lunedì 1 agosto 2011

Egoismo di Stato
Di Nicola Melloni

Dopo appena una settimana dal lancio del piano di salvataggio dell'euro e dal cosiddetto Piano Marshall per la Grecia, è già ormai sotto gli occhi di tutti l'inadeguatezza della risposta data dall'Unione alla crisi che attanaglia il vecchio continente. Dopo una prima risposta positiva dei mercati, lo spread tra titoli italiani e titoli tedeschi si è di nuovo preoccupantemente dilatato, con pesanti ricadute sui conti pubblici del nostro paese.

Il motivo è semplice, le grandi banche internazionali, guidate guarda caso da Deutsche Bank, stanno iniziando a disinvestire nel mercato italiano, e la minor domanda spinge in alto il tasso di interesse. Sono fenomeni preoccupanti, il divario tra i Btp ed i Bund sono un segnale chiaro della debolezza della nostra economia e della poca fiducia che il capitale internazionale nutre nei confronti dell'Italia. D'altronde il divario di oltre 300 punti base è quello che già la Grecia sperimentò all'inizio della crisi che l'ha messa ora con le spalle al muro. E sicuramente la crisi greca è uno dei fattori scatenanti del cosiddetto effetto contagio. Le banche esposte sul mercato greco si fanno ora assai più guardinghe e si ritirano dai mercati a potenziale rischio, come l'Italia, che a torto o a ragione, è oggi considerata a rischio di default, reinvestendo in titoli che offrono molte più garanzie, come appunto i Bund tedeschi. Il che, appunto, vuol però dire che nessuno crede che la crisi sia stata risolta dal piano di salvataggio. Soprattutto non regge più l'assunto che la Grecia fosse un caso unico, impossibile da ripetersi. Infatti. L'aumento dello spread tra Italia e Germania segnala l'esatto opposto. Per Atene, dopo due anni sprecati si è infine deciso di modificare artificialmente i tassi con l'emissione di prestiti a tassi sostanzialmente pari a quelli applicati sui titoli tedeschi, ma cosa si farà per l'Italia se la situazione dovesse cominciare a peggiorare? Il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria, appena rimpinguato di nuovi fondi non sembra, almeno per ora, in grado di armonizzare i tassi europei che sono al momento la maggior fonte di tensione sui mercati e per le economie reali.

Quindi il mercato non crede nell'Italia e non crede nell'Europa. Ma sembra che non lo faccia tanto neanche la Germania che un qual certo controllo sulle proprie banche lo ha, e non pare davvero un caso che con il debito tedesco ai massimi storici la liquidità delle banche di Francoforte e Berlino rientri nei i confini patri per finanziare il governo della cancelliera Merkel. Alla faccia della cooperazione europea.

Come sempre, di fronte alle crisi, gli Stati pensano sempre al proprio tornaconto, a salvare il salvabile. Il problema principale dell'Europa sta proprio nel fatto di non essere capace di fornire una risposta politica e di sistema alla crisi. Al contrario, gli egoismi politici ed i calcoli elettorali tendono a privilegiare risposte nazionali che avvantaggiano gli stati più forti e coesi politicamente, è il caso della Germania, a danno dei paesi più deboli, dalla Grecia alla Spagna all'Italia. Non ingannino le riunioni europee ed i piani di salvataggio comunitari che servono solo a salvare gli istituti di credito tedeschi e francesi immersi fino al collo nella voragine del debito greco. Quel che sta avvenendo è in realtà uno scambio tra politica e finanza, con i prestiti di Berlino alla Grecia utilizzati per salvare le banche tedesche, e le stesse poi impegnate a finanziare il debito della Germania.

Ciò che sinistramente si delinea è un ritorno a quel capitalismo finanziario descritto da Lenin e Hilferding giusto un secolo fa, un capitalismo in cui lo stato viene colonizzato dagli interessi della grande industria e della grande finanza che dettano le linee guida di politica economica e di politica estera nel loro interesse, lo stato dispensatore di privilegi nella dizione del mai abbastanza studiato economista austriaco. Dunque, l'interesse privato diventa parzialmente pubblico - e d'altronde il fallimento delle banche tedesche, ad esempio, non potrebbe non avere conseguenze sociali devastanti sulla popolazione - con l'inevitabile conseguenza che il governo, pubblico per eccellenza, diventerebbe parzialmente privato, ed impegnato soprattutto a difendere il capitale nazionale, inasprendo dunque le relazioni con gli altri paesi impegnati a fare altrettanto. L'analisi economica di Hilferding, e quella sull'imperialismo di Lenin furono talmente azzeccate che nel giro di pochi anni scoppiò il primo conflitto mondiale. Meglio riflettere sulla storia prima che la crisi economica si trasformi in inarrestabile crisi politica.

Da Liberazione .

1 commento:

  1. Nicola,
    la parte finale dell'articolo mi piace molto, non perché io abbia studiato Hilferding ma perché sottolinea le conseguenze che una nuova lotta di Stati non più sovrani ma dominati dall'interesse del capitale potrebbe causare. E negli anni '30 del Novecento, gli stessi Stati "decisi nell'indecisione" e "onnipotenti nell'onnipotenza", come diceva Churchill, si rifiutarono di cogliere i segnali che portarono al secondo conflitto mondiale. Oggi non c'è lo stesso scontro frontale tra classi sociali, ma lo scontento è comunque fortissimo. Viene da chiedersi se abbiamo mai imparato qualcosa...
    Sei sempre chiaro e incisivo.
    Monica

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