Riportiamo un interessante articolo di Dario Di Vico sulla crisi del modello emiliano, per anni e decenni il fiore all'occhiello del Partito Comunista ed esempio di buon governo, socialità, opportunità e di come la socialdemocrazia scandinava potesse funzionare anche in Italia. Un modello ormai sfiorito, però, come ribadisce anche Di Vico. Gonfi e tronfi per i risultati non da loro ottenuti, ma ereditati da chi aveva costruito prima di loro, gli amministratori emiliani - e quelli bolognesi in particolare - hanno smesso di investire su capitale umano, infrastrutture, sono divenuti sordi al cambiamento e alle esigenze delle persone. Sono stati incapaci di mantenere il passo della modernità, risultando in una crisi politica senza precedenti, dal successo di Guazzaloca ormai quasi 15 anni fa, al fallimento politico del periodo di Cofferati, all'imbarazzante scandalo Del Bono. Nel mezzo, problemi mai risolti, l'affaire Civis, la qualità della vita in costante calo, il proverbiale civismo emiliano in crisi. E con un referendum contro le scuole private a Bologna che rischia di diventare un atto di accusa contro l'incapacità del PD di fare non solo buona politica, ma anche buona amministrazione. Mentre il M5S avanza.
Il paradosso di Bologna, alto capitale sociale e bassa circolazione delle élite
di Dario Di Vico
da Style
Il tema è venuto fuori durante la recente presentazione del libro
di Franco Mosconi sul modello emiliano. La sede non poteva essere più
congeniale: la biblioteca della casa editrice del Mulino. Provo a
sintetizzarlo: come è possibile che Bologna e la sua regione, territori
ad alto capitale sociale, appaiano all’esterno come “società chiuse”,
caratterizzate da una scarsa circolazione delle élite? Sul
primo assunto c’è poco da discutere. Studiosi di numerosi Paesi hanno
lodato negli anni la capacità sistemica del modello emiliano, l’aver
saputo creare una robusta infrastruttura civile di partecipazione che si
è rivelata nel tempo uno dei caratteri distintivi del territorio. E’
chiaro che ciò è stato possibile non solo in virtù del genius loci ma di
un connubio strettissimo tra le culture preesistenti e il pensiero
della sinistra, da tempo immemore maggioritaria da queste parti. Il
pensiero di una sinistra “compiuta” che qui è riuscita ad
essere/rimanere ancorata alle radici popolari e quasi mai animata da un
sentimento di superiorità antropologica nei confronti dell’avversario o
dell’elettore medio. Questa infrastruttura civile è stata determinante
per migliorare la qualità dei servizi offerti dall’operatore pubblico,
per creare un circuito positivo di consenso con la popolazione, per
alimentare un diffuso sentimento di appartenenza. Politica e
antropologia sono stati un tutt’uno. L’insieme di questi fattori ci
siamo abituati a catalogarlo come “capitale sociale” ma ci siamo anche
pigramente acconciati a considerarlo immutabile nel tempo. E invece come
accade per le infrastrutture fisiche anche quelle civili risentono
dell’uso e nel caso in esame di una progressiva tendenza a fabbricare
procedure, riti, macchine politico-amministrative. Se volessimo restare
nell’ambito del lessico finanziario usato come metafora potremmo dire
che nel tempo il modello emiliano non è stato capace di operare degli
aumenti di capitale sociale, si è considerato sufficientemente
patrimonializzato all’infinito. Niente di grave, capita anche ai
migliori. Guai però a dimenticarsene e ripetere le frasi fatte, bearsi
del medagliere e dimenticare le sfide in essere. E la principale delle
contese in campo oggi riguarda sicuramente la circolazione delle élite.
Le società chiuse operano prevalentemente per cooptazione, includono con
il contagocce e lasciano prevalere gli stessi cognomi, spesso doppi
cognomi. Sta accadendo qualcosa del genere a Bologna e in Emilia? Penso
proprio di sì, anche se si fatica a tematizzarlo, c’è una convenzione
politico-culturale che porta a sottolineare lo stock di patrimonio
sociale ma non i flussi. E invece se una società vuole rinnovarsi deve
badare innanzitutto ad assicurare mobilità “nuova” al suo interno e
un’adeguata e costante liberalizzazione delle élite. La reazione degli
elettori che hanno premiato ad abundantiam i grillini è anche (in parte)
una reazione alla mancata movimentazione sociale. Non è un caso, del
resto, che l’Emilia sia considerata la culla del Movimento 5 Stelle.
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