Forse in questi giorni dovremmo volgere lo sguardo con più attenzione verso il sudamerica.
Lí, lontano, dove l’avanzata della sinistra sembra essere ormai una tendenza chiara, in grado di produrre governi più stabili, più duraturi e dai quali emerge sempre un leader la cui figura esce rafforzata alla fine del mandato. Dove la politica la fanno in buona parte anche le donne, non sotto forma di caritatevole concessione, come siamo abituati a vedere dalle nostre parti, ma per larghissimo consenso popolare.
Quindi a fianco della sinistra bolivariana di Chávez (che Maduro erediterà quasi certamente) e di Correa (recentemente riconfermato) o di Morales (che con ogni probabilità si ripresenterà alle prossime elezioni), si dispiega la sinistra al femminile declinata, nelle loro diversità e peculiarità, dalla Fernández de Kirchner, la Rousseff e nell’atteso ritorno di Michelle Bachelet in Cile.
Il caso della Bachelet è paradigmatico per l’Italia, col suo centrosinistra incarnato da un PD che ha perso vertiginosamente consensi sia all’esterno che all’interno dopo le primarie, che si è alleato con SEL ma non ha saputo fare scelte più coraggiose ed agglutinare anche le proposte di Rivoluzione Civile. E con un Matteo Renzi che dal silenzio e la fedeltà è passato in 24 ore alla logorrea e la scissione quasi aperta.
Michelle Bachelet ha guidato con serietà ed efficacia per 30 mesi l’area dell’ONU dedicata alle donne. Lontano dal Cile, osservando in assoluto silenzio l’evolversi della situazione nel proprio Paese; la punta dell’iceberg che conosciamo, quelle proteste studentesche a favore dell’istruzione gratuita per tutti, duramente represse; quel sistema sanitario pubblico messo in discussione; il futuro incertissimo della classe media che porta tutto il peso delle misure fiscali.
Il programmma Bachelet per un nuovo corso politico, economico e sociale parte da un unico punto: combattere le disuguaglianze in modo profondo, con decisione e a tutti i livelli. Perché “se è vero che la crescita produce lavoro, migliora le entrate ed il dinamismo dell’economia, tale crescita non è reale se non è inclusiva, se la ricchezza che produce non arriva a tutti gli abitanti di un Paese”. Sono le parole di chi per 30 mesi ha saputo interpretare correttamente gli effetti di “una globalizzazione che non è stata beneficiosa per tutti ed ha reso più profondo il divario della disuguaglianza”.
La candidata lavorerà con un gruppo ristretto di assessori, cercando il confronto diretto coi cittadini, prendendo le distanze dall’apparato del calderone di partiti di centrosinistra che la sostiene -chiamato La Concertación - e che, secondo i sondaggi, allo stato attuale gode soltanto del 22% dei consensi . Bachelet aprirà al Partito Comunista, ammettendo senza tabù che nel suo mandato precedente alcune cose non furono fatte bene, altre non si fecero affatto e non è più tempo di riforme all’acqua di rose. Secondo l’ultimo sondaggio il 54% dei cileni è disposto a votare per lei nelle elezioni di novembre. E i candidati de La Concertación faranno delle primarie senza paletti.
Vien da pensare che se Bersani si fosse fatto un giro per il polo sud ora magari non sarebbe congelato.
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