di @MonicaRBedana
Ci sono ferite su cui una certa politica sparge continuamente sale per convenienza. Soprattutto quando la disoccupazione sale, le disuguaglianze si allargano e l'evidenza dell'inutilità e l'inefficacia delle misure adottate per fronteggiare la crisi non si può più occultare.
Se l'opinione pubblica torna per un po' a scannarsi sulle sponde di quelle fosse comuni in cui le vittime del franchismo ancora non trovano pace né giustizia né pietas, distoglie lo sguardo dai sepolti vivi del macello economico.
In Argentina è in corso un processo che in Spagna si attendeva da 37 anni; è sotto accusa per la prima volta nella Storia la dittatura di Franco, per genocidio e/o crimini contro l'umanità. Tre anni di istruttoria, che prometteva di continuare l'impegno che in patria il giudice Baltasar Garzón fu costretto ad abbondonare, vittima anche lui di quella morsa della politica sulla giustizia che in Italia ben conosciamo. Ieri le vittime avrebbero dovuto finalmente prestare dichiarazione al giudice per videoconferenza, dall'ambasciata argentina a Madrid, ma è arrivato lo stop del governo spagnolo: il processo viola un accordo bilaterale di estradizione e assistenza giudiziaria in materia penale. Il comunicato emesso dalla Spagna parla, come è di rito in questi casi, di "malessere" verso il modo di procedere del giudice argentino, che decide di sospendere l'interrogatorio. Per le vittime è ulteriore maltrattamento ed è bufera sul ministro di giustizia spagnolo, del cui suocero si è chiesta l'imputazione nel processo e con lui di una decina di vecchie cariche dello Stato considerate complici dei crimini della dittatura.
Con questa vicenda assistiamo con sbigottimento ad un tipo di emigrazione forzata dolorosa almeno quanto quella patita per la mancanza di lavoro: emigrare per trovare giustizia è l'ultimo tappo che salta nel sistema democratico europeo sotto la spinta delle esclusioni. E sul veto posto dal governo spagnolo aleggia non il fantasma di Franco ma il suo spirito vivo.
Garzón chiese ed ottenne da Kirchner ciò che per un decennio Menem e De la Rúa negarono alla Spagna: l'estradizione dei criminali della dittatura argentina e la riattivazione di quel processo nel loro Paese.
Ora che è il governo spagnolo a dover garantire il corso della giustizia sui crimini della dittatura di casa propria, questa viene blindata una volta di più come se fosse inviolabile, inespugnabile. E il Valle del los Caídos torna tragicamente ad essere il simbolo supremo di quella cinica pacificazione che va di moda invocare: un posto in cui si crede sia giustizia che vittime e carnefici riposino insieme.
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giovedì 9 maggio 2013
giovedì 9 agosto 2012
Resistenza Olimpica - Argentina basket 2004
Davide contro Golia, che storia. Gli Stati Uniti avevano già perso le Olimpiadi nel basket, tutte e due le volte contro l'Unione Sovietica, una prima volta a Monaco 1972 ed una seconda a Seoul 1988. Ma fino a quel momento gli americani schieravano giocatori di college e non i professionisti della NBA. Dal 1992, alle Olimpiadi di Barcellona, cominciarono a giocare le star che regolarmente strapazzavano gli avversari neanche si fosse in allenamento. Sembravano marziani.
Le cose cambiarono già nel 2002, ai mondiali giocati ad Indianapolis, dove l'Argentina vinse in finale contro gli USA - un successo storico, incredibile, se poi si pensa che solo l'anno prima l'economia argentina era fallita ed il paese rigettava la dollarizzazione e le misure d'austerità made in Washington.
Non contenti gli argentini si ripeterono due anni dopo alle Olimpiadi di Atene, dove eliminarono in semifinale la terza edizione del Dream Team. Piccoli e grandi eroi sudamericani alla riscossa.
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