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sabato 27 aprile 2013

Un governo col manuale Cencelli

Dalla Seconda Repubblica alla Prima, senza passare per la Terza. Così possiamo riassumere il governo Letta che si accinge a prendere la fiducia in Parlamento. Un contentino per tutti, anche per la forma. Un paio di stelline per i cacciatori di lucciole. Ma sì, abbiamo un governo molto rosa, con un pò delle giovani virgulte del PDL, Lorenzin (con un ministero di gran peso come la Salute, auguri!) e la super bi-partisan Nunzia De Girolamo, compagna del lettiano Boccia. E per la prima volta un ministro di origine africana, una olimpionica di origine tedesca (forse era meglio metterla agli esteri che almeno lei con Schauble e compagnia si sarebbe fatta sentire), e pure la Bonino, che tutti amano anche se non si è ancora capito bene il perché, tra cambi di casacca, sconfitte clamorose e posizioni ultra reazionarie in politica economica ed internazionale (di cui per altro andrà a occuparsi).
Così foto assicurate, bei titoli sui giornali, un pò di operazione simpatia.
Dietro si muovono i pesi massimi ex democristiani, sparsi un pò in tutti i partiti: i ciellini se la cavano alla grande con due bei ministeri dal portafoglio pieno, Mauro alla difesa, Lupi alle infrastrutture. E poi Franceschini, Alfano, senza dimenticare naturalmente lo stesso Letta. Non potevano mancare i montiani, che in forza del loro tracollo elettorale si portano a casa la onnipresente Cancellieri, oltre allo stesso Mauro e a Moavero, ed i tecnici, visti gli egregi risultati del passato governo, da Triglia a Giovannini.
Ma soprattutto ministeri a pioggia per tutte le correnti del PD, per tenere tutti buoni in vista della fiducia.  I turchi vengono normalizzati subito in cambio di un posticino per Orlando, i renziani portano a casa Del Rio, senza dimenticare Zanonato, quello del muro di Padova, uno dei leghisti piddini che potrà così supplire meravigliosamente alla mancanza del Carroccio.
E adesso, forza Italia......

domenica 13 maggio 2012

Ad Atene un governo della minoranza: e la chiamano democrazia

QUESTO POST E' STATO, COME OVVIO, SUPERATO DAI FATTI. DIMAR NON HA ADERITO AL GOVERNO DI COALIZIONE, COME INIZIALMENTE SEMBRAVA. RESISTENZA INTERNAZIONALE SI SCUSA



L'aria fresca che le proteste dei popoli stanno portando dentro i palazzi del potere, in Europa e non solo, si è nuovamente fermata di fronte ad una politica auto-referenziale che se ne infischia della democrazia. E purtroppo, una volta di più, lo spettacolo peggiore è offerto da una parte di quelle cosiddette sinistre europee sempre disposte a vendere l'anima in cambio di un posto di potere. D'altronde c'era da immaginarlo sarebbe successo - lo avevamo pure paventato all'indomani delle elezioni. Il partitino Dimar era nato due anni fa, staccandosi dal Synaspismos - il fulcro di Syriza, il vero vincitore morale delle consulatazioni della settimana scorsa. Ed una scissione a destra durante la crisi è sempre sospetta - d'altronde ce lo ha insegnato Andreotti, che se ne intendeva, che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende. Ed infatti. Dimar si è candidato alle elezioni rifiutando il memorandum imposto dalla UE, ha preso i voti sulla base di quella piattaforma ed ora forma un governo con Pasok e Nuova Democrazia, gli unici due partiti che difendono l'accordo che sta trascinando la Grecia nel caos. 
Uno sputo in faccia al suo elettorato. Uno sputo in faccia all'intero popolo greco, chè se le elezioni avevano dato una indicazione chiara e precisa è che la Grecia non voleva il diktat di Bruxelles e Berlino, solo il 30% di un elettorato comunque in calo aveva sostenuto Pasok e ND. Ed ora Atene si troverà governata da una piccola minoranza che avvantaggiandosi della legge elettorale e comprandosi un partitino di canaglie potrà imporre il Berlin Consensus su un popolo che non ne vuole sapere. Mentre ormai la maggioranza degli economisti più seri, da Krugman a Roubini, da Rodrik a Eichengreen spiegano che l'uscita dall'Euro della Grecia è meglio che continuare con questa folle corsa ai tagli. 
Senza dimenticare che la maggioranza dei greci rifiuta entrambe le alternative, volendo semplicemente smettere di essere schiavizzata da personaggi cui interessa solo difendere le proprie banche e magari anche le proprie industrie militari.
Syriza non chiedeva l'uscita dall'Europa, diceva semplicemente no al memorandum. Dimar, invece, definito "sinistra filo-europea" da Corriere e Repubblica, è solo filo-Bruxelles, o forse neanche quello. Ribadisce solo la vecchia tradizione dei socialdemocratici disposti a vendersi per un piatto di lenticchie.  
E poi si lamentano della destra populista e dell'anti-politica? 


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