritarie con 1 milione di euro. 600 euro a bambino, contribuendo alla retta per chi decide (o è costretto) di andare nelle paritarie. Nel frattempo,  a inizio anno, 400 bambini sono rimasti esclusi da un posto al nido, poi ridotti con i salti mortali a 100. Col milione di euro si garantirebbero nella scuola pubblica 300 posti aggiuntivi, dunque non ci sarebbero più bambini a casa. Il Comune sostiene che se venissero però tolti i finanziamenti alla private ci sarebbero molti altri bambini impossibilitati ad andare all'asilo, non potendosi permettere il costo aggiuntivo. Non ci sono però dati che supportano tale tesi, la % di bambini nelle paritarie è rimasta immutata prima e dopo il finanziamento pubblico.
Non basta: le scuole paritaria, al 90% confessionali, già ricevono finanziamenti pubblici con l'8 per mille. Eppure vogliono ancora altri soldi per funzionare correttamente. Semplicemente sono scuole inefficienti, che vorrebbero dare libertà di scelta, che si mettono in concorrenza col pubblico e trasformano l'istruzione in un mercato. Ma sono incapaci di competere nel suddetto mercato, ciucciano la mammella pubblica perché non sono in grado di competere in maniera efficiente.
Sarà dunque un problema loro reperire risorse aggiuntive o migliorare il bilancio per attrarre altri bambini non ricchi - a meno che l'insegnamento confessionale non sia un diritto solo dei più abbienti.
Il sindaco di Bologna ed il PD tutto, con l'aiuto pure del Ministro della Pubblica Istruzione, accusano i referendari di fare una campagna ideologica, quando è ormai chiaro che si tratta di una battaglia in difesa della Costituzione e della Scuola Pubblica. Soprattutto, il Comune non sembra accorgersi che la B che invitano a votare, è la B di business, quello che gli istituti paritari fanno sulla testa dei bambini e dei genitori bolognesi. Propagano la loro fede, ma non a gratis. Fanno pagare le famiglie e pretendono che paghino anche i contribuenti.
Merola si è, un pò pateticamente rivolto a coloro che una volta erano bambini bolognesi e ora sono genitori affinchè votino per il sistema Bologna, quello che garantisce il diritto all'asilo. Si dimentica, ahimè di dire, che quando quei genitori andavano all'asilo non c'erano i finanziamenti alle scuole private (iniziati nel 95, in concomitanza con l'Ulivo, sarà un caso...). Eppure il diritto all'asilo era garantito meglio di adesso.
Si informi, Merola, prima di fare figuracce.

martedì 30 aprile 2013

L'Emilia rossa diventa grillina

Riportiamo un interessante articolo di Dario Di Vico sulla crisi del modello emiliano, per anni e decenni il fiore all'occhiello del Partito Comunista ed esempio di buon governo, socialità, opportunità e di come la socialdemocrazia scandinava potesse funzionare anche in Italia. Un modello ormai sfiorito, però, come ribadisce anche Di Vico. Gonfi e tronfi per i risultati non da loro ottenuti, ma ereditati da chi aveva costruito prima di loro, gli amministratori emiliani - e quelli bolognesi in particolare - hanno smesso di investire su capitale umano, infrastrutture, sono divenuti sordi al cambiamento e alle esigenze delle persone. Sono stati incapaci di mantenere il passo della modernità, risultando in una crisi politica senza precedenti, dal successo di Guazzaloca ormai quasi 15 anni fa, al fallimento politico del periodo di Cofferati, all'imbarazzante scandalo Del Bono. Nel mezzo, problemi mai risolti, l'affaire Civis, la qualità della vita in costante calo, il proverbiale civismo emiliano in crisi. E con un referendum contro le scuole private a Bologna che rischia di diventare un atto di accusa contro l'incapacità del PD di fare non solo buona politica, ma anche buona amministrazione. Mentre  il M5S avanza.

Il paradosso di Bologna, alto capitale sociale e bassa circolazione delle élite

di Dario Di Vico
da Style
 Il tema è venuto fuori durante la recente presentazione del libro di Franco Mosconi sul modello emiliano. La sede non poteva essere più congeniale: la biblioteca della casa editrice del Mulino. Provo a sintetizzarlo: come è possibile che Bologna e la sua regione, territori ad alto capitale sociale, appaiano all’esterno come “società chiuse”, caratterizzate da una scarsa circolazione delle élite?  Sul primo assunto c’è poco da discutere. Studiosi di numerosi Paesi hanno lodato negli anni la capacità sistemica del modello emiliano, l’aver saputo creare una robusta infrastruttura civile di partecipazione che si è rivelata nel tempo uno dei caratteri distintivi del territorio. E’ chiaro che ciò è stato possibile non solo in virtù del genius loci ma di un connubio strettissimo tra le culture preesistenti e il pensiero della sinistra, da tempo immemore maggioritaria da queste parti. Il pensiero di una sinistra “compiuta” che qui è riuscita ad essere/rimanere ancorata alle radici popolari e quasi mai animata da un sentimento di superiorità antropologica nei confronti dell’avversario o dell’elettore medio. Questa infrastruttura civile è stata determinante per migliorare la qualità dei servizi offerti dall’operatore pubblico, per creare un circuito positivo di consenso con la popolazione, per alimentare un diffuso sentimento di appartenenza. Politica e antropologia sono stati un tutt’uno. L’insieme di questi fattori ci siamo abituati a catalogarlo come “capitale sociale” ma ci siamo anche pigramente acconciati a considerarlo immutabile nel tempo. E invece come accade per le infrastrutture fisiche anche quelle civili risentono dell’uso e nel caso in esame di una progressiva tendenza a fabbricare procedure, riti, macchine politico-amministrative. Se volessimo restare nell’ambito del lessico finanziario usato come metafora potremmo dire che nel tempo il modello emiliano non è stato capace di operare degli aumenti di capitale sociale, si è considerato sufficientemente patrimonializzato all’infinito. Niente di grave, capita anche ai migliori. Guai però a dimenticarsene e ripetere le frasi fatte, bearsi del medagliere e dimenticare le sfide in essere. E la principale delle contese in campo oggi riguarda sicuramente la circolazione delle élite. Le società chiuse operano prevalentemente per cooptazione, includono con il contagocce e lasciano prevalere gli stessi cognomi, spesso doppi cognomi. Sta accadendo qualcosa del genere a Bologna e in Emilia? Penso proprio di sì, anche se si fatica a tematizzarlo, c’è una convenzione politico-culturale che porta a sottolineare lo stock di patrimonio sociale ma non i flussi. E invece se una società vuole rinnovarsi deve badare innanzitutto ad assicurare mobilità “nuova” al suo interno e un’adeguata e costante liberalizzazione delle élite. La reazione degli elettori che hanno premiato ad abundantiam i grillini è anche (in parte) una reazione alla mancata movimentazione sociale. Non è un caso, del resto, che l’Emilia sia considerata la culla del Movimento 5 Stelle.

giovedì 4 aprile 2013

In difesa della scuola pubblica, a Bologna, in Italia


DI SEGUITO RIPETIAMO L'APPELLO PER LA DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA, DAL SITO DI ART. 33. PER FIRMARE CLICKATE QUI!

A chi è disposto a battersi per la scuola pubblica.
A chi ritiene che le politiche di tagli alla scuola pubblica e finanziamento a quella privata tradiscano l’articolo 33 della Costituzione nel suo spirito autentico, là dove stabilisce che: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
A chi ritiene che solo una scuola aperta a tutti, laica, gratuita, inclusiva, moderna e di qualità possa impegnarsi a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (Art. 3).
A chi pensa che fra i banchi della scuola pubblica si gettino le basi per una cittadinanza consapevole e per il futuro del nostro paese.
Il 26 maggio a Bologna si terrà un referendum consultivo sul finanziamento comunale alle scuole paritarie private, grazie alla raccolta di tredicimila firme di cittadini e cittadine che hanno chiesto di potersi esprimere su questo tema.
La cittadinanza dovrà dare un voto di indirizzo per l’amministrazione su cosa sia meglio per garantire il diritto all’istruzione dei bambini e delle bambine: continuare a erogare un milione di euro annui alle scuole paritarie private, come avviene ora, oppure utilizzare quelle risorse per le scuole comunali e statali.
La portata di questo referendum va ben oltre i confini comunali. E’ l’occasione per dare un segnale forte contro i continui tagli alla scuola pubblica e l’aumento dei fondi alle scuole paritarie private.
In Italia c’è urgente bisogno di rifinanziare e riqualificare la scuola pubblica, quella che non fa distinzioni di censo, di religione, di provenienza. Quella dove le giovani cittadine e i giovani cittadini italiani ed europei imparano la convivenza nella diversità.
Da Bologna può ripartire un movimento di cittadini che impegni le amministrazioni locali e il prossimo governo a restituire alla scuola pubblica la dignità e la qualità che le spettano.

L’alternativa è una lenta rovina fino alla fine della scuola pubblica per come l’abbiamo conosciuta.
IL 26 MAGGIO A BOLOGNA POSSIAMO FERMARE L’OFFENSIVA CONTRO LA SCUOLA PUBBLICA.
IL 26 MAGGIO A BOLOGNA POSSIAMO DARE L’ESEMPIO A TANTI ALTRI E INSIEME INIZIARE A IMMAGINARE UN AVVENIRE DIVERSO PER NOI, PER I NOSTRI FIGLI E LE NOSTRE FIGLIE.

Primi firmatari:
  • Stefano Rodotà, presidente d’onore del Comitato referendario Art.33
  • Andrea Camilleri, scrittore
  • Margherita Hack, astrofisica e scrittrice
  • Salvatore Settis, Scuola Normale di Pisa, archeologo e saggista
  • Nadia Urbinati, Columbia University, New York, politologa, saggista ed editorialista de “La Repubblica”
  • Angelo Guglielmi, scrittore e giornalista, già direttore di RAI3, già assessore alla Cultura del Comune di Bologna
  • Carlo Flamigni, Comitato Nazionale di Bioetica
  • Wu Ming, scrittori
  • Maurizio Landini, segretario generale FIOM-CGIL
  • Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto costituzionale all’università di Napoli
  • Romano Luperini, Università di Siena e Università di Toronto.
  • Luciano Gallino, Università di Torino
  • Lella Costa, attrice
  • Domenico Pantaleo, segretario generale FLC-CGIL
  • Lea Melandri, saggista Università delle donne Milano
  • Goffredo Fofi, saggista, giornalista, critico
  • Antonio Genovese, Università di Bologna
  • Sabina Guzzanti, attrice 
  • Ivano Marescotti, attore
  • Piero Bevilacqua, La Sapienza, Roma 
  • Vittorio Capecchi, Università di Bologna
  • Maurizio Fabbri, Università di Bologna
  • Nicola Tranfaglia, Università di Torino
  • Francesco Sylos Labini, Isituto Enrico Fermi, Roma
  • Maurizio Tiriticco, ispettore MIUR, Roma
  • Angelo Mastrandrea, giornalista
  • Loredana Lipperini giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica
  • Nicola Colaianni  Università di Bari
  • Carlo Formenti, giornalista e saggista
  • Moni Ovadia, musicista, scrittore

lunedì 25 marzo 2013

Due o tre cose che potrebbe fare il PD

Dentro il PD si è già scatenata la battaglia, da una parte quelli, alla Fassina, che vogliono un governo di rottura, dall'altra chi, come i seguaci di Renzi (e, immaginiamo, tanti vecchi big), vuole un governo di scopo con Berlusconi, probabilmente con l'appoggio del Colle. Circa sulla stessa linea si dividono i grandi giornali, col Corriere che parla di aperture a Monti, Cancelleri, addirittura Bombassei, mentre la Repubblica racconta di un Bersani con Rodotà e altre personalità d'area.
Il problema non è di poco conto. Berlusconi vuole l'accordo ma non il cambiamento; Grillo invece, dice di voler cambiare le cose ma non vuole nessun accordo. A soffrirne sarebbe solo il Paese che ha bisogno di un vero e proprio cambio di marcia.
Partendo magari dalle cose più semplici che sono anche quelle di maggiore impatto. Per esempio sul Corriere di domenica Dario di Vico ha raccontato la situazione disastrosa dei pendolari italiani, tra chi va in macchina, chi in bus, chi in treno, con una disorganizzazione totale, una rete obsoleta, infrastrutture inadeguate. Ebbene, in una situazione del genere, con pochi soldi e quindi con la necessità di fare scelte, non sarebbe un segnale di grandissima discontinuità sospendere a tempo indeterminato la TAV Torino-Lione e dedicare tutte quelle risorse al problema dei pendolari? La TAV, si dice, porta investimenti (sicuramente), lavoro (in parte), crescita (tutto da dimostrare) ma poco o nessun miglioramento nella qualità della vita delle persone. Una modernizzazione del sistema pendolare invece potrebbe allo stesso tempo avere un effetto benefico sulla vita di milioni di persone ed anche migliorar notevolmente la produttività (niente ritardi, meno stress, meno tempi morti e persi, etc etc..).
Nella stessa maniera si potrebbe decidere di cancellare completamente il programma degli F 35. Non una riduzione degli apparecchi comprati, proprio una rinuncia al programma, come per altro fatto senza scandali da altri Paesi, anche in virtù di un prodotto che, secondo molti mezzi di informazione tra cui il NYT, ha una spesa completamente fuori controllo e difetti tecnici disastrosi. Anche qui, i soldi per la ricerca servirebbero come il pane, per costruire basi solide per il presente e soprattutto il futuro del paese, per non perdere più talenti e intelligenze ma per attirarle, per rendere un servizio al sistema economico integrato, per investire in uno dei settori chiavi del Paese, l'Università.
Ed infine, la scuola pubblica. A Bologna a Maggio si terrà un referendum per togliere i fondi alle scuole private paritarie. Come si ricorderà il dettato costituzionale spiega chiaramente che alle scuole private è riconosciuta pari dignità ma senza oneri per lo Stato. Cosa puntualmente disattesa da Governo, Regioni e Comuni, comprese indubbiamente tante amministrazione di centrosinistra. Ecco, sarebbe bello che per rispetto sia ai cittadini che alla legge il PD chiudesse immediatamente questo assurdo movimento di soldi verso le private. Nella scuola pubblica non ci sono i soldi per la carta igienica e intanto paghiamo parte della retta (che rimane comunque più cara che nel pubblico) finanziando le scuole private?
Qui non si tratta diciamolo chiaramente, di fare niente di rivoluzionario, semplicemente di buon senso. Di stare dalla parte dei cittadini. Di non trincerarsi dietro interessi più grandi e spesso intangibili per i più. Ma di concentrarsi in progetti che migliorino, giorno per giorno, la vita degli italiani. Programmi inattaccabili cui dovrebbero dare il voto tutti quelli cui interessa il futuro dell'Italia.

venerdì 22 marzo 2013

Scuole private, fondi pubblici e il referendum di Bologna

Proponiamo due ulteriori post sul referendum sui soldi alle scuole paritarie a Bologna. Il primo pezzo è preso ancora una volta dal sito di Wu Ming. Una lettrice (che teniamo anonima) si domanda quale sia l'utilità pratica di tagliare i fondi alle private se questo rischia di compromettere il diritto allo studio.
Wu Ming 4 risponde nel dettaglio.
Il secondo pezzo è una lettera aperta di una madre bolognese, elettrice del PD, che chiede chiarezza al suo partito sul referendum e sull'uso dei soldi pubblici.

Domanda: salve, a proposito di democrazia, se il referendum consultivo (non abrogativo, fortunatamente), dovesse passare, il consiglio comunale di Bologna, votato democraticamente dai cittadini, cosa dovrebbe fare, farsi influenzare dal 50% + 1 dei votanti, oppure mantenere fede al programma grazie al quale è stato votato dai cittadini (programma dove non si menzionava un cambio di rotta sui finanzimenti alle paritarie)? Inoltre, il milione di euro destinato oggi dal comune alle materne paritarie, a cosa sarebbe destinato nello specifico? Chi si dimostra entusiasta per il referendum ha figli? Lo sa che grazie ai soldi che vengono dati dal comune alle paritarie molti bambini riescono ad andare alla materna? Che altrimenti sarebbero esclusi? Lo sa che molto spesso ad andare alle paritarie sono cittadini stranieri che altrimenti non saprebbero dove mettere i figli e non fantomatici fighetti? Chi promuove questo referendum e chi lo appoggia, ha voglia di scatenare una guerra fra poveri? Di mettere ancora più in difficoltà famiglie stremate dalla crisi? In un mondo ideale la scuola pubblica dovrebbe avere tutti i fondi possibili. Nel 2013 già è molto se non torniamo alla lira. Saluti.


Risposta di Wu Ming 4: Salve. Rispondo nell’ordine alle domande:
1) “Cosa dovrebbe fare” il Comune se al referendum consultivo dovesse vincere l’opzione A?
Innanzi tutto, essendo un referendum consultivo, quindi senza quorum, immagino che dovrà tenere conto di quanti cittadini saranno andati a votare. L’ultimo referendum consultivo a Bologna è stato fatto nel 1997, sulla privatizzazione delle farmacie comunali. Andò a votare il 36% degli aventi diritto, vinsero i contrari alla privatizzazione, ma per il Comune i votanti erano troppo pochi e quindi procedette ugualmente (e legittimamente) a privatizzare il comparto.
Il referendum consultivo dà indicazioni sull’indirizzo politico che una giunta dovrebbe adottare. Starà poi al governo della città decidere se tenere conto del parere dei cittadini oppure no e accettarne le conseguenze. Se la Giunta preferisce tenere in conto il parere della Curia, dei partiti di centrodestra, della FISM e di Comunione e Liberazione, che la affiancano in questa battaglia, anziché quello dei referendari, vedremo quali frutti raccoglierà alla prossima tornata elettorale. Mi permetto di far notare che a livello nazionale stare con quelle forze per tutto il mandato Monti ha portato al centrosinistra i risultati che abbiamo visto.
2) “Il milione di euro destinato oggi dal comune alle materne paritarie, a cosa sarebbe destinato nello specifico?”.
In base al quesito referendario, il milione di euro dovrebbe essere assegnato alla scuola pubblica comunale e statale. Nello specifico le voci di spesa non mancano di sicuro, direi che c’è l’imbarazzo della scelta.
3) “Chi si dimostra entusiasta per il referendum ha figli? “.
Non mi risulta siano state fatte indagini sulla composizione famigliare dei sostenitori del referendum. Posso dire che io, che lo sostengo, ho due figli. E che l’Associazione genitori insegnanti di Bologna e provincia (che presumibilmente include, appunto, dei genitori) appoggia il referendum.
4) “Lo sa che grazie ai soldi che vengono dati dal comune alle paritarie molti bambini riescono ad andare alla materna?”.
Tutti sanno che grazie ai finanziamenti comunali alle paritarie molti bambini possono andare alla materna. Si presume che quel milione non venga investito in altro, altrimenti più che fare un referendum toccherebbe chiamare i Carabinieri.
5) “Che altrimenti sarebbero esclusi?”.
La FISM sostiene che senza quel finanziamento 400 famiglie sarebbero costrette ritirare i figli dalle paritarie. Non so in base a cosa venga fatto questo calcolo. Di certo c’è che in questo momento ci sono 103 bambini che non hanno potuto accedere alla scuola pubblica a fronte di 96 posti liberi nelle paritarie private. Significa che quelle famiglie o non condividono l’impianto cattolico delle scuole FISM oppure non possono pagare le rette. Il diritto che viene leso in questo momento è quello di quei 103 bambini e bambine.
6) “Lo sa che molto spesso ad andare alle paritarie sono cittadini stranieri che altrimenti non saprebbero dove mettere i figli…?”.
La percentuale di stranieri iscritti alle scuole paritarie private è 1,8%, contro il 17,3% nella scuola pubblica. Anche in questo caso pare evidente che moltissimi stranieri emigrati a Bologna non possono permettersi le rette della scuola privata paritaria, oltre probabilmente a non condividerne l’impostazione confessionale.
7) “Chi promuove questo referendum e chi lo appoggia, ha voglia di scatenare una guerra fra poveri? Di mettere ancora più in difficoltà famiglie stremate dalla crisi?”.
E’ precisamente per evitare che i poveri soccombano alla crisi che è necessario dare un segnale politico per rifinanziare la scuola pubblica, laica, gratuita, per cattolici e non, per poveri e non. La scuola per tutti, insomma.
8) “In un mondo ideale la scuola pubblica dovrebbe avere tutti i fondi possibili”.
Ecco noi pensiamo invece che nel mondo reale la scuola pubblica dovrebbe avere tutti i fondi possibili. E’ per questo che si fa il referendum :-)


CARO SINDACO
di La Pasionaria
da lapasionaria.it


Caro Sindaco
noi non ci conosciamo personalmente.
Mi chiamo Barbara Galli, sono bolognese, abito nel quartiere della Bolognina, ho quarantacinque anni, e sono una mamma lavoratrice di quattro figlie.
Visto che ti ho votato alle ultime elezioni, mi permetto di scriverti dicendoti subito, che è la prima e l’ultima volta che scrivo a un sindaco, o a un politico in generale, perché so che voi politici, tutti quanti, di tutti gli schieramenti, siete molto impegnati nella vostra attività principale che è quella -o dovrebbe essere quella- di governare noi cittadini, e se noi cittadini ci mettessimo tutti a scrivervi, tutti i giorni, quando qualcosa che non va, oppure perché ci alziamo storti la mattina, e ci viene in mente una lamentela qualsiasi anche giusta magari, e voi doveste leggerci tutti quanti, e con attenzione, io me lo immagino che non se ne uscirebbe più: le vostre mail o le vostre cassette della posta, sarebbero intasate, e questo andrebbe a discapito della vostra importante attività, che è quella di governare noi cittadini.
Diciamo che ti prometto solennemente -e ogni promessa è debito- che questa mia lettera, è la prima e l’ultima che mando a te o a un qualunque altro politico, di qualsiasi schieramento, è la prima e l’ultima lettera di protesta, che mando alle istituzioni insomma, e quindi ti chiederei di leggerla con attenzione, ché evidentemente, se decido di giocarmi l’unica possibilità che ho nella vita di mandare una lettera a un politico, vorrà dire che penso che sia una cosa importante da fare, insomma ti chiedo di fidarti del mio giudizio, che è quello di un’elettrice del Pd, che ti ha votato: ti chiederei di starmi ad ascoltare cinque minuti, caro sindaco.
Io ti scrivo perché, secondo me, e te lo dico come elettrice del Pd -e dunque quello che fa il Pd è anche un po’ una cosa che mi riguarda- il Pd a Bologna, rispetto al Referendum del finanziamento alle paritarie, non sta tenendo l’atteggiamento giusto, quello che i suoi elettori si aspettano da lui e cioè favorire con ogni mezzo, questo referendum.
Il Pd, caro sindaco mi permetto di scriverlo pubblicamente, dovrebbe farsi carico, di questa battaglia di principio, visto che stiamo parlando non solo di salvaguardare la scuola pubblica, ma piuttosto di tutelare un giusto ed equo utilizzo, del denaro pubblico.
Le scuole paritarie, non so se lo sai, non funzionano esattamente come le scuole pubbliche:
la possibilità di accesso alle materne private paritarie, viene effettuata in base a criteri discrezionali, decisi da ogni singola scuola.
Vogliamo proprio continuare con questi finanziamenti alle scuole paritarie? Se si, allora caro sindaco, ho una proposta per te:  propongo di modificare i criteri per accedere ai servizi che offrono le scuole paritarie, adeguando i criteri di accesso a quelli della scuola pubblica, cioè adottando gli stessi parametri cioè in pratica, istituendo anche loro delle graduatorie per l’iscrizione.
Vabbè è una provocazione, allora facciamo le cose per bene: facciamo di tutto perché la gente di Bologna esprima il proprio giudizio su questa questione che non è secondaria, anzi tutt’altro, è una questione di principio, quindi una questione molto importante.
Caro sindaco sarò onesta fino in fondo con te: due figlie delle mie quattro figlie hanno frequentato materne paritarie, perché in quel momento quando ho dovuto iscriverle cioè, dal punto di vista dell’organizzazione della mia famiglia era più comodo così, cioè mandarle alle paritarie, anche se in linea di principio le avrei mandate volentieri alle materne pubbliche, ma vedi caro singolo, il singolo cittadino, anzi in questo caso la singola cittadina, che lavora e ha dei figli fa prevalere nelle sue scelte di vita, le esigenze pratiche, lo capirai bene il perché non è una martire, mentre invece secondo me, la politica dovrebbe ragionare al contrario e cioè dovrebbe salvaguardare dei principi, ovvero dovrebbe fare di ogni decisione, una questione morale.
Caro sindaco, io come cittadina che ha votato Pd, mi permetto di chiederti di ripensare alla questione, magari partecipando alla manifestazione di domani pomeriggio in Piazza Maggiore, a favore del Referendum.
Pensaci su, va là caro Virginio – posso chiamarti così vero?-, perché davvero il Pd che mi aspetto, quello che sogno, non può decidere di boicottare questo referendum solo per motivi di opportunità economica, ché la politica in cui le persone possono e vogliono credere, è quella dei principi e non solo quella dei valori di bilancio.
Ciao,
Barbara

mercoledì 20 marzo 2013

Il PD vuole o non vuole cambiare? A Bologna referendum sui finanziamenti alle scuole private


Eccoci qui, alla prova del nove, o dell'otto, se volete. Come i punti del programma post-elezioni di Bersani, che includono anche l'istruzione. Nuovi investimenti, dice. Ma per chi? Scuola pubblica o privata? A Bologna un gruppo di cittadini ha raccolto 13 mila firme per un referendum per togliere i fondi (1 milione all'anno) alle scuole materne private (leggi, cattoliche). Sembrerebbe quasi ovvio: la Costituzione dice scuole private si, ma senza aggravio per le casse pubbliche. Inoltre siamo in crisi, non ci sono soldi, sarebbe dunque il caso di concentrarsi sul servizio pubblico. Invece no. Il PD non ne vuole sapere e attacca pure la consultazione popolare, perche' butta via soldi. Se questa e' la maniera in cui si vuole cambiare, che brutto inizio.
Di seguito un articolo di Wu Ming su Internazionale riguardo la posta in gioco a Bologna.


Bologna e il partito poco democratico


di Wu Ming
da Internazionale

Questa è la storia di Davide contro Golia, Ulisse contro Polifemo, Beowulf contro Grendel. Solo che il finale è ancora da scrivere. È la storia di un gruppo di cittadini bolognesi, di varia provenienza ed età anagrafica, che di fronte al dissesto della scuola pubblica ha deciso di dare un segnale al manovratore. Prima che sia troppo tardi.
Questa è la storia di un comitato che si richiama all’articolo 33 della costituzione, che ha radunato intorno a sé alcune forze politiche minori, pezzi di sindacato, movimenti, associazioni, e ha sfidato l’intero apparato burocratico e politico dell’amministrazione locale, dei grandi partiti, della chiesa.
Un’impresa apparentemente folle, degna di un poema antico, che, comunque andrà a finire, merita di essere cantata.

Proemio
Il Comitato articolo 33 è nato nel 2011, per promuovere la raccolta delle firme necessarie a indire un referendum consultivo sui finanziamenti comunali alle scuole materne paritarie private.
Il motivo è presto detto: dopo le continue sforbiciate ai finanziamenti per la scuola pubblica da parte degli ultimi governi, il sistema della scuola d’infanzia cittadino inizia a mostrare la corda. Ebbene sì, nella città che ha inventato la scuola a tempo pieno per tutti, si cominciano a vedere i risultati dei tagli di spesa fatti nel corso degli anni. Anni in cui i soldi per la scuola pubblica anche a Bologna si sono fatti sempre più difficili da reperire e quelli per la scuola paritaria privata si sono invece saldamente assestati su un milione di euro all’anno.
Questa differenza di trattamento insiste sul sistema scolastico integrato, varato a metà anni novanta, quando si inclusero alcuni istituti privati nel sistema scolastico pubblico, consentendo loro l’accesso ai finanziamenti regionali e comunali. Il comune di Bologna stipulò l’accordo con la Fism (Federazione italiana scuole materne… “cattoliche”) garantendole la convenzione per cinquanta classi, che nel corso del tempo sono diventate più di settanta. Erano gli anni dell’Ulivo di Romano Prodi, quelli in cui ex comunisti ed ex democristiani gettavano le premesse del percorso che avrebbe poi portato alla nascita del Partito democratico. Anni di convergenze e do ut des. La scuola fu un banco di prova: nel 2000 il sistema integrato venne recepito su scala nazionale dal governo di centrosinistra (legge 62).
Il tempo è passato e oggi, complice la crisi economica, le contraddizioni di quel modello esplodono. Se ne accorgono i genitori bolognesi che oltre a vedere la scuola pubblica sempre più in affanno, rischiano di trovarsi con i figli a spasso.
Proprio così, i posti alla scuola materna pubblica scarseggiano. Quest’anno si è rischiato che rimanessero fuori quasi quattrocento bambini e bambine, e il comune ha dovuto gestire in emergenza quella che dovrebbe essere ordinaria amministrazione: mandare a scuola tutti i bambini, appunto. Pare infatti che gli sforbiciatori non abbiano tenuto conto dell’incremento demografico, che pure c’è, ed è anche costante.
In base al modello integrato, le scuole paritarie private avrebbero potuto assorbire gli esuberi, sennonché alla prova dei fatti ci si è accorti che non sono scuole per tutti. La stragrande maggioranza di questi istituti ha un’impostazione confessionale e rette non indifferenti per le tasche sempre più vuote dei cittadini (la media è tra i 200 e i 300 euro mensili). Che scelta avrebbero i genitori non cattolici e quelli meno abbienti?
Giunti in questo cul-de-sac, la domanda che si sono posti i cittadini riuniti nel Comitato articolo 33 è semplice: in tempi di crisi economica, in una società sempre più multireligiosa e multiculturale, mentre vengono ridotti i fondi alla scuola pubblica, che senso ha continuare a garantire la stessa quota di finanziamento comunale per le scuole private paritarie? Non sarebbe meglio destinare tutti i fondi comunali alla scuola gratuita, laica, pluralista, aperta a tutti, che ne ha un gran bisogno?
A giudicare dalle reazioni scomposte degli amministratori, pare che a Bologna questa sia una domanda irricevibile, addirittura impronunciabile. Come mettere in discussione un assioma matematico o una verità di fede. O, più prosaicamente, come toccare un dente cariato che duole.
Canto primo: ante elezioni
Sarebbero bastate novemila firme. Il Comitato articolo 33 ne ha raccolte tredicimila, consegnate in comune alla fine dell’anno scorso. Il referendum dunque si farà: il 26 maggio.
Questo ha aperto una faglia in città, che attraversa le forze politiche, i sindacati, le associazioni, la maggioranza consiliare.
Contro il referendum si sono schierati da subito la giunta comunale, il Pd, i partiti di centrodestra, la curia, Cl e altre associazioni cattoliche, la Fism.
Favorevoli al referendum, da subito: i consiglieri dei partiti minori di maggioranza (Sel e Idv) e tutti i partiti della sinistra radicale; il Movimento 5 stelle; i sindacati di base e alcune categorie della Cgil (Fiom e Flc); le chiese protestanti; diverse associazioni di genitori, insegnanti, precari della scuola.
I vertici sindacali hanno oscillato tra l’avversità manifesta per il referendum (Cisl) e lo scetticismo sulla sua opportunità (Cgil).
I contrari al referendum si appellano alla sorte dei 1.736 scolari delle paritarie private, sostenendo che sarebbero a rischio, qualora si dovessero togliere alle scuole parificate i fondi comunali. Queste infatti si vedrebbero costrette ad aumentare le rette e tutti coloro che non potessero permettersele dovrebbero essere riassorbiti nel sistema scolastico pubblico, con ulteriore aggravio per le casse comunali. Insomma se il referendum fosse vinto da chi vuole reindirizzare tutti i fondi comunali sulla scuola pubblica, il problema sarebbe aggravato anziché risolto.
Questa argomentazione è il cardine del fronte del no, ed è molto interessante, perché si basa su due false premesse e mette in luce un paradosso cruciale.
La prima premessa falsa è che si assume il referendum come abrogativo, quando invece è consultivo. I referendum consultivi servono a indirizzare le politiche pubbliche su determinate questioni: si tratta di avviare un percorso che porti come risultato finale al disimpegno del comune dal finanziamento alle scuole private, non certo dalla sera alla mattina.
La seconda premessa falsa è che si dà per scontato che, perso il milione di euro erogato dal comune, le scuole paritarie private non troverebbero altre fonti di finanziamento e che sarebbero costrette ad aumentare le rette in misura tale da produrre un esodo di massa verso la scuola pubblica. Anche questo non è dimostrato, non ci sono studi prospettici, indagini in questo senso. Ma l’argomento serve a creare panico.
Infine il paradosso che inquadra precisamente il problema. I difensori del modello integrato si ritrovano ad affermare che senza finanziare le scuole paritarie private – confessionali e a pagamento – non si potrebbe più garantire la scuola a tutti. Questo argomento svela precisamente la minaccia costituita dalla “sussidiarietà”, interpretata non già in senso verticale – lasciare spazio all’autonomia locale rispetto all’onnipresenza dello stato centrale, ogniqualvolta sia possibile – ma in senso orizzontale – ovvero rimpiazzare il servizio pubblico con quello fornito dal privato ogniqualvolta sia possibile. Il risultato è questo: trovarsi costretti a finanziare sempre più il privato per garantire il diritto all’istruzione, in un meccanismo perverso e canceroso che porta il privato a mangiarsi progressivamente il servizio pubblico dall’interno, invece di competere con esso dall’esterno. Il punto d’arrivo di questa logica l’abbiamo sotto gli occhi: le scuole pubbliche sovraffollate e in difficoltà, e i genitori costretti a scegliere tra mandare i figli alle scuole confessionali a pagamento o tenerli a casa.
Tuttavia pare che l’unica cosa che conti per gli amministratori sia risparmiare denaro. E finché la barca va, lasciala andare… Ma capita che ogni tanto la storia presenti il conto. Proprio non se l’aspettavano che tra la cosiddetta base, tra i bolognesi, il referendum trovasse tanto consenso, come non si aspettavano l’esito elettorale del 24 e 25 febbraio. Lo shock di non ritrovarsi primo partito del paese ha d’un tratto fatto evaporare tutta la spocchia e l’arroganza con cui i notabili cittadini avevano appellato il Comitato referendario fino a quel momento.
Il giorno dopo, i toni erano molto diversi.
Secondo canto: post elezioni
The day after… Qualche consigliere e neoeletto deputato del Pd, e perfino il segretario locale, hanno iniziato a suggerire una linea più dialogante sul referendum. Devono essersi accorti che quella che avevano considerato una fastidiosa perdita di tempo e denaro – la cittadinanza che si esprime su una scelta d’indirizzo – potrebbe anche diventare una rogna seria.
Come se non fosse bastata la sorpresa delle urne, il Comitato articolo 33 ha incassato l’adesione di Stefano Rodotà, il quale ha ricordato che “quando ci sono difficoltà economiche bisogna prima di tutto garantire le risorse per le scuole statali”.
Il capogruppo del Pd in regione ha proposto una exit strategy per l’amministrazione: eludere il risultato del referendum. Ha dichiarato che “per la politica e gli amministratori l’unico referendum che abbia un riscontro sono le urne, è il voto” e, siccome il sindaco Merola è stato eletto dalla maggioranza assoluta degli elettori e quegli elettori “hanno votato un programma”, adesso il sindaco ha il diritto di… tirare diritto.
Davvero un’argomentazione bislacca per l’esponente di un partito che si definisce democratico. Come se per vent’anni gli elettori del centrosinistra non avessero votato sotto il ricatto morale dell’egemonia berlusconiana, inghiottendo rospi su rospi, mentre si inseguiva il fantomatico centro. Una stagione che si è conclusa nell’abbraccio mortale con Mario Monti. Come se votare un candidato significasse appoggiare ogni singolo punto del suo programma, senza possibilità di suggerirgli parziali cambiamenti di rotta su questioni specifiche. Fa notare in un comunicato l’Assemblea genitori e insegnanti delle scuole di Bologna e provincia: “Sarebbe come dire che il referendum sull’acqua votato da 27 milioni di persone non ha alcun valore perché solo due anni prima Berlusconi aveva vinto le elezioni e di certo nel suo programma non c’era l’acqua-bene-comune”.
Il sindaco Merola arriva a dire che trova delirante spendere mezzo milione di euro per fare svolgere un referendum che riguarda un finanziamento da un milione. Anche in questo caso la logica con cui i “democratici” calcolano i costi della democrazia suona stramba: il milione di euro alle scuole paritarie viene dato ogni anno, quindi la posta in gioco è ben più alta. Il capogruppo consiliare del Movimento 5 stelle ha buon gioco nel replicare che “il referendum consultivo sui fondi pubblici alle materne private costa soldi, ma è un arricchimento per la democrazia”.
Intanto tra una consigliera comunale del Pd, già presidente provinciale dell’Aimc (Associazione italiana maestri cattolici), e la responsabile nazionale scuola dello stesso partito, accusata di avere propugnato una linea più morbida sul referendum, volano gli stracci, e le frecciate su Facebook si trasformano in querele.
Per citare ancora l’Associazione genitori e insegnanti: “Pare che il Partito democratico, malauguratamente, abbia perso la bussola e non da oggi”. Questo risulta evidente, almeno quanto la conclusione a cui giunge l’associazione: “La scuola pubblica è un bene troppo prezioso per essere lasciato nelle mani di politiche che hanno dimenticato perfino le prescrizioni della nostra carta costituzionale”.
Infine, papà, mamme, maestre e maestri si chiedono con sarcasmo: “Chissà perché il centrosinistra ha perso le elezioni imperdibili?”.
La risposta soffia nel vento. E il vento sta facendo il suo giro.
Finale
Il finale è aperto, dicevamo. La forza del risultato referendario dipenderà probabilmente da quanta gente andrà a votare. Ci auguriamo sia tanta. Vada come vada, questo piccolo grande “caso” merita di essere seguito con attenzione, perché potrebbe rappresentare un precedente nazionale interessante.
Se questo fosse davvero un poema ispirato a un’antica leggenda, allora si potrebbe sperare che l’eroe non muoia mentre compie l’impresa e riesca davvero a salvare la comunità dalla rovina. Che il piccolo Davide – pastore, musicista e poeta – possa atterrare il grande guerriero Golia. Staremo a vedere. 

venerdì 11 gennaio 2013

Scuole pubbliche, scuole private e la coda di paglia del sindaco di Bologna

Riprendiamo oggi il bellissimo articolo di Wu Ming 4 su Giap in cui si racconta di un tema sconosciuto ai più, il finanziamento da parte del Comune di Bologna delle scuole materne private e del referendum richiesto dai cittadini per bloccare questa palese violazione costituzionale. Referendum che si farà ma, guarda un po', non in concomitanza con le elezioni politiche - troppa confusione sotto il sole, un po' come diceva il Governo Berlusconi a proposito del referendum sul nucleare. Mezzucci ed espedienti di una classe politica alla frutta che usa delle technicalities per cercare di bloccare la partecipazione politica. Un bell'esempio della "democraticità" del PD. Ed un bell'esempio anche di quello che ci attende col prossimo governo, che continuerà a demolire la scuola pubblica dando soldi alle private. E d'altronde il trend fu iniziato negli anni 90 proprio dalla giunta dell'Emilia-Romagna con allora a capo un tal Bersani......



#Bologna: il referendum che verrà – di Wu Ming 4



Su Giap non ci occupiamo spesso degli affari bolognesi, perché diamo per scontato che interessino a una fetta piuttosto ristretta dei giapster. A volte però ci sono questioni locali sulle quali è difficile non prendere parola. E Giap è la nostra presa di parola pubblica. In questo caso, poi, la faccenda ci sembra emblematica di qualcosa che travalica i confini cittadini e regionali. Ed è per questo che ce ne occupiamo e non smetteremo di farlo.
Si tratta del referendum sul finanziamento comunale alle scuole paritarie private.
Per chi si fosse persa la puntata precedente, indispensabile per capire pregresso e contesto, è QUESTA.
Eccoci ad aggiornare sugli sviluppi e a ribadire un punto di vista.
1. Update
«Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per i soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere».
I. Calvino, “La Repubblica”, 15 marzo 1980
Il 5 dicembre scorso, il Comitato Articolo 33 ha depositato in Comune 13.000 firme a favore dell’indizione del referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie private. I numeri dunque ci sono.
Da quel giorno il comitato promotore ha iniziato un pressing sul Sindaco chiedendogli di accorpare il referendum alle elezioni politiche del prossimo febbraio, al fine di sfruttare la massima affluenza possibile dei cittadini alle urne.
Il Sindaco si è trincerato dietro lo statuto comunale: «C’è uno statuto che impedisce l’election day e sarà il consiglio comunale a valutare se sarà opportuno cambiarlo. Per me è inopportuno».
A quel punto il Comitato ha pubblicato a proprie spese un’inserzione su “La Repubblica” di Bologna per marcare stretta l’amministrazione comunale che tergiversava sulla data. Inserzione alla quale il partito di maggioranza ha risposto con un dépliant sul quale campeggiava lo slogan «Facciamo scuola non propaganda», accusando indirettamente i referendari di essere appunto dei propagandisti (di cosa? E per conto di chi? Il sospetto prima di tutto, ché si sa, l’avversario non può mica essere in buona fede…).
Infine, proprio due giorni fa, il Consiglio Comunale ha votato contro l’ipotesi di modifica dello statuto, bocciando l’accorpamento. Il Sindaco ha suggellato il tutto indicendo il referendum per il 26 maggio.
E’ interessante prendere in esame le argomentazioni del sindaco di Bologna e del suo partito, perché ci sembrano rivelatrici di una certa insofferenza per ciò che si muove ai piani bassi e di un certo nervosismo del manovratore.
2. Ragione di statuto
«Questo matrimonio non s’ha da fare».
A. Manzoni, I promessi sposi (1842)
A fare notare che lo statuto comunale non era un grande appiglio contro l’opportunità dell’accorpamento tra referendum ed elezioni politiche sono stati i giuristi che affiancano il Comitato Art. 33.
In effetti lo statuto del Comune di Bologna, all’articolo 7, vieta l’accorpamento dei referendum cittadini con altre operazioni di voto, recependo così una legge dello stato: art. 6 della legge 142, 1990. Senonché nel 1999 la suddetta legge è stata modificata e da quella data si è reso possibile l’accorpamento dei referendum alle elezioni politiche nazionali. Il Testo Unico per gli Enti Locali (TUEL) ha in seguito recepito e confermato questo indirizzo di legge, tant’è che diversi comuni hanno provveduto da tempo ad adeguare i loro statuti (vedi Milano).
Del resto, secondo i giuristi summenzionati, il TUEL ha prevalenza sullo statuto comunale ed è una mancanza del Comune di Bologna che da allora non si sia proceduto ad adeguare quest’ultimo alla normativa vigente. Quale migliore occasione per farlo se non l’indizione del prossimo referendum cittadino?
Ci ha pensato un consigliere del Movimento 5 Stelle a chiedere la modifica dello Statuto in Consiglio Comunale, ovvero il suo adeguamento alla norma di legge nazionale. In effetti il Consiglio Comunale è l’unico organo che possa farlo. Il Sindaco avrebbe potuto farsi promotore della cosa, ma aveva già espresso chiaramente il suo dissenso (vedi sopra) e quindi se n’è tirato fuori, anzi, ha ribattuto con toni pesanti ai referendari che lo chiamavano in causa.
Secondo i tecnici del Comune sollecitati dal M5S a fare un po’ di conteggi, l’accorpamento non comporterebbe un risparmio per le casse comunali, ma per quelle statali invece sì.
Va da sé quindi che i motivi per cui si è deciso di evitare il risparmio e di non sfruttare l’affluenza alle elezioni di febbraio è tutto politico. Come del resto si evince dalla risposta cristallina che il suddetto consigliere grillino ha avuto dal collega del PD:
«L’accorpamento del referendum cittadino con tornate elettorali amministrative o politiche, avrebbe un effetto negativo. Chi si presenta alle elezioni per guidare un paese o una regione o una città, si presenta con una visione programmatica che è risultato di un percorso condiviso ampio, con cittadini, interlocutori, limato con alleati di coalizione. Ed è dovere del candidato alla guida di un paese mettere in campo una proposta organica programmatica e realizzabile. Unire nella stessa tornata elettorale anche la chiamata al referendum, creerebbe un cortocircuito perché con il referendum i cittadini vogliono testare se la maggioranza tiene rispetto a un tema. Inoltre non si devono confondere gli strumenti della democrazia rappresentativa con quelli della democrazia diretta. Pensate ad un’elezione amministrativa in cui ci sono 3-4 proposte di governo che hanno una sintesi programmatica. Nello stesso tempo i cittadini devono votare su 1…10 quesiti referendari. Si perderebbe la sintesi di un progetto di governo.»
[qui il verbale della seduta del Consiglio]
In sostanza: siccome tocca tenere aperto il ponte con i centristi cattolici, e siccome sulla faccenda dei finanziamenti alle scuole paritarie private ci sono svariati dissidenti dentro lo stesso PD, non si può votare per le politiche e contemporaneamente fare il referendum, perché si rischierebbe di perdere la «sintesi di un progetto di governo». Questo si chiama parlare chiaro.
Così la votazione ha visto trionfare i contrari all’accorpamento per 24 voti contro 8. Amen.
3. Parole
«Go ahead, make my day».
C. Eastwood, Sudden Impact (1983)
«Noi siamo uno degli esempi più alti in Italia su come vengono gestite le scuole per l’infanzia, un esempio di standard di qualità, e di metodo educativo. Io  ho  un  obiettivo unico, importante e decisivo: far sì che ogni mattina che un papà e una mamma si svegliano per andare al lavoro sappiano che le scuole di Bologna siano in grado di accogliere i loro bambini. Mantenere alti i nostri standard e mantenere un metodo condiviso di educazione  indipendentemente che le scuole siano comunali, statali o paritarie, è la nostra priorità, a Bologna come in tutte le altre città della nostra regione. Tutto il resto sono ossessioni ideologiche».
Ipse dixit. Il Sindaco. Io sono il Bene, questo è il migliore dei mondi possibili, e chi non la pensa così ha ossessioni ideologiche. Interessante esempio di dialettica e confronto tra il primo cittadino e 13.000 suoi concittadini. Pare proprio che dover fare fronte a questa rogna che giunge dai piani bassi provochi una certa insofferenza in cima alle scale. Viene in mente la recente gag di quel comico famoso: «Se qualcuno pensa che ci sia un problema di democrazia, va fuori dalle palle!».
Pare comunque che il referendum si farà. Il 26 maggio.
Nel frattempo vale la pena soffermarsi ancora un po’ sulle illuminanti parole del Sindaco, dalle quali si evince chiaramente che per lui non c’è alcuna distinzione tra scuole comunali, statali o paritarie (e se qualcuno lo nega è ossessionato dall’ideologia, sia chiaro).
Il punto nodale è precisamente questo: non è vero che le scuole paritarie private sono uguali alle altre. Non lo sono perché per accedervi si pagano rette salate e perché la stragrande maggioranza di esse ha un orientamento confessionale (pare che l’ideologia faccia male, mentre la confessionalità vada benissimo…). Va da sé che, in una società sempre più laica, sempre più multireligiosa, e sempre più povera, l’accesso delle famiglie non cattoliche e non abbienti a tali scuole è fortemente limitato, se non precluso. Dunque le scuole paritarie private non sono scuole di tutti, ma di parte, e non possono essere considerate uguali a quelle pubbliche, dove vige un principio diverso: libero accesso gratuito, laicità, pluralità. E dove il personale è selezionato in base alle graduatorie, non in base alla sua conformità a un progetto pedagogico o all’altro.
Ne consegue che se davvero la preoccupazione del Sindaco è quella che i papà e le mamme «sappiano che le scuole di Bologna siano in grado di accogliere i loro bambini», allora dovrebbe dare la precedenza alla scuola pubblica, uguale per tutti, e ad essa riservare le risorse comunali. Per altro, al netto delle sue preoccupazioni, va detto che il decantato modello emiliano di scuola per l’infanzia, almeno a Bologna, sta scricchiolando parecchio, e comincia a mostrare falle più o meno grandi. Altrimenti le preoccupazioni dei referendari non sarebbero nemmeno sorte, probabilmente.
Ancora più significativo di un certo stile retorico e di una certa visione dell’istruzione, è il dépliant di partito segnalato all’inizio di questo post. Vale la pena di analizzarlo dettagliatamente.
4. Il Milione
- Poco fa io ho teso le dita della mano verso di te. E tu hai veduto cinque dita. Ricordi?
- Sì.
O’Brien tese le dita della mano sinistra, tenendo nascosto il pollice.
- Ci sono cinque dita. Vedi cinque dita?
- Sì.
G. Orwell, 1984 (1949)
Prima di tutto il concept. Nel dépliant si mette a disposizione una finestra bianca, dove è possibile scrivere «idee e suggerimenti» sulla scuola, perché è necessario mostrarsi aperti e democratici. Il partito raccoglie queste idee dalla base, ma in realtà ha già deciso cosa la base stessa deve pensare dell’intera faccenda e blinda lo spazio bianco con messaggi lapidari.
«Un sistema integrato per garantire l’istruzione a tutti i bambini».
Non un accenno al fatto che tale sistema da almeno un paio d’anni a questa parte non sta più garantendo tutti, gli esuberi si contano a centinaia e il Comune deve correre ai ripari alla meno peggio, aumentando il numero di alunni per sezione, aprendo nuove sezioni a mezza giornata, sollecitando lo Stato centrale a intervenire, etc. (a dimostrazione che non è poi così vero che ha le mani legate…).
Viene inoltre detto che le convenzioni «NON SONO uno strumento per finanziare la scuola privata». Questa è nuova. Ma allora di cosa stiamo parlando? Forse che il milione di euro stanziato dal Comune per le scuole paritarie non è un finanziamento? E cos’è allora, di grazia? Un regalo?
La risposta è appena una riga sopra: «Le CONVENZIONI sono uno strumento per realizzare: PIU’ QUALITA’; PIU’ EQUITA’ e PIU’ INTEGRAZIONE CON LA SCUOLA COMUNALE».
Più qualità… Forse per la scuola privata paritaria, perché invece quella pubblica sta mostrando la corda in più punti. Genitori che portano a scuola la carta igienica, la carta da disegno, o che versano oboli “volontari” autotassandosi, sono sempre meno rari. Recentemente ad autotassarsi sono stati gli alunni stessi per comprare cinque computer alla loro scuola.
Più equità… Se nelle scuole paritarie private si paga per ottenere un’istruzione, di quale equità si sta parlando?
Integrazione con la scuola comunale… In che senso? Quanto è garantita nella scuola paritaria privata la libertà confessionale, culturale, o d’insegnamento? E l’accesso ai disabili o agli stranieri? Tanto quanto nella scuola pubblica? Le percentuali dicono il contrario. Anche qui viene da chiedersi cosa s’intenda per integrazione.
Al netto delle licenze lessicali, il nocciolo duro dell’argomentazione esposta nel dépliant sono i conti della spesa.
La spesa comunale per la scuola pubblica è di poco più di 35 milioni di euro. Cioè circa cinquemila euro a bambino annui.
Contro i circa seicento euro a bambino spesi nel finanziamento della scuola paritaria privata. Quasi un decimo! Un affarone. E tanto basta.
Il dépliant si premura di specificare che
«destinare i fondi delle convenzioni alle scuole comunali, come chiedono i referendari, non permetterebbe di aumentare l’offerta della scuola comunale, perché oggi non è possibile assumere nuovo personale e se anche fosse possibile, i fondi stornati potrebbero garantire la scuola dell’infanzia a non più di 150 bambini.»
Il peccato qui è di omissione, evidentemente. Ci si dimentica di considerare che con il milione di euro delle nostre tasse attualmente destinato alla scuola privata, il comune potrebbe chiudere non poche falle aperte nelle scuole comunali: carenza di personale, di materiali, di servizi, etc., invece di cedere a un progressivo sbilanciamento verso l’integrazione e la sussidiarietà del privato. Sarebbe in sostanza possibile dare un segnale in controtendenza rispetto alla rassegnazione che si respira in Italia intorno alla scuola, chiedendo che si torni a investire nell’istruzione pubblica a tutti i livelli. Ed ecco che dai duri conti si è già tornati a bomba sul piano delle scelte politiche e d’indirizzo. Che poi sono quelle su cui vorrebbe intervenire il referendum.
La natura politica del problema è rivelata anche da un’altra ipocrita omissione nel medesimo depliant:
«Il Comune di Bologna vuole da sempre garantire il diritto delle bambine e dei bambini a un’educazione e una formazione di qualità, questo significa non occuparsi solo delle proprie scuole, ma contribuire con proprie risorse a qualificare tutte le scuole, comprese quelle dello Stato».
D’un tratto le scuole private sono sparite, sostituite da quelle dello Stato, alle quali il comune dà poco più della metà dei soldi che stanzia per le paritarie private. Il trucchetto si commenta da sé.
La responsabile al welfare del PD – ripresa a più voci dagli esponenti di giunta – sostiene che se si togliesse quel milione di euro comunale alle scuole private, queste si vedrebbero costrette ad aumentare le rette in misura tale da provocare un esodo verso la scuola pubblica, con conseguente aggravio degli oneri per le casse comunali.
Così si grida all’allarme: i referendari vogliono farci spendere di più! Occhio alla borsa, cittadini!
A conti fatti questa è l’unica vera argomentazione di chi contrasta il referendum. E si basa su una premessa non dimostrata.
Le scuole paritarie, oltre ai fondi comunali, possono attingere e attingono a fondi statali, regionali, privati, ecclesiastici, etc. Questi istituti hanno molte altre vie per reperire finanziamenti e continuano a chiederne infatti, a partire dalla sezione bolognese della Federazione Italiana Scuole Materne (paritarie). Per altro, la linea degli ultimi governi nazionali è andata precisamente nella direzione auspicata da questa associazione di ispirazione confessionale.
Inoltre, non è dato sapere di quale portata sarebbe l’esodo dalla scuola privata prodotto dall’eventuale innalzamento delle rette. Nessuno finora ha offerto calcoli o sondaggi prospettici in proposito. Ma al netto di queste considerazioni, resta il fatto che in base alla Costituzione il diritto da salvaguardare dovrebbe essere quello a un’istruzione pubblica universale. Pensare che, se i posti alla scuola pubblica scarseggiano, a qualcuno tocchi per forza andare nelle scuole private perché il sistema è stato così pensato da vent’anni a questa parte, be’, questo sì è rassegnarsi a una forzatura ideologica. Perché oggi si cerca di farla passare come conseguenza della crisi, ma vent’anni fa la crisi non c’era, le vacche erano belle grasse, ed è proprio allora che questo “gioiellino” di sistema integrato è stato concepito e in Emilia-Romagna ha mosso i primi passi. Passi che si sono fatti sempre più lunghi ad ogni nuova manovra finanziaria.
Quello che si sta profilando per la scuola pubblica italiana è molto chiaro, lo dicono le notizie di ogni giorno. Uno degli ultimi provvedimenti inclusi nella Legge di Stabilità del governo uscente – che ha ulteriormente tagliato i fondi alla scuola pubblica e aumentato quelli per la privata – prevede il finanziamento alle scuole non in base alle necessità, bensì in base al merito, e senza nemmeno premunirsi di specificare con quali parametri sia possibile fare la valutazione.
Ma è affermare il principio che conta: bando all’eguaglianza di diritti e di trattamento.
Torniamo allora alla domanda che già ci ponevamo nell’anno vecchio. Se il sistema è questo e può soltanto essere questo, se tutto ciò che è reale è razionale e viceversa, dov’è il margine della politica? Dov’è la scelta dei cittadini? Gli esseri umani che vivono in questo Paese e, nella fattispecie, in questa città, hanno ancora la possibilità di optare per un destino diverso o possono solo essere conculcati e guidati verso l’ineluttabile futuro che li aspetta?
Chissà. Per ora, tredicimila abitanti di Bologna hanno detto che no, non vedono cinque dita. Dev’essere per questo che gli O’Brien nostrani masticano così amaro. E almeno un po’ tentennano, come dimostra la notizia dell’ultima ora sul fatto che il Sindaco, dopo averne dette di tutti i colori ai referendari, ha deciso di concedere loro un incontro. Chi vivrà vedrà.

fonte: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=10774



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