venerdì 26 aprile 2013

Il matrimonio di convenienza tra PD e PDL

di Nicola Melloni
da Liberazione

Guardando l’Italia di fine aprile 2013 sembra davvero di rivedere gli ultimi giorni di Weimar. Una classe politica ormai imbalsamata, incapace di decidere, rinchiusa nel Palazzo, mentre fuori soffia la bufera della crisi.
Un anno e mezzo fa il crollo della destra berlusconiana apriva praterie davanti ad un centro-sinistra impreparato, economicamente, culturalmente e politicamente a prendere l’iniziativa. In Italia la crisi economica era ormai anche crisi organica, di sistema, con la politica tutta incapace di rappresentare le diverse forze sociali, di governare il cambiamento, di organizzare la società. All’orizzonte allora si stagliava un governo di tecnocrati capitanati dall’ex eurocommissario Mario Monti che metteva sotto tutela il Parlamento e la Repubblica tutta, in nome dell’Europa e dei mercati. Non era Monti però il deus ex machina di questa operazione, ma Giorgio Napolitano che aveva imposto alle forze politiche un tale compromesso. Tant’è che per tutta la durata di quel governo il Presidente della Repubblica si incaricò di fare da tutor ad un Premier impacciato e ad un gruppo di ministri mediocre e assolutamente incapace. Facendosi garante di un equilibrio politico conservatore se non reazionario, di difesa dello status quo, di arroccamento su vecchi modelli consociativi, ignorando in maniera plateale le richieste di cambiamento. Esplicativa in questo senso la famosa battuta sul boom dei 5 stelle, ribadita nuovamente nella scelta dei saggi che escludevano il Movimento di Grillo per puntare tutto sulle forze sconfitte e decrepite della politica tradizionale.
D’altronde Napolitano ha usato tutto il potere a sua disposizione, e forse anche di più, per impedire la nascita di un governo di cambiamento, ribadendo anche quando fu dato l’incarico a Bersani che la strada maestra era quella della Grande Coalizione. Una scelta che, dopo l’illusorio tentativo di formare il governo, è stata poi fatta propria dal PD che prima ha tentato la carta Marini e poi è tornato appunto su Napolitano. Ma non è il “compromesso storico” tra due forze in ascesa, rappresentanti di grandi interessi sociali ed economici, ma un matrimonio di convenienza tra due forze politiche in ritirata, incapaci di interpretare il cambiamento, proprio come la SPD e la destra tedesca a inizio anni Trenta.
La scelta di Letta si adatta perfettamente a tale schema ed è in sostanziale continuità con quella di Monti. Un Primo Ministro che risponde direttamente al Quirinale e non al Parlamento, un uomo gradito a grandi imprese, banche, quella parte del Paese che ha portato l’Italia nella crisi attuale, che ha lucrato nella lunga stagione della Seconda Repubblica e che rifiuta il cambiamento. Di fronte ad una crisi epocale, con il vecchio sistema ormai morto e con il nuovo incapace di nascere, la soluzione Napolitano-Letta è un tentativo reazionario di salvare le vecchie classi dirigenti, di garantire i potentati economici, di reimpostare su basi regressive il contratto sociale – democrazia svuotata, diritti annacquati, indebolimento del lavoro. Per tornare a Gramsci, una rivoluzione passiva di stampo conservatore.
Quello che però non è chiaro è la reale solidità di queste forze, incapaci di proporre un qualsiasi disegno strategico, aggrappate più che altro al proprio interesse personale, emarginate dai grandi processi mondiali di ristrutturazione del potere e dell’economia. L’immagine della scorsa settimana di un palazzo assediato raffigura molto bene lo stato attuale della politica italiana. Il malcontento, la rabbia, la disperazione rischiano di esplodere da un momento all’altro e possono prendere qualsiasi forma. L’implosione del PD apre nuove possibilità di riorganizzazione per la sinistra ma allo stesso tempo la solo rimandata esplosione del blocco sociale berlusconiano potrebbe dare vita a formazioni politiche ancor più reazionarie con Grillo che al momento rischia di catalizzare la protesta. Come a Weimar, una politica legale ma ormai illegittima si rinchiude in se stessa mentre fuori il mondo cambia.

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