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lunedì 5 settembre 2011

Presto e bene
(la Manovra spiegata foneticamente)
Di Monica Bedana


Ultimamente hanno tutti una fretta del diavolo.
Far presto e pene; immagino la Merkel che chiama Silvio e, col suo imperioso accento teutonico che non distingue tra bilabiali sorde e sonore, fa da portavoce ufficiale al sistema Europa, l'ente supremo che fagocita ogni capacità di decisione degli stati sovrani e ingurgita alla velocità della luce anche l'ultima briciola del loro diritto sociale.

E cosí, nella fretta di un'infame domenica insolitamente lavorativa per la Commissione Bilancio del Senato, passa la deroga all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: in questo caso la bilabiale è decisamente sorda, pene -dell'inferno- per il futuro dei lavoratori italiani, pene perché i loro diritti, da questo momento, sono decisamente fottuti.

Bene invece (con bilabiale sonora, esplosiva), per Marcegaglia, per esempio, che aveva fretta che il Governo trovasse la forza di fare queste cose, queste cose sorde e occlusive, s'intende.
Presto presto anche per Trichet, con quella sua erre uvulare o francese che non è presente nel sistema fonetico italiano ma che volendo potremmo introdurla in fretta nella Costituzione a cambio dell'acquisto di qualche manciata dei nostri Titoli di Stato da macero.
Reclama il presto e bene perfino Napolitano, l'inerme Presidente della Repubblica ormai incapace di insufflare con la forza sufficiente l'aria necessaria a pronunciare quella bilabiale esplosiva e sonora che inizia con la “b” di BASTA.

Ho fretta anch'io. Di scendere in piazza domani con la CGIL e di spingerci uno ad uno tutti i pusillanimi indecisi. Di poterlo fare anche con la forza della rete. Per non ricevere mai più per risposta 404: democracy not found.

venerdì 11 febbraio 2011

Intervista a Rinaldini: «Situazione eccezionale. Se non ora, quando?»

Accordi separati a raffica, scioperi di categoria, offensiva governativa-padronale. La Cgil che fa? Parla Gianni Rinaldini, coordinatore dell'area «La Cgil che vogliamo».

di ROCCO DI MICHELE - IL MANIFESTO del 11 FEBBRAIO 2011
Ti sembra tutto normale?
È evidente che siamo in una fase assolutamente eccezionale, con passaggi decisivi per il futuro di questo paese. Il susseguirsi delle vicende sociali è impressionante. L'annuncio di ieri, da parte del governo, della modifica dell'art. 41 - quindi nella prima parte della Costituzione - per affermare la libertà di impresa, rappresenta il completamento di un disegno di ridefinizione dell'assetto sociale.

«È permesso tutto ciò che non è espressamente vietato...»
Calcolando che eliminerebbero pure il capoverso sui «fini sociali» che l'impresa deve rispettare... È sbagliato e fuorviante ritenere che questo tentativo rappresenti un intervento inutile o un modo per fare propaganda politica. Penso esattamente l'opposto. Attraverso la modifica dell'art. 41 si ripropone quella dell'art. 1; sostituendo la parola «lavoro» con «libertà».

La reazione politica è scarsa; quella sindacale?
Siamo di fronte al completamento di un'operazione visibile, scoperta. Dal punto di vista contrattuale, il «modello Fiat» - di fatto e in pratica - è stato assunto da Confindustria. Fino al punto che Federmeccanica ha formulato alcune ipotesi sul contratto nazionale che fanno proprio quel modello. Si arriva alla messa in discussione dei diritti democratici individuali, della libertà sindacale e del diritto di sciopero. Negli stessi giorni, abbiamo avuto l'accordo separato sul pubblico impiego, che ripropone quello schema. Con in più la negazione di qualsiasi prospettiva per i lavoratori precari della pubblica amministrazione nel suo insieme. Le misure finanziarie decisa dal governo stanno già determinando - con l'aggravio delle misure «federaluiste» - la riduzione dei servizi sociali e l'aumento della pressione fiscale.

E il «tavolo per la crescita»?
A questo punto, è un tavolo del tutto incomprensibile. Tutto ciò che sta avvenendo - in questi due anni e mezzo di smantellamento di diritti e tutele, ora della stessa democrazia - non sarebbe stato possibile senza il totale sostegno di Confindustria, Cisl e Uil. Tutte le misure attuate da questo governo, con una finalizzazione sociale precisa, si sono sviluppate in un raccordo tra atti legislativi e atti contrattuali - «accordi separati» - che hanno segnato profondamente il tentativo di ridefinire le relazioni sociali. Basti pensare al «collegato lavoro», un atto legislativo varato sulla base di un «avviso comune» tra Confindustria, Cisl e Uil.

Uno schema abbastanza vecchio, quello «corporativo»...
Sì. Non si può far finta di non vedere e non capire l'assoluta drammaticità della situazione e dell'offensiva in atto.

La Cgil invita la Fiom a «non demordere» dal tentativo di raggiungere un accordo con Fim e Uilm; si mostra all'altezza della situazione?
Mi sembra ci sia stata un'assemblea dei delegati Fiom che ha votato un documento con decisioni diverse. Se l'offensiva contro la democrazia e il sindacato è a tutto campo, non si possono più avere incertezze. Ci sono fasi della storia sindacale in cui anche i tempi di reazione e costruzione delle risposte diventano decisive. Dal punto di vista simbolico, ieri, c'è stata un'intervista del segretario generale Susanna Camusso che ripropone il «patto tra le forze sociali»; e contemporaneamente un viaggio in treno tra «amiconi» - Angeletti, Tremonti, Bonanni. È la fotografia di una situazione paradossale. Da qui la necessità che la Cgil, con il direttivo annunciato per le prossime settimane, definisca quali sono le forme di inziativa e mobilitazione - compreso lo sciopero generale - che aprano una fase vertenziale nei confronti del governo e della Confindustria.

Cosa fa la «Cgil che vogliamo»?
Ci muoveremo per costruire iniziative pubbliche nei territori e nelle categorie, per affrontare i problemi della fase che stiamo affrontando e le iniziative che deve prendere la Cgil nel suo insieme. La velocità del processo di smantellamento dei diritti, che arriva ormai a una situazione di crisi istituzionale, compromettendo la stessa tenuta degli assetti democratici, non è scindibile dall'offensiva in atto sul terreno sociale. Disegna un'idea di società che riduce tutti gli spazi di democrazia e di esercizio del coflitto sociale.